In fine degli anni settanta, operai specializzati, impiegati, dirigenti dell’azienda, lottarono strenuamente per impedire alla multinazionale farmaceutica Merrel di chiudere la produzione e licenziare tutto il personale: un mese di occupazione, solidarietà come forse non era mai successo e per la prima volta il coinvolgimento diretto della Regione, governata dalla Dc, costretta a schierarsi con i lavoratori, nonostante dietro le quinte dell’operazione si celasse Andreotti in persona, referente dell’azienda americana, in combutta con tale Hernandez, killer assoldato dalle multinazionali per ‘uccidere’ le fabbriche non solo italiane e trasferire la produzione in luoghi della Terra a basso costo del lavoro. La Merrel era sbarcata a Napoli, aveva rilevato la Cutolo Calosi, industria locale e se n’era servita per ottenere la penetrazione nel mondo dei medici prescrittori di farmaci. Ottenuto lo scopo decretò la chiusura di via Castellino e il benservito ai lavoratori. Anche allora, nessuno strumento per impedire la fuga dall’Italia, a differenza di Paesi previdenti che impongono pesantissime penali alle multinazionali emigranti senza ragioni condivise. Purtroppo i governi di qualunque colore che hanno guidato il Paese, non hanno mai rimediato alla mancanza di garanzie nei confronti di aziende straniere insediate in Italia e neppure il sindacato ha operato con la necessaria determinazione per ottenerle. A farne le spese sono ora i 321 dipendenti della Whirpool, fabbrica di elettrodomestici in buona salute, che chiude gli impianti di Napoli, licenzia tutti e lo fa indisturbata, stracciando l’accordo che impediva la chiusura. Ancora una volta il governo, incapace di respingere il provvedimento, non sa costringere la Whirpool a recedere e dal tribunale arriva il colpo di grazia alla speranza dei lavoratori di averla vinta. Respinge il ricorso per condotta antisindacale. La società, è questa l’inammissibile motivazione, non è da condannare, anche se non ha rispettato l’impegno a proseguire negli investimenti, come sancito dal piano sottoscritto. È da accertare l’anomalia delle lettere di licenziamento arrivate prima ancora che si conoscesse la discutibile decisione del tribunale (?!?). E il governo? I suoi inconcludenti bla, bla, come direbbe Greta Tunberg, le promesse di sventare la minaccia di chiusura della fabbrica, le rassicurazioni del ministro Orlando? L’ipotesi migliore per il futuro dei lavoratori licenziati è la promessa di creare nuove realtà produttive, ma i precedenti non l’incoraggiano. Anche quando chiuse l’Ilva di Bagnoli e sparì completamente il polo ovest industriale di Napoli si fece un gran parlare di attività sostitutive. Appunto, un gran parlare e nessun fatto.
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