GIANNI ALEMANNO / ABBRACCIA BUZZI E CASAMONICA POI PROGETTA LA NUOVA CASA DELLA DESTRA

Peccato per quella foto che rischia di comprometterne il gran ritorno in campo. Si sta allenando da mesi per costruire la casa della Nuova Destra, l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, incontrando gruppi, gruppetti e formazioni, ed ecco che ora saltano fuori le due foto galeotte, in una abbracciato a Luciano Catatonica, parente del boss, e nell’altra a comporre il trio con il ras delle coop rosse (sic) Salvatore Buzzi, quasi un antipasto al processo per Mafia Capitale che andrà in scena dal prossimo novembre.

Una sorta di “riapertura” di Alleanza Nazionale, di rivitalizzazione di quel progetto, scimmiottando più l’Ump di Nicolas Sarkozy che il Front National di Marie Le Pen (più vicino all’idea Lega), pur fresco dell’espulsione del padre padrone Jean Marie. Ora quelle foto, e lo stesso processo che si avvicina, con non pochi fedelissimi di Alemanno che in Campidoglio non hanno chiuso le porte alle mafie e adesso dovranno risponderne in tribunale. Il progetto della Nuova Destra che andrà in scena il 3 ottobre, quando si svolgerà l’assemblea degli iscritti per decidere il futuro della strategica Fondazione, subirà uno stop? Staremo a vedere. Intanto cerchiamo di ricostruire i tasselli del puzzle. Che ruotano tutti intorno – guarda caso – ai soldi, al patrimonio immobiliare e mobiliare che fa capo alla Fondazione e che fa gola a molti.

E intorno alla battaglia per il “tesoretto” – si fa per dire, sfiora i 250 milioni di euro, non bruscolini – si sta accendendo la bagarre. Da una parte il manipolo capeggiato da Alemanno, per ora maggioritario, che punta a quel bottino per ridar vita al partito, Nuova Destra o Nuova An che sia. Dall’altra i forzisti come Maurizio Gasparri e Altero Matteoli, evidentemente preoccupati di veder rispuntare un partito che andrebbe a pascolare nei loro territori. Nel mezzo Fratelli d’Italia – che ancora detiene il simbolo di An – e soprattutto Giorgia Meloni, che Alemanno & C. cercano in tutti i modi di coinvolgere nel loro progetto, anche con funzioni di leadership. Folta, al fianco dell’ex sindaco di Roma, soprattutto la pattuglia campana, con Mario Landolfi, Enzo Viespoli e soprattutto Italo Bocchino. “La presenza di Bocchino e di un altro ex fedelissimo di Gianfranco Fini come Roberto Menia – osservano in ambienti romani – potrebbe significare anche un clamoroso ritorno sulla scena dell’ex segretario, dopo una pausa durata anche troppo a lungo”.

Un primo assaggio dei movimenti in corso si è avuto con la manifestazione del 1 luglio a palazzo Wedekind, quando Alemanno e consorte, Isabella Rauti (già animatori cinque anni fa della rivista Theorema con ex ordinovisti, brigatisti e vertici dei Servizi), hanno promosso l’incontro “Un progetto per la Destra Italiana”, raggruppando ben 24 sigle che popolano l’universo dei nostalgici. Da vero boom elettorale le parole di Alemanno: “Lo spazio c’è. Dobbiamo solo andare a prendercelo. La Destra vale almeno il 20 per cento”. Aggiunge la Rauti: “Non stiamo qui a rimettere assieme i cocci ma vogliamo ricostruire la Destra della Terza Repubblica”. Aggiunge il marito, sottolineando la forza che il nuovo partito vorrebbe avere soprattutto al Sud: “Nessuno è contro Salvini, ma non è assolutamente il nostro leader”. E’ la volta di Menia: “Serve una bella amnistia togliattiana della destra. Basta con il darsi dei traditori a vicenda”. Ma spetta proprio all’ex sindaco andare sul concreto e tuffarsi sul piatto della Fondazione: “Questi soldi sono il patrimonio di una comunità e vanno utilizzati per un progetto politico”. Anche i soldi serviti al cognato di Fini per farsi la casetta a Montecarlo erano della “comunità”, dei militanti di An. E quella vicenda, alla fine, è costata la poltrona al tesoriere storico di An, l’ultraottantenne Franco Pontone, che voleva vederci più chiaro in quell’affaire. Venne infatti estromesso, proprio in quei bollenti giorni del 2010, dal comitato di gestione incaricato a supervisionare su tutto il patrimonio targato An.

