Un esperto alchimista non avrebbe fatto meglio del banchiere Draghi nel mettere assieme componenti assortiti, tra loro chimicamente incompatibili e ottenere un cocktail terapeutico potenzialmente efficace, ma suscettibile prima o poi di confliggere, con effetti collaterali da ricovero in Pronto Soccorso. Qualche inciampo, nella divisione dei pani e dei pesci si può osservare: lo stimatissimo banchiere, incoronato re di una Repubblica in stato confusionale, ha glissato, certo in perfetta assonanza con il suo stile sobrio, sulla componente femminile dell’esecutivo appena varato e sulla ‘raccomandazione di Zingaretti di un inedito equilibrio uomo-donna nell’assegnazione dei ministeri. Sono solo 8 su 23 le titolari di dicasteri. È poi stridente il discrimine, che penalizza il Pd escluso dalla cabina di regia che condizionerà la destinazione delle risorse europee. Ghigliottinato Gualtieri e smistato Patuelli nel bucolico incarico di addetto all’agricoltura, l’accondiscendente neo premier ha esaudito la ‘pregunta’ (come dicono gli spagnoli) del Carrocciaro. Il ‘giocattolo’ più ambito del futuro prossimo, valore trecento miliardi, è finito nelle mani di Giorgetti, cioè in quelle di Salvini, che infatti loda l’operato di Draghi, ma in coerenza con la sua vituperata tracotanza, storce il naso per la conferma della Lamorgese agli Interni e prefigura probabili risse sul tema dei migranti. La scelta geopolitica del nuovo esecutivo desta qualche legittima perplessità. Sono 18 i ministri ‘nordici’ e straripante è il 9, il numero dei lombardi. In chiave calcistica la meticolosa ‘spartizione’ si presenta con un 4-3-3-3-2 (M5s, Pd, FI, Lega, Leu, Italia Viva) e l’allenatore propone un modulo di attacco-difesa che provoca lo sconquasso nel disarticolato territorio dei grillini, i quali, per non voler ragionarci su, hanno esultato per l’esito del voto on line pro o contro il governo nascente e sottovalutato il significato dinamitardo della quasi metà di ‘no’, probabile causa dell’ipotesi devastante del pollice verso al momento di esprimere la fiducia parlamentare all’esecutivo. Non è meno penalizzante la decrescita del potenziale grillino, che si vede espropriare di dicasteri rilevanti. Il denunciato vulnus alimenta il subbuglio dei dissidenti, con prospettive destabilizzanti, che già si possono delineare come azione di disturbo dell’esecutivo. Apprezzabile elemento di stabilità produttiva sono la conferma di Speranza, che garantisce la decisiva continuità nella gestione della pandemia e di Franceschini, migliore ministro degli esecutivi Conte 1, Conte 2. Sconcerta e (con un pizzico di malignità) si spiega con l’amabile amicizia Draghi-Berlusconi, il ricco raccolto di Forza Italia, che premia la ‘buona’ semina delle consultazioni con il recupero del desaparecido Brunetta, l’incoronazione di Mara Carfagna (forse una berlusconata, con l’intento di impegnarla nell’esecutivo e bloccare i propositi di leader del partito che avrebbe disarcionato il ‘cavaliere’). Ma le virtù alchemiche di Draghi sono specialmente evidenti nella ‘cencelliana’ pax con la Lega, perché non disturbi il manovratore. Ora ci tocca osservare con il fiato sospeso il calcio di inizio di una partita, che molto somiglia al derby tra big di pari valore: avrà la meglio il team dei saggi, chiamato a costruire la pianificazione del recovery plan, a tutelarlo dalle grinfie dei partiti? La famelica avidità e gli interessi di parte della squadra politica riusciranno invece a segnare più gol, a riappropriarsi (scusate la rozza definizione) del ‘malloppo’? Per il bene del Paese, si deve sperare che al riserbo, alla serietà, all’indiscussa competenza di Draghi, corrisponda la tutela del ‘bene comune’, leit motitv della partitocrazia che ripete ‘a pappagallo’ il ritornello delle priorità legate alla ‘crisi economica, sanitaria, sociale’.
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