STRAGI DI STATO / ALZIAMO TUTTI I CAPPUCCI ECCELLENTI

L’Agenda Rossa di Paolo Borsellino.

La Lista dei 3000 nomi custodita nel covo di Totò Riina.

Il più grande Depistaggio di Stato della nostra storia, ossia quello sulla Strage di via D’Amelio.

Questi e tanti altri ingredienti nel Super Puzzle di tutta la stagione stragista, a cominciare dall’eccidio di Bologna.

Complimenti alla squadra di Report capitanata dall’intrepido Sigfrido Ranucci. Cento di queste storie.

A partire da una seconda, ci auguriamo tempestiva puntata, in cui vengano meglio focalizzati alcuni temi. Eccoli.

 

L’AGENDA CHE PASSA DI MANO IN MANO

L’Agenda Rossa – Uno degli argomenti clou della puntata di Report. La chiave di volta per capire la genesi, la dinamica, i meccanismi di tante stragi e individuarne i mandanti, rimasti sempre a volto coperto. Tale la considerano, per fare solo due nomi, i primi a volere verità & giustizia, Fiammetta e Salvatore Borsellino, la figlia e il fratello di Paolo.

Nel corso della puntata viene più volte intervistato il guardaspalle di Giuseppe Graviano, che ne ha coperto per anni la latitanza. Secondo la sua versione, l’Agenda è passata per tante mani, soprattutto mafiose: da quelle dei fratelli Graviano, of course, a quelle di Matteo Messina Denaro, il superlatitante che verrà di certo arrestato ‘ad orologeria’, come è successo per Bernardo Provenzano (poteva essere assicurato alle galere dieci ani prima, grazie al preciso imput di Luigi Ilardo, ovviamente non ascoltato da toghe eccellenti e poi ammazzato in tempo reale) e, sul fronte della camorra, per Michele Zagaria.

La foto segnaletica di Matteo Messina Denaro. In apertura la strage di Via D’Amelio

La primula rossa, dunque, verrà ‘presa’ solo al momento giusto. Perché ora è in possesso di due formidabili armi di ricatto: l’Agenda rossa, appunto, e la Lista dei 3000 nomi, come vedremo poi. Ma per molti sarà sempre ‘scomodo’: quindi più opportuno ‘eliminarlo’ prima dell’arresto e far sparire una volta e per sempre le due ‘armi letali’.

Torniamo all’Agenda Rossa. In mani mafiose, certo. Ma transitata anche per mani immacolate, addirittura istituzionali.

Ne sa di certo molto il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, uno dei primi a correre in via D’Amelio (alloggiava lì?) e ad estrarre dall’auto ancora avvolta dalle fiamme la borsa (contenente l’Agenda) di Paolo, e portarsela via di corsa. Ha subìto un processo, Arcangioli, proprio per il giallo della borsa-agenda: ma ne è uscito candido come un giglio.

A questo punto sorgono spontanei alcuni interrogativi.

Possibile mai che non sia saltata fuori, dal processo Arcangioli, la reale dinamica dei fatti? Cioè: a chi diavolo mai ha consegnato la borsa? Chi l’ha mandato sul posto? Come mai Report non ha girato le domande ad Arcangioli? E chiesto lumi al pm di quel processo?

Passiamo oltre e andiamo a più alti livelli.

La Voce ha più volte portato alla luce le dichiarazioni di Roberta Ruscica, una giornalista di razza, autrice nel 2015 de “I Boss di Stato – I protagonisti, gli intrecci e gli interessi dietro la Trattativa Stato-Mafia”.

Il libro di Roberta Ruscica

Nel corso della presentazione del libro a Napoli, nel 2016, Ruscica ha rammentato un episodio di anni prima, quando era corrispondente per alcune testate da Palermo. Aveva conosciuto ed era entrata in confidenza con Anna Maria Palma, la prima ad indagare sulla strage di via D’Amelio con il collega Carmelo Petralia e l’aggregazione, mesi dopo, di Nino Di Matteo.

Ebbene. Ruscica ricorda con precisione quanto le aveva confidato Palma: “ho avuto tra le mie mani l’Agenda di Borsellino”. Queste le parole, mai smentite.

Come mai il team di Ranucci non ha pensato bene di intervistare Anna Maria Palma sulla circostanza dell’Agenda e non solo?

Perché non far parlare Roberta Ruscica, che sulla Trattativa ha scritto un ottimo volume?

Perché non chieder lumi allo stesso Nino Di Matteo, invece intervistato su tanti altri argomenti?

In sintesi: quell’Agenda dei Misteri non è passata solo per mani mafiose. Verranno una buona fuori le “Mani di Stato”?

