ALTRO CHE MIGRANTI / E’ IL PETROLIO LA MOLLA DEGLI INTERESSI ITALIANI IN LIBIA   

Salvare i migranti è solo un pretesto per militarizzare la Libia e l’intero

Mediterraneo, con l’unico reale scopo di saccheggiare le risorse petrolifere dello stesso paese nordafricano.

Sono le crude conclusioni alle quali giunge un rapporto appena redatto (è datato dicembre 2021) da ‘Greenpeace’ e significativamente intitolato “Missioni militari per proteggere gli interessi dell’industria del petrolio e del gas. Come le risorse della difesa europea finiscono per aggravare la crisi climatica”.

Già alcune cifre contenute nell’incipit del rapporto servono a delineare meglio il contesto e a chiarirci le idee: “Gli Stati membri dell’Unione europea dipendono fortemente dalle importazioni di energia fossile: circa il 90 per cento del petrolio e il 70 per cento del gas consumato nei Paesi UE arriva da fuori”.

Commenta il regista indipendente Michelangelo Severgnini, collaboratore de “L’Antidiplomatico” e de “La Fionda“: Leggendo questi dati risulta più chiaro perché l’apertura del gasdotto Nord Stream 2tra il territorio della Russia e quello della Germania stia portando un intero continente verso la guerra”, come del resto testimoniano gli ultimi, emblematici avvenimenti in Ucraina.

Ma eccoci al ruolo giocato dall’Italia, con un capitolo ad hoc contenuto nel rapporto e firmato da Sofia Basso. Che scrive: “Nel 2021 le missioni a sostegno della nostra ‘sicurezza energetica’ costeranno 797 milioni di euro, pari al 64 per cento del budget per le missioni militari. Sommando tutte le operazioni ‘fossili’ degli ultimi quattro anni, il ministero della Difesa ha speso circa 2,4 miliardi di euro. Il trend non accenna a diminuire. Anzi, quest’anno c’è stata un’impennata di missioni militari a tutela di fonti energetiche inquinanti. Sempre senza alcuna discussione pubblica sugli interessi che le Forze armate italiane sono chiamate a difendere”.

Ancora, ricostruisce Basso: “Lo stretto legame tra il dispiegamento militare e gli interessi dell’azienda (ENI) è particolarmente evidente nel caso della missione ‘Mare Sicuro’: anche se il nome potrebbe evocare il salvataggio dei migranti, la prima ‘attività’ ufficiale dell’operazione è la ‘sorveglianza e protezione delle piattaforme ENI ubicate nelle acque internazionali prospicienti la costa libica’”.

Il saccheggio del petrolio libico è quantificabile nel 40 per cento del totale    estratto ogni anno, come viene calcolato dalla ‘National Oil Corporation’ (NOC).

“La relazione governativa – scrive Greenpeace – precisa che la missione ‘assicura con continuità la sorveglianza e la protezione militare alle piattaforme dislocate nelle acque internazionali antistanti le coste libiche, la protezione al traffico mercantile nazionale operante in area’. Tra i compiti della missione, anche quelli connessi alla controversa missione a supporto della Guardia costiera libica, che ogni anno suscita proteste fuori e dentro il Parlamento, ma poi viene immancabilmente approvata”.

Anche l’ultima missione militare europea (IRINI) varata all’inizio del 2020, e a guida italiana, è stata ed è “una missione militare attiva volta alla protezione degli interessi italiani in Libia”.

Dettaglia il rapporto di Greenpeace: “Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha precisato che è ‘quanto mai importante e necessario mantenere la nostra presenza sul terreno per essere pronti, in caso la situazione precipiti, a proteggere i nostri interessi e a tutelare il personale italiano variamente presente nel Paese”.

“Interessi che l’Ispi e il Documento programmatico della Difesa identificano nella gestione dei flussi migratori e nella sicurezza energetica: ‘L’Italia dal punto di vista energetico non può fare a meno del petrolio e del gas libico. (…) L’obiettivo primario dell’operazione rimane il sostegno al governo di accordo nazionale libico, attraverso l’assistenza sanitaria, la formazione delle forze di sicurezza, l’assistenza nel controllo dell’immigrazione illegale, il ripristino dell’efficienza degli assetti terrestri, navali ed aerei, e l’attività di capacity building”.

Commenta Severgnini, uno degli animatori del progetto ‘Exodus’, in contatto con centinaia di libici: “Si scrive ‘gestione dei flussi migratori’ ma si legge ‘gestione dei flussi di idrocarburi’. Ecco a cosa serve la migrazione dall’Africa. Ecco perché 700 mila ragazzini africani sono stati ingannati per essere portati in Libia, gli si è dovuto raccontare che in pochi mesi avrebbero raggiunto l’Europa dove avrebbero trovato un fisso mensile garantito dallo Stato ospitante, per metterli in marcia verso la Libia. Ed ecco perché, dopo anni in stato di schiavitù senza possibilità di fuga, la maggior parte di loro stia chiedendo ora di essere riportata a casa”.

E continua: “Ma no, nessun esperto di migrazione sarà mai disposto ad ammetterlo. Come nessun esperto di migrazione ha speso una parola sul fatto che le elezioni libiche, fissate per lo scorso 24 dicembre, alla fine non si sono tenute, perché l’elezione di Saif Gheddafi, dato al 70 per cento nei sondaggi, avrebbe smantellato il sistema di potere in Tripolitania, basato sulle milizie che consente il saccheggio del petrolio libico. Allora, se le cose stanno così, dobbiamo dirlo chiaramente: l’Italia ha dichiarato guerra alla Libia, ha trasformato la Tripolitania in un protettorato in consorzio con gli altri Paesi NATO e la migrazione è una trappola infernale per arrotondare le tasche delle milizie, ma soprattutto per gettare fumo negli occhi degli spettatori europei e lasciare che il saccheggio continui indisturbato”.


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