E gli immobili sono proprio la fetta più ghiotta. Almeno una settantina, secondo le stime più attendibili. Gestiti da svariate società. Una, ad esempio, si chiama “Nuova Mancini”, e ad essa fanno capo 17 immobili. Da un carteggio intercorso tra il responsabile della società, Francesco Biava, e il presidente della Fondazione, Franco Mugnai – che prese il posto proprio di Pontone – si desume il valore del patrimonio. In una missiva, infatti, Biava cercava di dissuadere Mugnai dalla volontà di trasferire tutti gli immobili alla Fondazione, cosa che avrebbe comportato “l’obbligo di una rivalutazione catastale degli immobili stessi, ad occhio 10 volte superiore all’attuale, la cui plusvalenza comporterebbe una tassazione pari al 27,5 per cento”. Seguiva un dettagliato calcolo di tasse, oneri, spese condominiali e varie, con una cifra che toccava i 90 mila euro. Tenuto conto che la Mancini detiene il 20-25 per cento del patrimonio, viene fuori una cifra totale di oneri a carico della Fondazione per circa mezzo milione di euro l’anno. Quel patrimonio, perciò, va fatto fruttare. E cosa c’è di meglio, per una partito che (ri)nasce, se non poter contare su una fittissima rete di sedi sparse su tutto il territorio nazionale?

Da una cifra all’altra, nel calderone dei conti seguiti allo scioglimento di An e alla confluenza nel Pdl, secondo alcune stime sarebbero spariti 26 milioni di euro. Dove sono andati a finire? Chi ne ha beneficiato? Il mistero è fittissimo e a quanto pare nessuno ha deciso di metterci il naso e far chiarezza.

Chi spara a zero sull’ipotesi di creare un nuovo partito e soprattutto sulla gestione della Fondazione negli ultimi anni è Massimo Corsaro, fino a sei mesi fa tra le fila di Fratelli d’Italia. “Il consiglio d’amministrazione della Fondazione non ha fatto nulla. E ha perso soldi. Ha messo a disposizione del commissario liquidatore di An 12 milioni di euro quando le passività erano di appena 600-700 mila euro. Ha sperperato in spese legali. E mantiene un giornale morto, il Secolo d’Italia, che ci costa 2 milioni l’anno. E che dà lo stipendio a ex parlamentari come Landolfi, Moffa e Bocchino e a parenti di altri parlamentari”.

Italo Bocchino. In apertura l'incontro fra Alemanno, Catatonica e Buzzi.

E la nomina di Bocchino a direttore editoriale, a metà 2014, suscitò un vero putiferio tra le fila dei camerati. Così scriveva l’asettico Europa degli ex Margherita: “Hanno iniziato i social network dopo la notizia della nomina di Bocchino. Una raffica di insulti contro l’ex colonnello di Fini, contro la Fondazione colpevole di cattiva gestione di un bene considerato patrimonio di tutta la destra, contro i big della Fondazione che hanno votato all’unanimità una nomina del genere”. E subito un comunicato dell’ufficio stampa di Fratelli d’Italia-An cerca di gettare acqua sul fuoco: “Essenziale è confermare che stabilire e dirigere la linea politica del Secolo d’Italia non rientra nelle competenze di Bocchino ma del vicedirettore Giacomo Fragalà”, a questo punto ingenerando un’enorme confusione sul ruolo di ‘direttore editoriale’: “de che?”. E poi ancora: “Inutile sottolineare come nessuno abbia assegnato a Bocchino il ruolo di ‘federatore’ del centrodestra utilizzando l’incarico accordatogli dal cda della fondazione Alleanza Nazionale”. Ruolo che, in qualche modo, Bocchino si era autoattribuito, con l’evidente altrui placet (o silenzio-assenso). Dalla fondazione, comunque, vien fatto sapere che Bocchino avrà un ruolo nel “comparto marketing finalizzato al reperimento di risorse pubblicitarie, conferendo allo stesso l’incarico di direttore del marketing e dei relativi aspetti editoriali”. Ma nella gerenza continua a campeggiare il ruolo di “direttore editoriale”, leggermente diverso.

Continua quella ricostruzione di Europa. “Insomma, un bel pasticcio. Senza considerare la domanda (il grido, meglio) che aleggia: ma perchè Bocchino? E qui le ipotesi sono tante. Per le sue esperienze nel marketing? Forse perchè nel suo curriculum spicca l’allegra gestione del Roma (le cooperative che gestivano il giornale del deputato di Fli hanno tentato di aggirare la norma che vieta di richiedere finanziamenti per più di una testata, da qui la confisca di 2,5 milioni di contributi e di 2,5 milioni di quote societarie)? Per le sue qualità giornalistiche? Eppure da quando ha iniziato la sua attività politica come assistente parlamentare di Tatarella, fino al rientro al Secolo dopo l’aspettativa parlamentare, di attività giornalistica non c’è traccia. A meno che non si faccia riferimento al suo ultimo lavoro come capo delle relazioni esterne del Gruppo Romeo di Napoli. Qualcuno dei suoi ex amici colonnelli malignamente si lascia sfuggire che la nomina è ‘un atto umanitario’, qualcun altro parla di scelta dettata da motivi economici: è uno assunto, già percepisce uno stipendio, e se porta pubblicità può aiutare un giornale in crisi”.

Tornando al futuro della Nuova Destra e ai destini del “tesoro” conteso da tanti, c’è solo da aspettare il 3 ottobre (a meno di rinvii). Quando colonnelli e non riuniti in assemblea decideranno il futuro della Fondazione: può dar vita ad un partito o no? E solo allora si potrà sapere quanto è effettivamente grande la torta e come verrà spartita.

 

Sopra, Italo Bocchino. In apertura l’incontro fra Alemanno, Casamonica e Buzzi.


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