Le mani della camorra sugli appalti ferroviari.
I tentacoli della malavita organizzata, soprattutto campana, sui miliardari lavori dell’Alta velocità.
E’ lo scoop cucinato da ‘Report’ per il menù serale del 20 dicembre.
Peccato che la storia sia vecchia di trent’anni, raccontata dalla Voce fin dai primi ’90, ricostruita nei verbali della Commissione Antimafia del ’96 e ottimamente raccolta nel libro-verità “Corruzione ad Alta Velocità”, firmato nel 1999 da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato.
Ma, soprattutto, come avevano incredibilmente intuito Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che proprio per questo vennero fatti saltare in aria: “dovevano morire”, perché avevano scoperto quel nuovo Eldorado chiamato TAV per mafia & camorra, unite nella spartizione nel gigantesco fiume di danari pubblici. Con gli ‘amici’ giusti.
Le odierne novità che il team di Report passerà ovviamente ai raggi x sono i “20 miliardi di euro del Recovery Plan” che fanno tanto gola ai clan, come da giorni preannuncia il pacioso volto di Sigfrido Ranucci via spot Rai.
Procediamo in ordine cronologico.
QUEL SUPER DOSSIER “MAFIA & APPALTI”
Falcone e Borsellino hanno potuto lavorare per circa un anno alla pista “Mafia & Appalti”, sulla scorta di un ponderoso dossier elaborato dal ROS dei carabinieri, nonché servirsi delle numerose informative redatte dallo SCO della polizia e dei report del GICO delle Fiamme gialle.
Tutti gli sforzi investigativi erano finalizzati a individuare, in anticipo, i meccanismi attraverso cui le mafie (ossia mafia, camorra e ‘ndrangheta) si stavano attrezzando per dare l’assalto alla diligenza, cioè alle vagonate di miliardi pubblici che lo Stato generosamente metteva in campo per dar vita al faraonico progetto dell’Alta Velocità, il TAV (Treno ad Alta Velocità) per i suoi fans: costosissimo (perciò ottimo per tutti), inutile (del tutto dimenticate le ferrovie secondarie) e devastante sotto il profilo ambientale
Di particolare pregnanza le quasi mille pagine preparate dal ROS della Benemerita, un maxi rapporto che scandaglia fino in fondo i rapporti, le connection, le collusioni tra grandi imprese del nord e quelle del Sud collegate con cosche e clan. Emblematico, tra tutti i casi, quello del Gruppo Ferruzzi, che con la sua Calcestruzzi sbarca in Sicilia e firma un vero e proprio accordo con gli uomini di rispetto. Tutto ciò farà dire a Falcone, nel 1989, “la Mafia è arrivata in Borsa”, riferendosi alla quotazione del titolo Ferruzzi in Borsa.
Una story, questa, che arriva fino al clamoroso ‘suicidio’ di Raul Gardini, nel pieno della bufera di Tangentopoli, quando il manager si toglie la vita appena prima di recarsi in Procura, a Milano, per ‘vuotare il sacco’. Di tutta evidenza, anche Gardini ‘doveva morire’, cioè ‘non doveva parlare’.
La Voce ha più volte scritto del dossier ‘Mafia& Appalti’, il vero detonatore per le bombe di Capaci e di via D’Amelio; così come ne ha scritto – in perfetta solitudine – Ferdinando Imposimato, quando firmò, nel 1996, la relazione di minoranza all’interno della Commissione Antimafia, all’epoca presieduta dalla forzista Titti Parenti. Una relazione al calor bianco, una vera ‘bomba’, perché venivano messi nero su bianco i nomi di imprese, faccendieri e politici di riferimento, tutti d’amore e d’accordo per spartirsi il gigantesco bottino, un affare colossale partito da appena 27 mila miliardi di lire, lievitato a dismisura con il passare dei primi anni e già attestato, nel 1998, a quasi 150 mila miliardi di lire.
