Con charme di intellettuale sgamato, pur se edotto delle millanterie che attirano consensi e offrono posizioni istituzionali di alto profilo, Enrico Letta, non ha esitato a tornare in patria, indotto a mollare poltrone molto gratificanti in terra francese, per gestire un’allettante ‘merce di scambio’, ovvero la rivincita sul Pd renziano, sull’asprezza di uno scontro culminato con un travaso di bile e l’esilio dorato in quel di Parigi. La sconclusionata bagarre dei dem, culminata in una storica regressione di consensi, indecente se misurata con la scalata verso l’alto del neofascismo, non è stata in grado di generare un salvifico, rivoluzionario ‘rimboccarsi le maniche’ per corrispondere al significato intrinseco del sostantivo ‘rinascita’, ovvero a una terapeutica ‘rifondazione’ della sinistra. L’operazione si è riproposta come seriale via d’uscita dal guado con il seriale cambio al vertice, soluzione che da Occhetto in poi ha violato e stravolto il dna della sinistra. Da sottoscrivere, senza bisogno di approfondimenti, le parole d’esordio di Letta: “Non serve un leader, serve un partito”. Appunto. Cos’ha di inedito l’erede di Occhetto, Veltroni, Bersani, Renzi, Zingaretti? Quale empito ‘rivoluzionario’ garantirà il gentleman ‘doc’, Di Origine (moderata) Controllata se l’obiettivo è di sanare la patologia cronicizzata di un ex partito di sinistra inquinato da intrusioni spurie? Il prologo della sua generosa migrazione da privilegi e prestigio, acquisiti con l’ospitalità della Francia, scoraggia il tifo per la sua leadership: morto il re, viva il re. Zingaretti è tornato all’ovile della presidenza regionale del Lazio, per conclamato disagio a governare le bizze delle correnti, quasi più numerose che nella Dc di Andreotti e Gava: quasi subito dopo sgarbi e sabotaggi, avance di esclusi da ruoli di potere e tenace abbarbicamento di chi ne fruisce, rivalse, ambizioni, richieste di risarcimento, hanno già intasato la scrivania del neo segretario, che Renzi finge di sostenere, con il coltello tra i denti, pronto a pugnalarlo per la seconda volta. Componenti frustrati dell’establishment del Nazareno stringono d’assedio Letta per partecipare al ‘cambiamento’ con l’assegnazione in ruoli di partito e istituzionali. Per il momento ha evidenza il variegato sciacallaggio della Lega, che invitata alla tavola conviviale dell’esecutivo Draghi, muove i suoi pezzi sulla scacchiera per progettare lo scacco al re, minare l’edificio del ‘tutti insieme appassionatamente’ e preparare il terreno per l’assalto della destra al forte, dopo aver fumato il calumet della pace con Meloni, Berlusconi, Toti, i governatori del Nord leghista e aggregati di varia provenienza, pronti a saltare sul carro del vincitore. Forse è pessimismo esasperato la previsione di un esito infausto della segreteria Letta, che troppi precedenti inducono a ritenere come una ‘mossa di facciata’, dell’apparire piuttosto che di sostanza, evento estraneo a una vera ‘rivoluzione’ risanatrice della sinistra: allora? Allora conviene accantonare la sentenza preventiva e augurarsi di sbagliare clamorosamente, ma con moderata pazienza per tempi e modi della verifica.
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