“Io armi non ne ho”

Si dibatte, ci si confronta, si litiga perfino e la materia del contendere è un ‘caso’ esemplare di quanto sia controverso giudicare episodi non rari di uomini che reagiscono alla violenza di furti e rapine uccidendo i malviventi, praticamente sollecitati dall’ideologia dell’odio-vendetta di chi legittima il farsi giustizia da sé. ‘Leader’ di questo invito è il tycoon che ha sgovernato per quattro anni gli Stati Uniti, consigliato a tutti gli americani di sostenere il mercato delle armi, vendute come gli alimentari nel capillare commercio di settore, senza nessun vincolo o norma da rispettare. Il fin troppo articolato pool della partitocrazia italiana, include purtroppo varianti una peggiore dell’altra della destra razzista, xenofoba, eversiva e c’è chi per trarne vantaggi in chiave di sondaggi, di conseguenza in accesso a ruoli del potere istituzionale, non esita a giustificare o tacere se titolari di esercizi commerciali o privati rispondono alla violenza di furti e rapine uccidendo i responsabili e come purtroppo è accaduto, anche sparando ai malviventi in fuga. Ai dubbi e a qualche certezza che condannano questi omicidi, una convincente contestazione prova a metterti con le spalle al muro, così: se esposta al rischio di violenze fosse tua moglie, tua figlia, che faresti? La premessa implicita va dritta premere sul tasto dei più intensi, cari sentimenti: l’amore, il dovere di proteggere propri cari e la replica è tutt’altro che scontata. E però immodificabile il rifiuto a impugnare una pistola e ammazzare un ladro, un rapinatore, scelta sovrapponibile al rifiuto di uccidere nemici in guerra: il testo emotivamente intenso di una canzone del francese Vian, una lettera al Presidente: “Ho ricevuto la chiamata militare e in guerra devo andare martedì. Egregio presidente, io non ci voglio andare, non voglio   ammazzare la gente come me. Per cui diserterò…e dica alla sua gente se vengono ad arrestarmi, che armi non ne ho”. In queste parole c’è quanto avviene nella testa e nel cuore di chi ha consapevolezza dell’incompatibilità con la risposta del giustiziere armato, di premere sul grilletto, di uccidere. Non è facile approfondire il rifiuto di uccidere, ma sicuramente è la condizione indotta dal rispetto, senza eccezioni per la vita, che si alimenta di pacifismo, di dolore per chi la perde, per qualunque motivo: povertà, malattie mortali, attentati, ‘raptus’, sete di vendetta, disastri naturali, repressione politica, femminicidi, pena di morte e perfino lo stato alterato di esasperazione e rabbia per la violenza di malviventi che rubano e rapinano. Il caso estremo, fortunatamente raro, di brutale violenza dei malintenzionati, di una persona di famiglia vittima della loro violenza, domande di nessun conforto per i superstiti, ma non per questo improprie: uccidere chi ha ucciso, restituisce alla vita chi è stato strappato all’affetto dei suoi cari? La cattura dei colpevoli è il compito di polizia e carabinieri, la condanna spetta alla magistratura, ma soprattutto, sparare e uccidere i colpevoli è stato inevitabile, la risposta estrema al pericolo accertato di perdere la vita? Da fronte dei giustizieri: “Che faresti se capitasse a te?”. Ci ho pensato: proverei a scongiurare atti di violenza evitando ogni gesto di reazione, di difesa dei beni presi di mira dai malviventi, perfino volterei le spalle, come dire ‘rubate, prendete tutto quello che volete, niente violenza”. L’atteggiamento eviterà di subire il peggio? Non è affatto certo, ma farei così. I criminali perché dovrebbero uccidere, se non ci ti opponi a furti e rapine?


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