PANDEMIA / LA ‘SOLUZIONE’ SARA’ POLITICA, NON EPIDEMIOLOGICA

Abbiamo appena pubblicato (20 dicembre) due interventi usciti sul prestigioso ‘British Medical Journal’ (BMJ), entrambi sull’obbligo vaccinale in Inghilterra: il report di una Commissione della Camera dei Lord di Londra e la lettera aperta di un gruppo di medici e ricercatori britannici.

Adesso potete trovare altri due autorevoli interventi, ripresi dal sito di controinformazione ‘L’Antidiplomatico’.

Il primo è firmato dal direttore scientifico e coeditore del BMJ, Peter Doshi, e fa il punto sulla situazione della pandemia, la cui ‘fine’ –   argomenta con divizia di particolari – “sarà una scelta politica e non epidemiologica”.

Ricordiamo che Doshi è stato uno dei primi ricercatori, a livello internazionale, a denunciare la quanto meno scriteriata gestione politica della pandemia nei paesi occidentali, nonché la totale approssimazione nel condurre i ‘trials’ per l’approvazione del vaccino di Pfizer, accusando senza mezzi termini la sempre (un tempo) rigorosa ‘Food and Drug Administration’ statunitense (che ha dato l’ok finale al vaccino Pfizer, in modo del tutto anomalo, il 23 agosto scorso)  di essere prona agli interessi politici della Casa Bianca, ed economici di Big Pharma.

Il secondo intervento è di Muge Cevik, docente di malattie infettive e virologia medica. Durante la pandemia, Cevik ha lavorato (e lavora) a stretto contatto con il ‘Chief Medical Officer’ per la Scozia e fa parte del New and Emerging Respiratory Virus Threats Advisory Group’ (NERVTAG), un comitato di esperti del Dipartimento della Salute del Regno Unito.

 

 

Peter Doshi sul BMJ: La fine (o meno) della pandemia sarà una scelta politica e non epidemiologica

Peter Doshi

Si intitola così – ed è un titolo che dice tutto – uno degli ultimi articoli di Peter Doshi su BMJ.Parla di come, in confronto alle pandemie precedenti, la SARS-Cov-2 ha prodotto uno sconvolgimento senza precedenti della vita sociale e fa notare che è la prima nella quale i dati aggiornati in tempo reale, trasmessi quotidianamente dalle televisioni e dai media, hanno saturato e strutturato la percezione del pubblico. Ricorda che le pandemie non si concludono quando la trasmissione del contagio finisce, ma piuttosto quando, nell’attenzione del pubblico e nel giudizio di certi media e delle élite politiche che modellano quell’attenzione, il contagio e la malattia cessano di fare notizia. Questo articolo ci ricorda che la fine della pandemia non seguirà il raggiungimento dell’immunità di gregge o una dichiarazione ufficiale, ma piuttosto si verificherà gradualmente e in modo non uniforme, man mano che le società cesseranno di essere ossessionate dai dati quotidianamente pubblicati. E termina con una frase che faccio anche mia: “Considerandola come un periodo straordinario in cui la vita sociale è stata stravolta, la pandemia di covid-19 sarà finita quando spegneremo i nostri schermi e decideremo che altri problemi sono di nuovo degni della nostra attenzione. A differenza del suo inizio, la fine della pandemia non sarà televisiva”
Di seguito la traduzione dell’articolo per la quale vi prego di perdonarmi per qualche errore o imprecisione.

