I 55 cantieri che da anni non riescono a partire. I 60 miliardi di euro che il governo non riesce a spendere.
Un penoso biglietto da visita per l’Italia che si appresta a ricevere i 209 miliardi del Recovery.
Ma c’è forse un asso nella manica per salvare capra e cavoli e far ripartire la Grande Macchina delle Costruzioni.
Si chiama ‘Progetto Italia’, il mastodontico colosso per realizzare ogni sorta di infrastrutture.
Il ‘Progetto’, però, ha un difetto d’origine. Nasce già taroccato alla fonte. E – prima ancora di sbocciare – già in mezzo alle carte bollate.
Una story intricata, dai cento risvolti border line. Fino a che punto, lo dovrà stabilire la magistratura. Per la serie: dal possibile miracolo al flop forse annunciato. Le sliding doors che si spalancano in un domani già devastato dalla crisi economica e dalla pandemia.
Vediamo di districarci nel groviglio.
PROTAGONISTI IN PISTA
Partiamo dai protagonisti in pista, che sono tanti.
In pole position i colossi del mattone: Salini-Impregilo e Astaldi. Che hanno dato vita, mesi fa, al super colosso ‘Webuild’, il quale si sta man mano trasformando in un colosso di ancor maggiori dimensioni, ‘Progetto Italia’, capace di far rientrare nella sua orbita altre imprese del mattone ora in difficoltà e a scarso di liquidi.
In seconda fila i big del credito: Unicredit, Intesa San Paolo, BNP-BNL e Banco BPM. E soprattutto la nuova IRI de noantri, quella Cassa Depositi e Prestiti che sta diventando il vero centro gravitazionale (e d’affari) intorno a cui ruotano i mega business di casa nostra.
In terza fila le Corti. Di tutte le specie. Dal Tribunale di Roma (sezione fallimentare) che ha ratificato il super contestato concordato tramite cui è stato sì evitato il crac per Astaldi, ma data la stura ad un’operazione che più discutibile non si può; alla Cassazione, la quale è chiamata a decidere sul ricorso di risparmiatori e piccoli obbligazionisti, contro la ratifica del concordato preventivo; fino alla Procura di Roma che sta indagando da mesi sull’affaire e ha appena preso alcune già significative decisioni.
Dulcis in fundo l’amara posizione di piccoli risparmiatori, piccoli azionisti e titolari di quote obbligazionarie di Astaldi (circa 300), finiti nel tritacarne senza praticamente vedere il becco d’un quattrino. E ora sul piede di guerra, avendo a settembre scorso presentato in Cassazione un corposo ricorso, un vero atto d’accusa contro tutta l’operazione.
Cerchiamo di ricostruire, per sommi capi, tutta la story, procedendo per ordine cronologico.
LA STORY, TASSELLO PER TASSELLO
E’ un’azienda storica, Astaldi, sul fronte della realizzazione di grandi infrastrutture. Un ricchissimo portafoglio lavori da circa 35 miliardi di euro, 11 mila dipendenti. Un solo esempio: le linee metropolitane, da Napoli e Milano, quest’ultima ancora in fase di ultimazione. Una delle star per decenni, in Italia, ma anche all’estero.
Ultima chicca, il Terzo Ponte sul Bosforo, opera di altissima ingegneria, avviato nel 2012 e inaugurato appena quattro anni dopo. Costosissimo, tanto che appena avviati i lavori Astaldi ha emesso – con successo -un prestito obbligazionario per rastrellare nuove risorse e fronteggiare le esposizioni bancarie.
Nel 2017 le prime avvisaglie di crisi. A novembre di quell’anno iniziano a circolare voci sul mercato di un possibile buco di bilancio da quasi mezzo miliardo di euro, mentre intanto l’indebitamento con le banche è pari a circa 3 miliardi di euro. Parecchi grattacapi arrivano dal Venezuela, perché Astaldi non riesce a farsi pagare per lavori effettuati.
I mercati sono in fibrillazione. I vertici di Astaldi finiscono per svalutare i propri crediti venezuelani, come misura prudenziale, del 50 per cento.
Ma cominciano a volare le carte bollate. Paolo Astaldi denuncia ‘fughe di notizie’ alla Consob: il fondato sospetto è che ci sia in giro una voglia matta di far crescere a dismisura le difficoltà societarie, per poterne caso mai profittare: si sa, una super big divora meglio una big se quest’ultima si trova in brutte acque.
Anche le banche profittano del momento per chiedere una ‘due diligence’ in grado di determinare la salute di Astaldi e i suoi fabbisogni finanziari. Di quella ‘due diligence’ non si saprà mai niente.
Una novità a maggio 2018. Astaldi annuncia al mercato di aver trovato un partner strategico in grado di sottoscrivere un sostanzioso aumento di capitale, pari al 18 per cento del capitale: si tratta del gruppo giapponese IHI, che dopo un mese firma un assenso alla partnership, finanziata da una cordata capeggiata da Morgan Stanley.
Misteriosamente, però, nei mesi seguenti tutto sfuma.
Ad agosto 2018, una brutta tegola: la vendita del Ponte del Bosforo, e quindi la possibilità di incassi, subirà dei ritardi. Astaldi rinvia la presentazione della relazione semestrale. Benzina sul fuoco della speculazione, che già comincia a parlare di crac e di legge fallimentare.
CONCORDATO AI NASTRI DI PARTENZA
Le cose precipitano e a fine settembre il CdA di Astaldi comunica di aver votato per l’accesso alla procedura di concordato.
Da quel momento in poi ne succedono di tutti i colori.