Un conto, quello dei miliardi profusi, che ormai non si riesce più a tenere. E che continua in tutti gli anni duemila e fino ai giorni nostri: tanto è vero che gli ultimi ad arrivare sono proprio i miliardi (ma di euro) del Recovery: non 20, come calcola Report, ma oltre il doppio. E vedremo poi come.
Torniamo al dossier ‘Mafia & Appalti’, dove erano contenuti tutti gli ingredienti di una Tangentopoli ante litteram. E venivano passate ai raggi x imprese che, come in una cartina di tornasole, documentano i rapporti collusivi tra politica, imprese & mafie.
L’IMPRESA DEL CUORE DI ‘O MINISTRO
Tanto per citarne solo alcuni, nel dossier si dettagliano le acrobazie finanziarie della regina del dopoterremoto (l’altra grande manna piovuta dal cielo nel 1980, 70 mila miliardi pubblici pronta cassa) in Campania, ossia ‘ICLA’, l’impresa del cuore di ‘O Ministro Paolo Cirino Pomicino; in ottimi rapporti con la ‘Sorrentino Costruzioni Generali’ prima vicina alla NCO di Raffaele Cutolo poi alla ‘Nuova Famiglia’ di casa Alfieri, e capace di fare un sol boccone, incorporandola, del colosso storico del mattone partenopeo, ‘Fondedile’.
Si parla a lungo di ‘Saiseb’, sigla nell’orbita di Angelo Siino, il ‘ministro dei lavori pubblici’ di Cosa Nostra, una delle reginette degli appalti pubblici in Sicilia, come ad esempio le fognature a Selinunte e i lavori per svariati comuni, come Castelvetrano.
E si parla della ‘Rizzani de Eccher’, l’impresa friulana che può contare su un referente siciliano di tutto rispetto, il geometra Giuseppe Li Pera, l’uomo che conosce tutti i meccanismi degli appalti in Sicilia e non solo; e conosce tutte le collusioni tra imprese del nord e quelle in forte odore mafio-camorristico del sud; e sa tutto sul ‘Sistema Tav’.
Li Pera finisce in galera, e durante la sua detenzione nel carcere romano di Rebibbia viene interrogato dal pm che regge le redini del pool milanese di Mani Pulite, Antonio Di Pietro.
E proprio seguendo le mosse del pm che improvvisamente abbandona la toga e si tuffa in politica, scopriremo perché non è scoppiata la vera Tangentopoli, quella soprattutto a base di TAV, mentre invece è solo andata in scena quella eterodiretta e voluta dalla CIA: perché – pochi lo sanno e quei pochi preferiscono non ricordarlo – nei dieci mesi che hanno preceduto l’inizio di ‘Mani Pulite’, quel 14 febbraio 1992 con l’arresto di Mario Chiesa, l’ex poliziotto Di Pietro soleva recarsi, almeno un paio di volte al mese, in visita di cortesia nella magione meneghina del console generale americano, Robert Seldon: di tutta evidenza per ricevere istruzioni operative e anche per aggiornare i servizi a stelle e strisce sui lavori investigativi in corso. Ottimo e abbondante.
Di Pietro, quindi, ha la possibilità di interrogare “chi tutto sa”, Li Pera, sugli appalti siciliani, attraverso i quali corre il filo rosso della corruzione via TAV e il saccheggio politico-mafioso delle casse pubbliche: però non cava un ragno dal buco. Strano, per un pm di tempra ed esperienza come lui…
Ma Di Pietro concede addirittura il bis. E fa il suo capolavoro con la “non inchiesta” sull’Alta velocità: chiamatelo se volete – e di certo ci ‘azzeccate’ – depistaggio. In piena regola.
IL DEPISTAGGIO TAV
Qual è, stavolta, il personaggio chiave, l’uomo di tutti i segreti, colui che tutto sa: o meglio, proprio secondo la definizione data da Di Pietro, ‘l’Uomo a un passo da Dio’?
