Qualche spiraglio nel giallo dell’uccisione del giornalista antimafia Beppe Alfano, avvenuta 28 anni fa a Barcellona Pozzo di Gotto.
Un omicidio per il quale è stato individuato un solo mandante, Pippo Gullotti, condannato a 30 anni (ma ve ne erano di certo altri) e nessun killer.
Mesi fa la Direzione Distrettuale Antimafia di Messina ha chiesto l’archiviazione per due ancora ‘sospetti’, dopo la bellezza di 28 anni, Stefano Genovese e Basilio Condipodero, ritenuti il killer e il basista nell’agguato e addirittura indicati come tali dal collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico.
Alla incredibile richiesta di archiviazione si è opposto il legale della famiglia Alfano, Fabio Repici.
A questo punto si è pronunciato il gip del tribunale di Messina, Valeria Curatolo, che da un lato ha accolto la richiesta della DDA, ma dall’altro ha ordinato una proroga di sei mesi delle indagini.
Per fare cosa? In particolare per sciogliere un mistero mai risolto. Ovvero quello dell’arma del delitto, mai trovata. Furono tre le pallottole usate dai killer per eliminare il giornalista scomodo, una delle quali scaricata addirittura in bocca. Dall’esame balistico emerse che si trattava di bossoli calibro 22 di produzione americana. Adesso verrà nominato un nuovo esperto internazionale di balistica.
La gip, nel motivare la proroga delle indagini, si sofferma sulla proprietà dichiarata di una 22 North American Arms da parte di Mario Imbesi, che l’ha poi passata a Franco Mariani, molto legato al boss Rosario Cattafi.
Scrive il gip: “E’ emersa la sussistenza di contatti tra Mariani e Cattafi. In particolare Mariani ha riferito di aver conosciuto il Cattafi nel 1976 a Milano, a casa di un amico comune, e di essere stato una sola volta a casa del Cattafi, a Barcellona, per il battesimo di un bambino, mentre si trovava in vacanza a Taormina. Nei primi anni ’80 il Mariani è stato coinvolto, insieme al Cattafi, in un procedimento penale per i reati di associazione mafiosa, sequestro di persona, omicidio e altro”.
Cattafi è uno dei personaggi centrali nella storia della mafia barcellonese. Indicato da diversi collaboratori di giustizia come capo dell’organizzazione criminale, è stato più volte arrestato, processato e condannato in primo e secondo grado.
Poi è arrivato il miracolo in Cassazione, che non solo ha annullato la condanna ma ha certificato che Cattafi non è mai stato il capo della mafia a Barcellona Pozzo di Gotto.
Ai confini della realtà.
Denuncia oggi la figlia, Sonia Alfano: “Sono certa che Cattafi abbia avuto un ruolo importante quella notte in cui mio padre fu ucciso. Finchè avrò respiro non lascerò pace ai suoi assassini”.
Beppe Alfano fu un vero precursore. A parte tutte le formidabili inchieste e le coraggiose denunce, aveva anche scoperto (e per questo “doveva morire”) che uno dei super latitanti di allora, Nitto Santapaola, si nascondeva proprio “a casa”, ovvero a Barcellona Pozzo di Gotto.
Come è successo, per fare solo due esempi, con il boss di camorra Michele Zagaria e con ogni probabilità sta succedendo ai giorni nostri con la primula delle primule, Matteo Messina Denaro.
nella foto Beppe Alfano
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