Siamo alle comiche.
E’ in ballo il codice degli appalti, ossia la normativa che detta le regole sul fronte dei lavori pubblici, uno dei settori più delicati della nostra travagliata economia.
Un codice, una normativa – quelli attuali – che rappresentano il minimo sindacale, lo stretto necessario per fronteggiare le infiltrazioni mafiose, che altrimenti la farebbero da padrone, come è successo per tanti anni.
Ma adesso cosa vogliono fare lorsignori? Vale a dire leghisti, meloniani, renziani e anche pezzi del PD? Buttare tutto all’aria e – in nome del Dio mercato – proclamare deregulation selvaggia, via ogni forma di controllo, tutti liberi di razzolare nelle grandi praterie del danaro pubblico: soprattutto oggi che cominciano a piovere i miliardi del ‘Recovery’.
Cosa fa, per ora, mister Draghi? Sta a guardare, osserva pensieroso, riflette.
E sapete quali ‘chiavi’ cercano di attivare Matteo Salvini e Giorgia Meloni per dar l’assalto alla diligenza? Semplice come bere un bicchier d’acqua. Basta levar da mezzo quegli impicci che si chiamano “no ai subappalti” e “no al massimo ribasso”. Poi la strada è tutta in discesa, ottima e abbondante per faccendieri, mafiosi, ladri d’ogni risma. E, di tutta evidenza, per i politici di riferimento. In modo tale da ricomporre il magico trio delle meraviglie: imprese, mafia, partiti.
Dicono loro. Ecco, voi criminalizzate le imprese. Basta parlare di un imprenditore e per voi è sinonimo di ladro, di intrallazzatore.
Una foglia di fico, la scusa che non regge neanche per un secondo.
La storia dei lavori pubblici è lì, tutta a dimostrarlo. Come è facile leggere nel copione scritto per il dopoterremoto ’80, quando si trattava di ricostruire mezza Campania e Basilicata dopo il sisma di quel tragico 23 novembre.
E quale fu, allora, la scellerata ricetta? Appalti senza controllo, tutto in mano ai ‘concessionari’, ossia i big del mattone che senza batter ciglio – e senza neanche un operaio in cantiere, ma solo contabili per registrare gli incassi – smistavano in subappalto tutti i lavori alle piccole e medie imprese ‘amiche’. E guarda caso, il 50 per cento di quelle imprese erano di precisa matrice mafiosa. O meglio, in quel caso, camorrista.
Ed in modo scientifico venne decisa la spartizione della torta: un terzo ai politici di riferimento (perché ogni grande impresa aveva il suo ‘sponsor’), un terzo alla camorra (stiamo parlando di post terremoto) e un terzo alle imprese, ben compresi i colletti bianchi, i professionisti (progettisti, ingegneri, architetti, geometri, avvocati, notai e via di questo passo) che in quella immane tragedia costruirono le loro fortune.
Una delle trovate più geniali fu proprio, all’epoca, quella del ‘massimo ribasso’. Per la serie: scegliamo l’offerta più bassa, poi chissenefrega se i lavori fanno schifo. Come è successo – per citare un caso su tutti – con la realizzazione della Pozzuoli bis, Monteruscello, in seguito all’emergenza ‘taroccata’ del bradisisma. Sì, letteralmente inventata a tavolino!
E dopo neanche due anni dalla fine dei lavori, a Monteruscello i balconi già cadevano, le case cominciavano a collassare: perché – fu un’inchiesta della magistratura a certificarlo – solo il 30 per cento dei soldi stanziati vennero realmente investiti, e per di più in materiali scadenti.
E adesso vogliamo tornare ai subappalti e ai massimi ribassi!
Dimenticavamo. All’epoca c’erano altri marchingegni: come le ‘sorprese geologiche’, che consentivano di non prevedere – nonostante i faraonici studi progettuali – quel che nelle viscere del territorio si poteva trovare. E quindi le ovvie ‘revisioni prezzi’, in base alla quali un appalto parte da 1 e magicamente, col tempo, lievita a 5. Come, per fare un altro clamoroso esempio, successe in Campania con il grande business di ‘Regi Lagni’, una bonifica fasulla (oggi se ne vedono ancora le conseguenze) partita da 150 miliardi di vecchie lire e arrivata a raggiungere la stratosferica cifra degli 800 miliardi.
Ma per le sorprese geologiche e le revisioni prezzi, oggi, c’è sempre tempo…
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