All’inizio dell’anno 2021, la pandemia di covid-19 sembrava allontanarsi. Le discussioni e le previsioni sull’”apertura”, il ritorno alla “normalità” e il raggiungimento dell’immunità di gregge erano nell’aria. Ma per molti l’ottimismo è diminuito con l’aumento dei casi e delle morti in India, Brasile e altrove. L’attenzione si è rivolta alle varianti del virus SARS-CoV-2 e, recentemente, all’emergere di omicron. Proprio quando la fine sembrava essere all’orizzonte, è stata interrotta dalla previsione che la pandemia potrebbe essere ben lungi dall’essere finita.A differenza di qualsiasi pandemia precedente, il covid-19 è stato seguito da vicino attraverso i grafici che mirano a mostrare il movimento in tempo reale e gli effetti del coronavirus; essi tracciano il numero dei test di laboratorio, i ricoveri in ospedale e in terapia intensiva, i tassi di trasmissione e, più recentemente, le dosi di vaccino somministrate.

Questi grafici – con i loro pannelli di numeri, statistiche, curve epidemiche e mappe colorate – hanno dominato i nostri televisori, computer e smartphone. Al loro centro c’è il fascino dell’obiettività e dei dati a cui aggrapparsi in mezzo all’incertezza e alla paura. Hanno aiutato le popolazioni a concettualizzare la necessità di un rapido contenimento e controllo, orientando il sentimento pubblico, alimentando la pressione per le contromisure e mantenendo un’ atmosfera di emergenza. Offrono un senso di controllo quando i casi diminuiscono in seguito a certe contromisure, ma possono anche alimentare un senso di impotenza e di catastrofe imminente quando i casi aumentano.Problemi di definizione della fine di una pandemiaNon esiste una definizione universale dei parametri epidemiologici della fine di una pandemia.

Con quale metrica, allora, sapremo che è effettivamente finita? L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato la pandemia di covid-19, ma chi ci dirà quando sarà finita?L’ubiquità dei grafici ha contribuito a creare il senso che la pandemia sarà finita quando gli indicatori raggiungeranno tutti lo zero (infezioni, casi, morti) o il 100 (percentuale di vaccinati). Tuttavia, le pandemie respiratorie del secolo scorso dimostrano che la fine non è netta, e che la fine della pandemia è meglio intesa come la ripresa della vita sociale, non il raggiungimento di specifici obiettivi epidemiologici.

Le pandemie respiratorie degli ultimi 130 anni sono state seguite da ondate stagionali annuali alimentate dall’endemicità virale che tipicamente continua fino alla pandemia successiva. Ciò che va giù torna su, e la difficoltà nel datare la fine di una pandemia si riflette nella letteratura storica ed epidemiologica. Sebbene molti studiosi descrivano “l’influenza spagnola” come un evento di tre ondate, dal “1918 al 1919”, i riferimenti alla pandemia “dal 1918 al 1920” sono più vasti, riferendosi anche a quella che alcuni chiamano una “quarta ondata”. Allo stesso modo, la pandemia di “influenza asiatica” di metà secolo è generalmente descritta come un evento di due ondate dal 1957 al 1958, ma altri includono una terza ondata, collocando la fine della pandemia nel 1959.

Questa variabilità nella datazione delle pandemie storiche evidenzia la natura imprecisa dell’uso dei tassi di mortalità per determinare, anche retrospettivamente, la “fine” di una pandemia e l’inizio del “periodo interpandemico”. Per esempio, il CDC afferma oggi che circa 100.000 americani sono morti in ciascuna delle pandemie influenzali del 1957 e del 1968. Ma queste stime includono morti avvenute in periodi che la maggior parte di noi considererebbe tra le pandemie (1957-1960 e 1968-1972, rispettivamente).

La nozione, rafforzata dai grafici, che una pandemia finisce quando i casi o i decessi scendono a zero è in contrasto con l’evidenza storica che una sostanziale morbilità e mortalità influenzale continua a verificarsi, stagione dopo stagione, tra le pandemie. Nella stagione interpandemica del 1928-29, per esempio, si stima che negli Stati Uniti si siano verificati oltre 100.000 decessi in eccesso legati all’influenza A/H1N1 (il virus pandemico del 1918) in una popolazione grande un terzo di quella odierna. Inoltre, può essere difficile discernere quali morti possono essere attribuite alla pandemia e quali appartengono al periodo interpandemico. Le distinzioni non sono banali, poiché l’eccesso di mortalità è la classica metrica per valutare la gravità. Gli anni interpandemici hanno talvolta avuto un tasso di mortalità più alto rispetto alle stagioni pandemiche che sono seguite, come la stagione 1946-47 che ha preceduto la stagione pandemica 1957-58.