Si chiama Pierfrancesco Pacini Battaglia detto Chicchi, un faccendiere-banchiere italo elvetico. La Voce ne scrive proprio in occasione dei primi articoli sull’affaire TAV: il suo nome, infatti, faceva capolino in una società, ‘Orox Finanziaria’, che lavorava nell’orbita di ‘Italferr-Sis-Tav’, la società pubblica incaricata dei controlli (sic) sui lavori per l’alta velocità. Della compagine di Orox all’epoca (1993) facevano parte, oltre a Pacini Battaglia, il suo amico Bruno Cimino (manager in Agip Petroli) ed Eugenio Buontempo, il mattonaro partenopeo di riferimento della ‘sinistra ferroviaria’ griffati Psi. Pacini Battaglia e Buontempo, poi, sono stati anche a bordo di una sigla che ha effettuato rilievi nei fondali di Ustica, dopo l’inabissamento del DC9 Itavia.
Torniamo al super depistaggio firmato Di Pietro a base di TAV, dettagliato passo dopo passo nell’imperdibile “Corruzione ad Alta Velocità”.
Sull’affaire TAV partono due inchieste. Una a Roma, concernente soprattutto il profilo ministerial-amministrativo; l’altra (la ciccia) a Milano, sul versante imprenditoriale.
Ecco il primo colpo da maestro messo a segno da don Tonino. Riesce ad ‘avocare’ il fascicolo capitolino, con il pretesto che è opportuno unificare i due filoni e che il principale è, appunto, a Milano, dove c’è una gola profonda che sta parlando (il Chicci). Convince così il più che malleabile titolare delle indagini nel porto capitolino delle nebbie, Giorgio Castellucci, a mollare le carte e a spedirle alla procura milanese.
Atto secondo, all’ombra della Madunina.
Cosa fa – anomalia delle anomalie – il solitamente inflessibile ex poliziotto?
Per una volta, proprio quella volta, al cospetto dell’Uomo a un passo da Dio, usa il guanto di velluto. La sua proverbiale durezza si scioglie come neve al sole, l’imputato Chicchi non fa neanche una notte in gattabuia e torna libero come un fringuello.
Senza aver raccontato niente di niente.
Miracolo di Sant’Ambrosio oppure di San Gennaro? Più probabilmente del secondo, perché per patrocinare la difesa del banchiere che potrebbe arruolare qualsiasi principe del foro, arriva invece dalla Campania un avvocato senza arte né parte, tale Giuseppe Lucibello. Nel suo pedigree c’è solo una nota: è un grande amico di don Tonino.
Il gioco, quindi, è presto fatto. L’oracolo Chicchi resta muto, anche se ‘sbiancato’.
Oppure ‘sbancato’? E’ questo il mistero che i giudici del tribunale di Brescia sono chiamati a decrittare, nel procedimento al quale poi va incontro Di Pietro. Un procedimento che lo vedrà assolto sotto il profilo penale, ma pesantemente censurato sotto quello etico, deontologico, professionale, per via dei più che anomali comportamenti (che hanno fruttato ricchi cadeau e molteplici ‘utilità’) intrattenuti con i ‘suoi’ imputati, spesso e volentieri via ‘legali’, come con l’amico Lucibello.
Alla fine della story, quindi, la maxi inchiesta sull’affare TAV va a farsi benedire, tutto finisce a tarallucci e vino, dopo pochi mesi don Tonino si sbarazza della toga e quell’inchiesta finisce letteralmente sotto montagne di naftalina. E non verrà mai più riesumata. Più che un depistaggio, l’autentico killeraggio di una pista investigativa d’oro.
Ultima ‘chicca’, è il caso dirlo: sapete da quale pm doveva andare per verbalizzare, quella tragica mattina, Raul Gardini? Da Di Pietro.
CIFRE, CLAN & IMPRESE
Ma terminiamo il tour ad alta velocità tornando a bomba.
