Un altro colpo di scena nel tragico giallo del Moby Prince che sta per compiere 40 anni il prossimo 10 aprile senza che mai un colpevole, neanche l’ombra, sia stato assicurato alle patrie galere.
Nel corso di una delle ultime audizioni che si stanno svolgendo davanti alla seconda Commissione parlamentare d’inchiesta, stavolta presieduta dal PD Andrea Romano, un ex funzionario dei servizi segreti, al quale incredibilmente nel corso della prima inchiesta venne assegnato il ruolo di perito, tira fuori la storia dell’esplosivo a bordo del Moby Prince, di cui sostiene di aver a suo tempo rilevato le tracce: venne snobbato, racconta, dai pm con i quali entrò in rotta di collisione, arrivando fino ad una denuncia al Csm.
Adesso spuntano fuori i verbali di una precedente audizione, in queste ore resa nota per via di alcune possibili ‘secretazioni’, e in qualche modo torna a far capolino la ‘pista esplosivo’. O meglio, improvvisamente (ossia dopo 40 anni!) salgono alla ribalta due misteriosi individui a bordo nelle ore precedenti la partenza del traghetto e quindi del rogo che stroncò tante vite innocenti.
A raccontare la storia, davanti ai membri della Commissione, è Marina Caffarata, moglie del secondo ufficiale del Moby Prince, Lido Giampedroni. La signora si imbarcò sul Mobyin compagnia del marito e del figlio di due anni, Emanuele, alle 14 di quel tragico 10 aprile 1991.
Ecco le sue parole: “Quando siamo arrivati, un marinaio ha detto a mio marito: ‘Sai che abbiamo trovato a bordo?’”.
Sempre in presenza della signora Caffarata, la notizia viene confermata al marito anche dal capo dei marinai, il nostromo Ciro Di Lauro, il quale osservò: “Non sappiamo cosa stavano a fare”. Al che Giampedroni chiede al nostromo se avessero chiamato la polizia, sentendosi rispondere in modo laconico ‘No, li abbiamo fatti scendere”.
Marina Caffarata afferma davanti ai commissari di avere, all’epoca dell’inchiesta, riferito l’episodio al pm incaricato, Luigi De Franco e al coordinatore della polizia giudiziaria della Procura, l’ispettore Giampiero Grosselle. “Ma il mio racconto non venne mai preso a verbale”, puntualizza adesso.
E aggiunge un altro elemento non da poco. “Un anno fa ho scritto quanto accaduto anche alla Procura di Livorno (che ha riaperto il caso, ndr), via pec: ma non mi hanno mai risposto”.
Da notare che Di Lauro non era a bordo del Moby la sera della collisione con la petroliera Agip Abruzzo, perché aveva ottenuto un ‘permesso verbale’, mai ben chiarito.
E fu lo stesso nostromo, cinque mesi dopo la tragedia, nel settembre ’91, a confermare alla procura di Livorno di aver effettuato una manomissione alla timoneria del Moby Prince, il giorno dopo l’ormeggio in porto del relitto durante le fasi di recupero dei corpi.
Reo confesso, quindi, Di Lauro, e assolto dai giudici livornesi con sentenza definitiva perché “il fatto non sussiste”. Se l’era sognata, quella manomissione?
E fu assolto anche chi, a sua volta, il nostromo aveva tirato in ballo come colui il quale gli aveva ordinato quella manovra: ossia il vicecapo ispettore tecnico della compagnia armatoriale del Moby, Pasquale D’Orsi.
Misteri nei misteri.
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MOBY PRINCE / DOPO 30 ANNI SPUNTA LA PISTA DELL’ESPLOSIVO
29 Dicembre 2021 di PAOLO SPIGA
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