Quindi, la fine di una pandemia non può essere definita dall’assenza di morti in eccesso associate all’agente pandemico. Interruzione e ripresa della vita socialeUn altro modo in cui potremmo dichiarare la fine di una pandemia è considerare l’imposizione e la revoca di misure o restrizioni di salute pubblica. Le misure usate nelle pandemie precedenti sono state più fugaci e meno invasive di quelle che sono state usate nella covid-19. Anche per la catastrofica influenza spagnola – che ha ucciso tre volte più persone per popolazione negli Stati Uniti rispetto al covid-19, con un’età media di decessi di 28 anni – la vita è tornata alla normalità in breve tempo, forse perché non c’era altra scelta.

In un’epoca precedente a internet, alle app per la consegna del cibo e per le riunioni video, un allontanamento sociale diffuso e prolungato non era semplicemente possibile, una situazione che rimane tale anche oggi per molti lavoratori considerati “essenziali”. In effetti, un breve sguardo alle pandemie passate negli Stati Uniti mostra che non esiste una relazione fissa o deterministica tra la patogenicità di un virus e l’intensità e la durata degli interventi di salute pubblica.In confronto alle pandemie precedenti, la pandemia di covid-19 ha prodotto uno sconvolgimento senza precedenti della vita sociale. La gente ha sperimentato a lungo la tragedia della malattia e della morte inaspettata in anni pandemici e non pandemici, ma la pandemia di covid-19 è storicamente unica nella misura in cui l’interruzione e la ripresa della vita sociale sono state così strettamente legate alla metrica epidemiologica Grafici: combattere o alimentare la pandemia?

Mentre le rappresentazioni visive delle epidemie esistono da secoli, la covid-19 è la prima in cui i grafici in tempo reale hanno saturato e strutturato l’esperienza del pubblico.Alcuni storici hanno osservato che le pandemie non si concludono quando la trasmissione della malattia finisce “ma piuttosto quando, nell’attenzione del pubblico generale e nel giudizio di certi media e delle élite politiche che modellano quell’attenzione, la malattia cessa di fare notizia”. I grafici pandemici forniscono un carburante infinito, assicurando la costante attualità della pandemia di covid-19, anche quando la minaccia è bassa. Così facendo, potrebbero prolungare la pandemia limitando il senso di chiusura o il ritorno alla vita precedente alla pandemia.

Disattivare o disconnetterci dai grafici può essere la singola azione più potente per porre fine alla pandemia. Questo non significa nascondere la testa sotto la sabbia. Piuttosto, è riconoscere che nessuna serie singola o congiunta di metriche può dirci quando la pandemia è finita.La fine della pandemia non vi sarà consegnato.

La storia suggerisce che la fine della pandemia non seguirà il raggiungimento dell’immunità di gregge o una dichiarazione ufficiale, ma piuttosto si verificherà gradualmente e in modo non uniforme man mano che le società cesseranno di essere tutte ossessionate dai grafici scioccanti della pandemia. La fine della pandemia è più una questione di esperienza vissuta, e quindi è più un fenomeno sociologico che biologico. E quindi i grafici – che non misurano la salute mentale, l’impatto educativo e la paura di legami sociali stretti – non sono lo strumento che ci dirà quando la pandemia finirà. Anzi, considerando come le società sono arrivate a usare i grafici, potrebbero essere uno strumento che ci impedisce il ritorno alla normalità. Le pandemie – almeno le pandemie virali respiratorie – semplicemente non finiscono in un modo adatto ad essere visualizzato sui grafici. Lontano da una “fine” drammatica, le pandemie svaniscono gradualmente man mano che la società si adatta a convivere con il nuovo agente patogeno e la vita sociale torna alla normalità.Come un periodo straordinario in cui la vita sociale è stata stravolta, la pandemia di covid-19 sarà finita quando spegneremo i nostri schermi e decideremo che altri problemi sono di nuovo degni della nostra attenzione. A differenza del suo inizio, la fine della pandemia non sarà televisiva.

