La signora Rosy, la ipsilon finale del nome appare come un vezzo da fanciulla esterofila, insomma la signora Bindi (ometto l’attributo di onorevole, perché usurpato illegittimamente dai politici, gran parte dei quali meritano il titolo di disonorevole), in trasferta a Napoli nel ruolo di presidente della commissione parlamentare (eletta a che titolo?), si è così espressa: “La camorra è un elemento costitutivo della società e della storia di questa città e di questa regione”. Nel percorso di rottamatore che ha mandato in rampa di lancio Matteo Renzi non ha trovato posto un repulisti globale, come la quota di opinione pubblica prevalente chiede da tempo immemore. Si sono salvati, per fare qualche esempio, Massimo D’Alema in politica da cinquant’anni e appunto la Bindi che erede del Fanfanismo (ovvero dell’avvitamento perenne alla poltrona) resiste tenacemente a un pensionamento che sarebbe salutare per la sua lucidità mentale e utile a un indispensabile ricambio generazionale, di più, all’avanzare spedito dei percorsi che tendono all’innovazione laica in comparti sensibili della società, come il matrimonio tra omosessuali. I padri nobili della lingua italiana, al secolo Devoto e Oli, definiscono così, alla pagina seicento e otto del loro dizionario, il termine costitutivo: “che è parte essenziale e concorre alla formazione, composizione, definizione di qualcosa”. Esimia presidente, si controlli, conti fino a cento prima di sparlare e di inciampare in un incidente di percorso che denuncia l’approssimazione culturale del suo approccio al tema delle società inquinate dalle mafie insieme a un default di comprensione del problema, tipico di chi pontifica da luoghi del Paese che ignorano, e non in buona fede, il gap del Sud, per patologica disattenzione della politica al suo stato di salute economica e di conseguenza sociale. La camorra è un potere diffuso a Napoli (meno in Campania)? Lo è, come la mafia in Sicilia, la ’ndrangheta in Calabria, la sacra corona unita in Puglia. Perché nelle regioni meridionali? Se lo chiedono, possibilmente senza pregiudizi, la Bindi e quanti osservano l’esito terminale del fenomeno, ovvero l’aspetto divenuto invasivo della criminalità, tra l’altro favorita da connivenze, complicità interessate e omertà della politica? La Napoli della camorra nasce e abita, fa proseliti, nei quartieri ghetto della città, nel degrado di cui è responsabile il sistema della politica che ha emarginato la povertà e in gran parte l’ha condannata a sopravvivere nell’illegalità. L’esempio del contrabbando di sigarette è paradigmatico. Maurizio Valenzi, sindaco di Napoli comunista (!), a chi gli chiedeva ragione della tolleranza nei confronti dei contrabbandieri e della rete di vendita capillare di “americane”, rispose che “con il contrabbando di sigarette ci campa gran parte della città”. Chiuso questo capitolo dell’illegalità, i profitti stratosferici del mercato delle droghe hanno tirato dentro, in ogni ordine di ruoli, un esercito di derelitti, gestito da potenti trafficanti e assoldato con la convincente proposta di sopravvivenza, unica alternativa alla povertà. Qualcuno spieghi all’ex Dc, riciclata nel Pd, il peso della ricaduta sulla criminalità di una qualità della vita vicina allo zero, dello squallido panorama di una metropoli espropriata del suo tessuto connettivo con la fine dei comparti industriali a est e a ovest e la quasi totale scomparsa della classe operaia, storico baluardo della legalità. Chi sa, le dica del lavoro negato ai giovani del Sud in misura che non è esagerato definire tragica e il corollario della diversità tra chi lo cerca partendo dalle periferie marginali e la condizione privilegiata di ragazzi, quasi sempre laureati, agevolati nella ricerca di occupazione dalla condizione sociale di famiglie benestanti e inserite in circuiti di conoscenze utili, o titolari di studi professionali da tramandare ai figli. Si interroghi la signora Bindi sulle responsabilità di governi, a cui non è quasi mai stata estranea, per la permanente marginalità della questione meridionale e la concentrazione di attività produttive al Nord, sul fallimento delle politiche di industrializzazione che ha sistematicamente favorito le imprese settentrionali con finanziamenti agevolati e a fondo perduto, utilizzati per la loro innovazione, rifletta sulla pirateria di multinazionali che con tali incentivi hanno investito nel Mezzogiorno per il tempo minimo di acquisizione dei mercati e subito dopo hanno trasferito la produzione altrove, in mancanza di vincoli del governo italiano a non “fuggire” per alcuni decenni. La Bindi si confronti anche con Saviano che le dà ragione dal pulpito di un successo, cospicuamente remunerativo, nato e alimentato dalla frequentazione narrativa della camorra. Gli suggerisca di scrivere un altro bestseller con tema l’analisi sociologica sulla sovrastruttura sociale delle cupole camorristiche che opacizza le qualità disconosciute di Napoli, con la complicità di media importanti, storicamente convinti che i loro utenti siano attratti da catastrofismo e “cattive notizie”.
Nella foto Rosy Bindi con Massimo D’Alema
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