Ma l’apologia di un mafioso, benché morto, non è reato?

Bella l’Italia. È speciale, perché luogo della Terra con il trenta per cento di beni culturali del mondo, perché prescelta da madre natura per concentrare meraviglie ambientali nello spazio minimo di una penisola che dal monte Bianco all’Etna stordisce di emozioni chi lo abita e quanti ne fanno la meta da percorrere almeno una volta nella vita. Speciale anche all’opposto, perché inadatta a far tesoro delle sue unicità, perché miope e presbite al tempo stesso nella visione sfocata del patrimonio che visto da occhi lungimiranti ne farebbe un paradiso dall’immenso potenziale economico. Anomalo, perché preda senza via di fuga dei demoni della corruzione che inquina l’intero sistema sociale, espropriandolo dell’etica, dai vertici della politica, praticata come professione-mestiere,  fino ai rivoli capillari dell’inerme esercito di cittadini che la subiscono passivamente, nell’illusione di condividerla con qualche minimo vantaggio. Di che sorprendersi se gli stereotipi del “guappo” napoletano e del mafioso antistato appartengono oramai agli archivi del cinema d’epoca? L’Italia ha permesso che nell’intimità del suo tessuto sociale s’ingigantissero fenomeni di macro-criminalità, prima sanguinaria, intraprendente piovra dell’usura, delle tangenti, delle complicità con pezzi della politica e dello Stato, poi macchina occulta per l’occupazione di gangli vitali dell’economia e dei centri decisionali che sovrintendono alla gestione delle risorse produttive. Tangentopoli ha solo anticipato il peggio, ha rivelato che in Italia sono quasi irrimediabilmente  coinvolti gran parte dei partiti e delle istituzioni. Perché scandalizzarsi se a Roma, alla luce del sole, si consentono fastosi funerali per Casamonica, conclamato boss mafioso? Tutti i corollari del rito hanno acceso gli occhi delle telecamere, riempito i taccuini degli inviati e solo in parte a ragione: il carro con tre coppie di cavalli, i petali di rose “rosa” (colore preferito del defunto) piovuti dal cielo dal portello di un elicottero a bassa quota, la musica del “Padrino” intonata dalla banda al seguito. La spettacolarità del corteo funebre ha sovrastato a torto lo stupore e l’indignazione per il bagno di folla plaudente nell’incedere della bara verso l’ingresso della Chiesa, per le lacrime di uomini e donne al seguito: davvero impressionante, rivelatore del ruolo di malefica divinità del boss, vertice di un sistema che dà lavoro, tra virgolette, arricchisce i sottoposti e in qualche caso si sostituisce alla  giustizia di Stato. Perciò sì, erede di “guappi” e “capi bastone”. Vestita di bianco, come il Papa, la figura di Casamonica si è stagliata con la scritta “Re di Roma” sul portale della Chiesa di San Giovanni Bosco  dalle prime ore del mattino. Non l’hanno vista il parroco, Giancarlo Manieri, nessun poliziotto, nessun giornalista, nessun scandalizzato passante? E come mai esiste un mare di fotografie e filmati del rito? Lo ha sicuramente visto la signora Welby, moglie di Piergiorgio, che dice di non averlo riconosciuto (“altrimenti mi sarei arrabbiata”) e ricorda di quando la chiesa fu negata per i funerali del marito morto per eutanasia, chiesta per metter fine a sofferenze senza speranza. Che fine ha fatto il monito di Papa Francesco che annunciò la scomunica per tutti i mafiosi? E il parroco sapeva di Casamonica? Sapeva il Parroco, tutto porta a dire che sì, sapeva, e sapeva il  Comune visto che nel corteo funebre, dietro i Suv sommersi di fiori, c’erano agenti della polizia municipale. Ora tutti vogliono accertare le responsabilità e finirà a un nulla di fatto ma resta la considerazione amara, alla vigilia del processo per Mafia capitale Roma, dello schiaffo alle istituzioni di un boss che anche da morto esemplifica la difficoltà di stroncare la malapianta della criminalità mafiosa.

nella foto il carro funebre per Casamonica

 

 

Gioelli? No, pasta e fagioli

Per sdrammatizzare. Non è memorabile la scena da “I soliti ignoti” che sfondano la parete sbagliata, si ritrovano in una cucina e trovano consolazione in un piatto di pasta e fagioli tirato fuori dal frigo? Succede a Senigallia, che omologhi dei soliti ignoti, delusi per non aver trovato i gioielli da rubare, hanno compensato la delusione con l’ormai classica pasta e fagioli e messa a soqquadro l’intera abitazione hanno fatto razzia di alimenti: altri fagioli, tonno, pomodori, pasta.

 

 

Erotismo in rosa 

Dal cappello a cilindro dello zio Sam la sorpresa del placet per il “flibanserin” che mette fine alla discriminate pro maschi del ricorso a pillole “miracolose” per migliori prestazioni sessuali. Il “flibanserin” è la versione al femminile del viagra, rivendicata dalle femministe per accedere alle vette del piacere, al pari degli uomini. Esulta il New York Times che aveva messo sotto accusa l’ente americano che si occupa di medicinali per aver ignorato i “bisogni sessuali” delle donne.  Non mancano le critiche in parte giustificate dagli effetti collaterali che provoca la pillola e in parte dall’asserzione sulla scarsa efficacia nell’aumentare la libido femminile.  Al contrario, secondo i sostenitori del “flibanserin, la pillola migliorerà la vita sessuale delle donne e azzererà la disparità tra prodotti di questo settore per uomini e donne. Come molto altro, è pronosticabile un imminente interesse italiano per il “toccasana” erotico made in Usa.

 


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