https://www.bmj.com/content/375/bmj-2021-068094…

 

 

 

 

Vaccini Covid-19, immunità e booster

di Muge Cevik

Molte persone non hanno ancora una protezione essenziale (e duratura) dalla vaccinazione primaria

Dal nostro precedente editoriale di settembre 2021 1 è stato pubblicato un numero crescente di prove sull’efficacia del vaccino contro il covid-19, compresa quella della terza dose e del richiamo, e diversi paesi hanno autorizzato i richiami per la popolazione adulta in generale. 2

Gli studi reali ben condotti sull’efficacia dei vaccini sono un importante complemento agli studi randomizzati controllati. Ad esempio, due studi collegati utilizzano progetti di test negativi per analizzare ricchi set di dati provenienti da grandi sistemi sanitari. In primo luogo, Israele e colleghi (doi: 10.1136/bmj-2021-067873 ) hanno stimato i cambiamenti nel tempo nell’efficacia del vaccino Pfizer-BioNTech BNT162b2 contro l’infezione da SARS-CoV-2 tra i membri di un sistema sanitario nazionale in Israele durante un periodo dominato dalla variante delta. 3Hanno riscontrato un aumento del rischio di infezione associato ad intervalli superiori a tre mesi dalla vaccinazione completa. Gli odds ratio aggiustati erano 2,37 a tre o quattro mesi dopo la vaccinazione, ma aumentavano solo leggermente a 2,82 a sei mesi o più.

Il secondo studio, di Bruxvoort e colleghi (doi: 10.1136/bmj-2021-068848 ), ha valutato l’efficacia del vaccino mRNA-1273 di Moderna contro le varianti di SARS-CoV-2 tra cui delta, alfa, mu e altri tra 8153 casi e abbinato controlli in un sistema sanitario integrato in California. 4 efficacia del vaccino contro l’infezione con la variante delta era del 94,1% (intervallo di confidenza 95% da 90,5% a 96,3%) a due mesi o meno dopo la vaccinazione, scendendo all’80,0% (da 70,2% a 86,6%) da cinque a sei mesi. Per le varianti non delta, l’efficacia del vaccino è stata maggiore e più stabile nel tempo, passando dal 98,6% a due mesi o meno all’88,7% a cinque-sei mesi. È importante sottolineare che l’efficacia del vaccino contro il ricovero in ospedale con la variante delta è rimasta al 97,5% (dal 92,7% al 99,2%).

Sebbene questi studi forniscano preziose informazioni, tutti gli studi osservazionali sono vulnerabili ai pregiudizi legati alle differenze sottostanti tra le popolazioni studiate, che possono portare a differenze tra l’efficacia stimata e quella reale. Per contesto, si consideri lo studio randomizzato iniziale che valuta il vaccino BNT162b2, condotto prima della comparsa della variante delta, che ha riportato un’efficacia stimata contro l’infezione sintomatica da parte delle varianti pre-delta del 96,2% (dal 93,3% al 98,1%) a due mesi o meno , 90,1% (da 86,6% a 92,9%) da due a quattro mesi e 83,7% (da 74,7% a 89,9%) da quattro a sei mesi dopo la vaccinazione. 5Questi cambiamenti nel tempo sono coerenti con i risultati di Israel e colleghi, indicando che la distorsione residua in quello studio è probabilmente piccola. Possiamo avere fiducia nella loro osservazione che l’efficacia rimane relativamente stabile oltre i sei mesi, anche nel contesto del delta. A sostegno di ciò, in un’analisi post hoc durante un periodo dominato dal delta, le differenze nei tassi di infezione tra i partecipanti originariamente randomizzati al vaccino e quelli che hanno ricevuto il vaccino dopo l’apertura del cieco sei mesi dopo suggeriscono un declino minimo e più graduale dell’efficacia dall’83,7% a da quattro a sei mesi al 78% a 10-12 mesi. 6 Insieme, i dati osservativi e randomizzati fino ad oggi suggeriscono che dopo un declino iniziale, la protezione può diventare più stabile, anche nel contesto del delta.

