‘Pacchia’ (definizione dal dizionario della lingua italiana on line): sostantivo femminile. Voce allusiva a una situazione straordinariamente vantaggiosa sul piano materiale: ‘è una pacchia, è una cuccagna’. Da ‘pacchiare’, sec. XVI. A ben pensarci la prolungata clausura, conseguenza del maligno coronavirus, pur con il rischio di cadere in lieve o grave depressione, è imparagonabile alla clausura per mesi, anni, decenni o per tutta la vita nella maggior parte, se non in tutte le carceri italiane.
Abbiamo sopportato con obbligata pazienza le ripetute esclusioni dalla vita di relazione, dai luoghi di lavoro, di studio, di svago. In vista di un prossimo (speriamo) riappropriarci della frequentazione, ci apprestiamo ad assaporare il gusto della libertà. Non sarà proprio pacchia, ma ci siano vicini. L’idea incombe sul racconto fotografico (che non mostriamo per ‘pudore’) e di testimoni-vittime dei feroci, disumani pestaggi subiti dai detenuti della prigione di Santa Maria Capua Vetere, oltraggiati, picchiati e privati per giorni dell’essenziale, anche dei farmaci, dalle guardie del penitenziario (diciassette i detenuti vittime della rivolta, più di cento gli agenti feriti e nessun responsabile a distanza di 15 mesi). Il perché della brutalità aggrava questo ignobile ‘fattaccio’: la furia dei secondini l’avrebbe scatenata la protesta dei detenuti, che al pari di uomini e donne in libertà, hanno chiesto di essere vaccinati per non ammalarsi di Covid e non diventare focolai di contagio. Le web cam hanno testimoniato la furia vigliacca dei pestaggi e la punizione dei colpevoli per il momento si concretizza con la sospensione dei 52 agenti responsabili, ma non soddisfa ancora la richiesta di condanna esemplare per quanto è accaduto. Altro che pacchia! L’episodio induce inevitabilmente a confrontare la situazione drammatica delle carceri italiane con i luoghi di detenzione di Paesi da questo versante più evoluti, privi di sovraffollamento, dotati di celle confortevoli, impegnati nello svolgimento di attività di recupero per il reinserimento dei carcerati nel mondo del lavoro e della società. Osservare le differenze sollecita la riflessione sulle conseguenze proprie della condanna al carcere, sulla privazione della libertà, che in Italia in più di un caso si accompagna a condizioni di estremo disagio ambientale, ad assenza di programmi di recupero. Primo responsabile è lo Stato, che assiste passivamente allo storico degrado, ma non meno quote della politica che negano anche in questo ambito il rispetto per lo stato di diritto. Lo sconcerto di Marta Cartabia, ministra della giustizia, rimarrà un esempio di solidarietà solo teorica? Il peggio è nelle farneticazioni leghiste di Salvini: “Padri di famiglia sotto accusa. Li conosco e sono convinto che non avrebbero fatto niente di male”. Ecco, con questi soggetti a remare contro, l’Italia riuscirà mai a trasformare l’indignazione della Cartabia e i governi che si avvicendano nell’indifferenza per il grave problema, in leggi e interventi tali da adeguare il nostro sistema carcerario agli standard di Paesi da imitare?
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