La quattordicesima sezione fallimentare del tribunale di Roma apre formalmente la procedura di ‘concordato in bianco’, nomina i commissari giudiziali (Stefano Ambrosini, Vincenzo Ioffredi e Francesco Rocchi) ed assegna 60 giorni di tempo ad Astaldi per formulare un piano e una proposta da sottoporre all’approvazione dei creditori.
Nel frattempo, procede la caccia al ‘Cavaliere Bianco’, il Salvatore che possa immettere ingenti capitali freschi e levare le castagne dal fuoco. Ma di cavalli e cavalieri, a quanto pare, ce ne sono pochi in giro. Anzi, uno solo, dopo l’inspiegata e inspiegabile sparizione della nipponica IHI.
Si tratta dell’unico colosso con grossa liquidità e gonfio portafoglio ordini a disposizione: Salini-Impregilo: una soluzione subito sponsorizzate dalle banche creditrici e al tempo stesso ora pronte a co-finanziare l’avventura.
Febbraio 2019, Salini-Impregilo presenta la sua proposta di nozze. In questo modo, a sua volta, Astaldi può presentare la proposta concordataria e il piano in tribunale, insieme alla cosiddetta ‘asseverazione’ attestata da un esperto indipendente e stimato a livello professionale.
IL SUPER CONFLITTO DELL’“ATTESTATORE”
E chi sarà mai ‘l’attestatore’ super partes? Si chiama Corrado Gatti, un lungo pedigree in dote ma soprattutto un gigantesco conflitto d’interessi in carniere: è infatti un membro del consiglio d’amministrazione di Intesa SanPaolo, una delle banche creditrici di Astaldi e poi protagoniste in tutto l’affaire.
A rilevare e poi rivelare il super conflitto è l’ADUC, ossia l’Associazione dei consumatori appena scesa in campo per tutelare gli interessi dei risparmiatori e degli obbligazionisti fregati dal piano concordatorio.
E’ il 17 ottobre, infatti, quando Aduc presenta un esposto, che fa pubblicare anche sul Sole 24 ore, denunciando le magagne e puntando l’indice contro una procedura giudiziaria a questo punto fortemente viziata e palesemente irregolare.
E non potevano non essere al corrente di quel colossale conflitto i tre commissari giudiziari nominati dal tribunale fallimentare. I quali devono immediatamente rassegnare le dimissioni. Anche perché, nel frattempo, si erano accesi i riflettori della magistratura capitolina, una volta tanto non assonnata: i pm romani Fabrizio Tucci, Rosalia Affinito e Gennaro Varone, guidati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e Rodolfo Sabelli, hanno messo i telefoni dei tre (più quello di Gatti) sotto controllo. Si parla di ‘corruzione in atti giudiziari’: e solo pochi giorni fa gli stessi pm formalizzano il capo d’accusa, ‘induzione indebita’. Si è ora in attesa del rinvio a giudizio.
E SUPER PARCELLE PER I COMMISSARI
Se la possono comunque ben godere, adesso, i commissari, che come perfetti Paperoni nuotano in un mare di euro.
I tre, infatti, hanno chiesto, come liquidazione, la bella cifra di 36 milioni di euro, limati poi a 21, e autorizzati dal tribunale.
Deve accontentarsi di appena 2 milioni e mezzo di euro Enrico Laghi, consulente di Astaldi nella procedura concorsuale, che ha beccato solo 2 milioni e mezzo di euro.
E cosa hanno fatto i risparmiatori e gli obbligazionisti di Astaldi fregati e rimasti senza il becco di un quattrino? Non sono stati a guardare ma hanno promosso alla Cassazione un ricorso per la revoca dell’omologa del concordato, ravvisando una sfilza di irregolarità formali e sostanziali, tali da rendere nullo quel concordato e da rendere privo di sostanza tutto il castello di costruzioni – è il caso di dire – successivo, come ad esempio la creazione di Rebuild e dello stesso Progetto Italia.
Il ricorso, presentato il 14 settembre 2020, è firmato dagli avvocati Giacomo D’Attorre e Massimo Fabiani.
Il classico sassolino nel colossale ingranaggio. La protesta dei ‘piccoli’ che vantano un piccolo credito (50 milioni di euro, il costo di mezzo Ronaldo) e che rischia di far saltare l’operazione kolossal nel panorama mattonaro (ma anche politico) di casa nostra.
Ecco la sostanza del ragionamento di chi sta pagando il conto salato dell’affaire: “Emerge in tutta la sua evidenza la drammaticità della situazione in cui si sono venuti a trovare gli obbligazionisti i quali, schiacciati tra l’incudine della procedura fallimentare e l’accordo mortale Salini-Impregilo con le banche, assumono sempre di più la consapevolezza di quanto si sta consumando ai loro danni. Essi infatti saranno destinatari di una quota molto limitata di azioni, pari a circa il 3 per cento del credito posseduto, mentre il valore effettivo di quanto sarà ottenuto da alcune dismissioni è del tutto aleatorio. E quindi il rischio è di vedere ben poco”.
Riuscirà Davide a stoppare Golia?
Vorrà la Cassazione vederci chiaro sul serio?
Farà luce su tutti i profili penali la Procura di Roma?
Daranno notizie fresche i media di casa nostra o preferiranno ‘oscurare’ e ‘ignorare’ l’affaire?
Staremo a vedere.
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3 pensieri riguardo “IL NEO COLOSSO WEBUILD-PROGETTO ITALIA / LA GRANDE ANOMALIA FIN DALLA NASCITA”