In precedenza abbiamo sostenuto che gli studi che mostrano un modesto declino dell’immunità non supportano l’uso indiscriminato di dosi di richiamo al di fuori delle popolazioni più anziane e vulnerabili dal punto di vista medico. 7 Da allora uno studio randomizzato controllato (non ancora sottoposto a revisione paritaria) ha rilevato che una terza dose di BNT162b2, circa 11 mesi dopo il ciclo primario, ha fornito un’efficacia relativa del 95,3% (88,5%-97,9%) contro l’infezione sintomatica durante 2,5 mesi di follow-up. in aumento, rispetto a due sole dosi. 8Ciò è coerente con i dati osservativi sull’efficacia del richiamo, 9 10 11 Anche le di richiamo compreso uno studio di coorte abbinato rigorosamente condotto che mostra che questi benefici si estendono a esiti gravi, principalmente tra le persone anziane. 12Le dosi di richiamo possono anche avere un ruolo nell’aiutare a ridurre la trasmissione in popolazioni ben vaccinate durante i periodi di sostanziale trasmissione comunitaria. 13

La ricerca ancora in fase di prestampa suggerisce che la nuova variante dell’omicron è associata a una ridotta risposta anticorpale neutralizzante a seguito di due dosi di vaccino, che viene annullata da una dose di richiamo o dall’immunità ibrida da una combinazione di vaccinazione e infezione. 14 15 Una riduzione dell’efficacia del vaccino e una migliore protezione offerta dalle dosi di richiamo è supportata anche da dati clinici preliminari provenienti dal Regno Unito. 16 È quindi plausibile che titoli anticorpali più ampi e aumentati generati da una terza dose o di richiamo possano essere in grado di superare la ridotta neutralizzazione associata alla variante dell’omicron. Ulteriori ricerche che valutino l’efficacia delle dosi di vaccino primario e aggiuntivo contro l’omicron sono chiaramente una priorità.

Sebbene una terza dose o di richiamo fornisca chiaramente una protezione aggiuntiva oltre a invertire semplicemente la precedente diminuzione, la massima protezione dai peggiori esiti clinici rimane fortemente concentrata nelle prime due dosi. 17 La durabilità a lungo termine della protezione contro il ricovero ospedaliero offerta dai regimi vaccinali a due dosi è chiara, in particolare con un intervallo esteso tra le due dosi (e anche di fronte a nuove varianti). 18Data l’importanza di ridurre il carico di malattia a livello globale, le vaccinazioni in contesti a basso reddito, dove la stragrande maggioranza delle persone deve ancora ricevere anche una prima dose, dovrebbero avere la priorità rispetto a dosi aggiuntive in contesti ad alto reddito. Le politiche che accumulano preferibilmente dosi di vaccino in ambienti ad alto reddito rimangono indifendibili. Sebbene non conosciamo le circostanze precise che hanno portato all’emergere di omicron, è chiaro che le estreme disparità nell’accesso ai vaccini tra ambienti ad alto reddito e a basso reddito creano le condizioni ideali per l’evoluzione in corso di SARS-CoV-2.

 

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OBBLIGO VACCINALE / IL “NO” DEI SANITARI IGNORATO DAL GOVERNO INGLESE   

20 Dicembre 2021  di PAOLO SPIGA


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