 

LA LISTA CHE FA ANCORA TREMARE I PALAZZI

L’Elenco dei 3000 nomi – Siamo ad un’altra pagina, ed altrettanto inquietante e misteriosa.

La Voce ne ha cominciato a scrivere, quasi per caso, una quindicina d’anni fa. Allorchè il celebre capitano Ultimo, al secolo Sergio Di Caprio, cominciò ad inviare una serie di ‘avvertimenti’ alla Voce, rea di aver tirato fuori una storia del tutto sconosciuta. Ed emersa tra le carte processuali di alcune udienze milanesi.

Giovanni Arcangioli con la borsa di Paolo Borsellino

Si trattava della querela sporta da Ultimo nei confronti di due giornalisti che avevano osato scrivere (come del resto la Voce) della mancata perquisizione del covo di Totò Riina: infatti, per ben due settimane, una volta arrestato il super boss, quel covo rimase del tutto incustodito. Autori della ‘disattenzione’ il colonnello del Ros Mario Mori e il suo braccio destro, ossia il capitano Di Caprio. Il relativo processo li ha visti – tanto per cambiare – innocenti come viole mammole.

Ma un altro processo, quello milanese sulla querela, ha fatto ‘involontariamente’ luce sul mistero del famigerato Elenco dei tremila. Nel corso di una udienza, infatti, Ultimo attaccò a testa bassa i due giornalisti, sostenendo di non aver mai parlato dell’Elenco, tantomeno di 3000 nomi.

La Voce, a questo punto, contattò il legale dei due giornalisti, Caterina Malavenda, chiedendole se mai i due suoi assistiti avessero fatto riferimento, nel libro, a quella Lista dei 3000 nomi.

Ci rispose di no: nessun riferimento mai, in tutte le pagine del volume.

Da qui la nostra intuizione: la classica excusatio non petita. La coda di paglia. Nella foga di attaccare i due autori, Ultimo tirò lui stesso fuori la story, fino a quel momento ignota a tutti.

Più volte la Voce ha scritto che quell’Elenco è stato – nel corso degli anni – il formidabile strumento di ricatto usato per seppellire verità & giustizia, per evitare che chi sa possa parlare. Un deterrente in piena regola. Finito, anche stavolta, nelle mani di alcuni vertici mafiosi, in primis quelle di Matteo Messina Denaro. E con ogni probabilità anche di pezzi da novanta dei Servizi.

Ora torna alla ribalta, quell’Elenco dei 3000 nomi, nelle parole finali di Sigfrido Ranucci.

A questo punto: come mai il numero uno di Report non ha pensato bene di far intervistare il mitico Ultimo che di quella vicenda tutto sa?

 

IL PIU’ COLOSSALE DEPISTAGGIO DI STATO

Il Depistaggio – Last but not least, siamo al terzo tassello: quello del più clamoroso depistaggio istituzionale nella storia del nostro Paese, che la Voce ha tante volte raccontato. Riepiloghiamolo per sommi capi (per una più approfondita analisi potere cliccare sui link in basso).

Tutto ruota, come ricorderete, sulle verbalizzazioni di Salvatore Scarantino, che ha subito indicato la pista mafiosa per la strage di via D’Amelio. Solo che quegli imputati, condannati in tre gradi di giudizio e sbattuti in galera per ben 15 anni, non c’entravano niente con la strage di via D’Amelio! Picciotti sì, ma del tutto estranei all’eccidio di Paolo Borsellino e della sua scorta.

Quale è stata la chiave per innescare il meccanismo infernale? La verbalizzazione di Scarantino, del tutto inventata, farlocca, buona per sbattere i mostri in galera.

E coprire i veri killer e soprattutto i mandanti.

Anna Maria Palma

A chi è stata addossata tutta la responsabilità? All’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera, il quale non può più difendersi perché morto (morte naturale, a quanto pare) una quindicina d’anni fa. Ottima e abbondante circostanza per scaricargli addosso tutte le responsabilità circa quel taroccamento, l’impupazzamento del teste base, Scarantino. Insieme ai suoi poliziotti di fiducia, tre dei quali sono oggi sotto processo.

Sanno anche gli studenti al primo anno di giurisprudenza che esistono delle precise catene di responsabilità: la polizia giudiziaria lavora, ma sempre su imput della magistratura, ossia degli inquirenti. Altrimenti saremmo in ‘uno stato di polizia’, come è successo in tante nazioni sudamericane e non solo (e come, in realtà, sta accadendo anche da noi, in tempi di pandemia).