Ossia a quelle mani della camorra sugli appalti banditi da FS e RFI (Rete Ferroviaria Italiana), farciti con i freschi miliardi del Recovery, di cui il 20 parla Report.
A proposito di cifre, ecco il totale reale, così come viene ricostruito da ‘Il Sole 24 Ore’: “La missione 3 del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) alimenta gli investimenti nelle infrastrutture ‘per una mobilità sostenibile’ con una spesa di 25,4 miliardi finanziata dai fondi europei, cui vanno aggiunti 6 miliardi previsti dal fondo complementare nazionale. (…) Ma se si vuole dare il totale delle risorse europee e nazionali collegate al Pnrr per le infrastrutture della mobilità sostenibile si deve parlare di 41,81 miliardi”.
Passando ai clan più impegnati, storicamente, nel dorato business di binari & carrozze, un nome è d’obbligo, quello dei Moccia da Afragola, uno dei più popolosi comuni dell’hinterland partenopeo dove, guarda caso, è miracolosamente ‘piovuta’ dal cielo la mega stazione TAV, un vero gioiello nel più totale deserto, firmato dall’archistar anglo-iraniana Zaha Hadid.
Per inquadrare e decifrare il contesto ‘ambientale’, ci affidiamo alle parole di Francesca Fagnani, che parte da una scena da soap, tutta melodie & confetti, ossia il pranzo nuziale di una rampolla eccellente, Lucia Moccia.
Dettaglia Fagnani: “Erano presenti molti imprenditori dell’area nord-est di Napoli, affidatari d’importanti appalti, come Bartolo Paone, un imprenditore di Casoria che con la sua ‘Cogepa’ ha stipulato contratti con Tim, Enel, Open Fiber, Enav, Terna; o come Giovanni Esposito, padre di Manlio ed Angelo, proprietari di ‘Kam Costruzioni’ con sede ad Afragola, che risulta nella lista degli operatori a cui RFI ha affidato appalti per una serie di attività, in un caso addirittura per 13 milioni di euro. A ben vedere risultano altre ditte, vicino ai Moccia, che lavorano per RFI: come ad esempio la ‘Railway Enterprice srl’, per una classe d’importo pari anche qui a 13 milioni, intestata a Concetta Credendino, moglie di Giuseppe De Luca (condannato in passato per mafia), cognato di Angelo Moccia e ai figli Antonio e Leonardo De Luca. Anni prima Railway, in un complicato valzer di passaggi societari, aveva acquisito la ‘Del Gap Costruzioni srl’, già destinataria di un’interdittiva antimafia perché sussistevano tentativi d’infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata”.
Continua la ricostruzione: “La lista degli amici imprenditori dei Moccia che si sono aggiudicati un appalto pubblico da RFI incredibilmente non finisce qui. Nell’elenco degli operatori che lavorano per l’azienda pubblica compare anche la ‘Edil-Fer srl’, di proprietà dei figli di Enrico Petrillo, Gennaro e Antonio e amministrata dalla sorella, Orsola Petrillo. Chi è Enrico Petrillo? Un imprenditore edile che entra molti anni fa nell’orbita dei Moccia attraverso amicizie pericolose con cui era in affari: Giorgio Salierno e sua moglie Immacolata Capone, tramite di Michele Zagaria, al vertice del clan dei Casalesi. Salierno e la Capone verranno assassinati in due distinti agguati camorristici, Enrico Petrillo invece resterà contiguo alla famiglia Moccia, tanto che la ‘Edil.Mer.’, la società di cui Petrillo era titolare, sarà poi colpita da due interdittive antimafia proprio perché ritenuta condizionata dal clan di Afragola. Anche la famiglia della moglie di Petrillo, Francesca Mormile, appare molto vicina ai Moccia: suo fratello Luigi fu arrestato a Gaeta per favoreggiamento, sorpreso in barca con i latitanti Angelo e Antonio Moccia; e sua sorella Giuseppa Mormileè la dama di compagnia di Teresa Moccia”.
Cin cin.
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