Doloroso addio

Non c’è foglio di carta stampata, emissione di radio e telegiornali che metta in secondo piano la scomparsa di un comunista autorevole, leale portatore di coerenza con l’ideologia marxista, uomo guida della sinistra di partito che nella sua involuzione lo ha relegato al ruolo di grande padre da esibire nelle manifestazioni di piazza per soddisfare la quota di iscritti “nostalgici” del Pci di Gramsci, Togliatti, Pajetta. Pietro Ingrao, è diventato un comunista scomodo in conseguenza del trasformismo rampante delle generazioni che, per capirci, hanno abolito il saluto “ciao, compagno” e introdotto nel linguaggio di comizi, interviste e scritti, il più asettico “amici”. Forse è inevitabile che in presenza di eventi speciali, qual è la morte di grandi personaggi, il coro di elogi non distingua più amici e avversari e lo conferma l’addio a Pietro Ingrao affidato ai media, il tributo di riconoscimenti bipartisan, l’enfasi di parte della stessa sinistra che lo ha emarginato con l’obiettivo di costruire le premesse del progetto che riferito al renzismo prende il nome di Partito della Nazione. Il “coccodrillo”, necrologio preparato per tempo in vista della scomparsa di Ingrao, nobile centenario, è uscito dai cassetti dei giornalisti, come i mille discorsi di circostanza, le lodi, la memoria riproposta di un esemplare percorso di vita, dello spessore politico e culturale, della sua riconosciuta umanità. Se ne va, con Ingrao, l’ultimo baluardo da opporre al revisionismo della sinistra storica che disconosce il seme marxista da cui è stata generata e si avvia alla fase di un’ inedita socialdemocrazia compatibile con l’omologazione mondiale a modelli di gestione soft della politica internazionale e del neo liberismo dominante. Trovare forme residuali di sinistra marxista è oramai possibile in alcuni paesi del sud e del centro America, nella Grecia di Varoufakis, nella Spagna di Iglesias e in prospettiva nell’ascesa a leader dei laburisti inglesi di Corbyn, in Italia nel sindacalismo politico di Landini. Pietro Ingrao, bene per lui, lascia un Paese in progressiva contiguità con la riedizione di momenti storici che hanno visto la società post bellica sotto tutela americana, di vincitori impegnati a garantirsi un’alleanza economica, politica e militare nell’area strategica del Mediterraneo. Un’Italia fortemente condizionata dal clero, da un’industrializzazione che ha usufruito di flussi migratori sud-nord e smantellato il tessuto produttivo dell’agricoltura meridionale, che ha illuso il Mezzogiorno con forme volutamente miopi di incentivi all’industrializzazione, tutti falliti, che ha chiuso fabbriche, spento ciminiere, azzerato la presenza della classe operaia, innestato le premesse per livelli drammatici della disoccupazione e di buio per il futuro delle nuove generazioni. Ingrao se ne va prima di veder compiuta la consociazione della sinistra moderata con il centrodestra della conservazione, con i transfughi verdiniani e altri nostalgici della Dc. Il punto dolente del suo addio è nell’assenza di eredi che le minoranze del Pd, Sel e forse qualche grillino non dimostrano di rappresentare.

 

nella foto Pietro Ingrao


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