Cosa dice la catena di comando? Che c’era un pool di magistrati ad indagare sulla strage di via D’Amelio. L’abbiamo già rammentato: era composta dal tandem Palma-Petralia ai quali dopo alcuni mesi si è aggiunto Di Matteo.

Sorge spontaneo l’interrogativo: potevano non sapere i prima due, poi tre magistrati del taroccamento di Scarantino? Della totale subordinazione del ‘teste’ ai voleri dei poliziotti, capaci di imboccargli tutte le battute processuali dalla prima all’ultima? E di minacciarlo di pesantissime ritorsioni sulla famiglia qualora non si fosse attenuto al copione?

Interrogativi ai quali altri magistrati hanno risposto subito: negando ogni responsabilità di Palma e Petralia. In base a quale criterio? Con quali motivazioni? In base a quali deduzioni?

E restano scolpite nella pietra (per le colossali incongruenze) le testimonianze delle tre toghe (Palma e Petralia, appunto, più Di Matteo), al processo che vede sul banco degli imputati i tre poliziotti del team di Arnaldo La Barbera, l’unico fino ad oggi crocifisso per quel depistaggio.

Anche da Report. Come mai l’attrezzata equipe di Ranucci non ha chiesto lumi, sulla questione, a quel Di Matteo che ha intervistato su altri temi? Perché non ha chiesti ulteriori lumi a Palma e Petralia? Perché non ha sentito i legali di quegli innocenti che si sono fatti 15 anni di galera da innocenti?

Perché – per fare un solo esempio tra i giornalisti – non è stato intervistato Enrico Deaglio – una firma, una storia – fresco autore di “2010-2020” che ne racconta di cotte e di crude su quel Depistaggio di Stato, tanto da far incavolare l’icona antimafia Di Matteo, già con un diavolo per capello a causa dei j’accuse di Fiammetta Borsellino?

 

ADDIO MONTI…

Sotto il profilo storico, siamo ben lieti di scoprire il ruolo svolto dal vegliardo (già allora) Gianfranco Miglio, leghista e cinghia di trasmissione tra le mafie fascisteggianti, sotto la guida del Venerabile Licio Gelli. E ricostruire un bel pezzo di storia di casa nostra in quest’ottica, compresa la chicca sull’ex capo dello Stato Luigi Scalfaro, il Bugiardo di Stato su Trattativa e dintorni.

Il magistrato David Monti

Una bella fetta della trasmissione griffata Report è dedicata ad un tema collaterale. Riguarda le misteriose triangolazioni Italia-estero, in mezzo ad affari, cappucci e le più svariate connection. Tra i protagonisti l’allora braccio destro di Miglio, Gianmario Ferramonti (plurintervistato da Report) e un faccendiere, Enzo De Chiara.

Di tali personaggi la Voce ha scritto per anni. E prima ancora ha investigato su di loro un magistrato coraggioso, che dalla procura di Aosta aveva già ‘capito tutto’. O almeno molto di quello che allora stava bollendo in pentole.

Un vero peccato che la sua clamorosa inchiesta “Phoney Money” sia finita in flop. O meglio ‘ammazzata’ dai suoi superiori di allora, che ne vedevano tutta la dirompente – per allora – potenza.

Un’inchiesta parallela, all’epoca, prese piede in Campania, avviata da alcuni coraggiosi pm della procura di Torre Annunziata: si chiamava “Cheque to Cheque”, e guarda caso toccava gli stessi temi, dai riciclaggi internazionali alle connection politico-mafio-massoniche, ovviamente sempre via Servizi. Anche quell’inchiesta – è inutile ripetere lo stesso ritornello – è stata abbondantemente insabbiata.

Sorge spontanea la domanda.

Come mai Report (ma, come detto all’inizio, siamo in attesa della seconda puntata) non ha pensato bene di intervistare quel pm di Aosta al quale venne scippata e poi affossata l’indagine, per essere quindi spedito – per la solita ‘incompatibilità ambientale’ – in un’altra sede giudiziaria?

Si chiama David Monti. Non è difficile – per chi ha voglia – rintracciarlo. Può essere l’uomo giusto per ‘chiudere il cerchio’: visto che un anno fa, prima del Covid, ha partecipato ad alcuni importanti eventi promossi dal Grande Oriente d’Italia. Alla segreteria del GOI sicuramente hanno un suo recapito.

 

 

LE PAGINE DELL’INCHIESTA  DI MARZO 2005 IN CUI PER LA PRIMA VOLTA LA VOCE RIVELAVA IN ESCLUSIVA L’ESISTENZA DEI “TREMILA NOMI” NEL COVO DI RIINA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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