SARAS, una delle perle petrolifere di casa Moratti, nella bufera. Proprio nei giorni in cui chiede la cassa integrazione per tanti dipendenti e operai delle sue aziende sarde, scoppia il giallo dell’inchiesta cagliaritana sugli affari intrecciati con l’ISIS tra il 2015 e il 2016.
Un pasticciaccio che più brutto non si può, sul quale i media nazionali hanno preferito calare un totale velo di disinformazione, tanto per non disturbare lorsignori.
Intanto l’allegra famiglia Moratti festeggia i suoi conti in banca e i rosei dati di bilancio, con utili annui da 200 milioni di euro. Non proprio noccioline.
Ma vediamo di cosa si tratta, partendo dalla bollente indagine avviata dalla Procura distrettuale antiterrorismo di Cagliari.
LA BOLLENTE INCHIESTA CAGLIARITANA
Ecco cosa filtra da quella procura. “12 milioni di tonnellate di oli minerali hanno consentito alla società controllata al 40 per cento dalla famiglia Moratti di falsare il mercato, grazie a prezzi d’acquisto molto vantaggiosi, e a frodare il fisco per circa 130 milioni di euro”.
Tanto per cominciare.
Pochi giorni fa, il 30 settembre, le fiamme gialle inviate dalla procura hanno perquisito gli uffici della Saras a Cagliari e a Milano. Sotto i riflettori, adesso, i vertici aziendali, ossia il Cfo, Franco Balsamo, e il direttore commerciale, Marco Schiavetti. Pesanti i capi di imputazione – riciclaggio, falso e reati tributari – formulati dai pm incaricati della maxi inchiesta, Guido Pani e Danilo Tronci.
Una bella rogna per la dinasty milanese.
Secondo le ricostruzioni investigative, tutto è iniziato tra il 2015 e il 2016, quando nelle raffinerie della Saras di Sarroch, in Sardegna, sono arrivate 25 navi cariche di greggio iracheno, partite dalla Turchia. All’epoca il Kurdistan, profittando del conflitto scatenato dai Daesh in Siria e in Iraq, aveva dato il via alla commercializzazione dell’oro nero estratto dai suoi giacimenti senza alcuna autorizzazione da parte del governo di Baghdad.
L’origine di quell’oro nero – secondo le piste investigative – è attestata da dichiarazioni “non idonee né ufficiali”.
Entriamo a questo punto nell’arcipelago societario costruito per mascherare i traffici.
L’ARCIPELAGO “NERO”
Ufficialmente il carico di greggio risulta di proprietà della “Petraco Oil Company” e acquistato dalla “Edgwater Falls”, una sigla comodamente sistemata nelle Isole Vergini. A sua volta, Edgwater lo aveva comprato da una misteriosa sigla turca. Una bella triangolazione che ricorda le manovre d’attacco dell’Inter griffata Mourinho tanto cara al suo ex presidente Massimo Moratti.
Niente altro che un comodo paravento, la sigla “vergine”, una società off shore riconducibile alla stessa Petraco da cui parte l’intreccio.
Stando alle ricerche effettuate dalla guardia di finanza, il carico è arrivato direttamente dall’Iraq, senza mai passare dalla Turchia. E la sua gestione non è neanche mai transitata attraverso le autorizzazioni rilasciate id prassi dall’ente petrolifero di Stato iracheno, l’unico autorizzato dal diritto internazionale.
Invece, a controllare e gestire il carico – secondo Gdf e pm sardi – sono stati prima i terroristi di Daesh, e in un secondo momento i curdi.
Un quadro internazionale da brividi e sul quale andranno accesi tutti i riflettori non solo da parte degli inquirenti, ma anche dell’informazione. Almeno quel poco che rimane libero da bavagli, censure e autocensure.
Ma procediamo con il mosaico di affari & terrore.
SEGUENDO LE TRACCE DEI BONIFICI
Seguendo le tracce dei bonifici si possono trovare concreti segni dell’affaire.
Saras – secondo gli inquirenti – ha versato la bellezza di 14 miliardi alla Petraco, un immenso giacimento di denari che man mano si diramano verso società “gemelle”, come ad esempio Edgwater.
In un caso – viene documentato – un bonifico da 217 milioni di dollari approda nelle casse della turca “Powertrans”, a quanto pare niente più che “una cartiera utilizzata per fornire la documentazione commerciale in grado di occultare il rapporto diretto con il venditore curdo, non legittimato sul piano internazionale”.
Ma non è finita qui la circolazione di denaro che più sospetto non si può.
4 miliardi, ad esempio, sono finiti al ministero curdo dell’Economia e della Risorse Naturali. Proprio nel periodo in cui – ricostruiscono storicamente Pani e Tronci – i pozzi petroliferi “finiscono sotto il dominio delle milizie islamiche”.
Le indagini stanno coinvolgendo non poche banche, soprattutto estere. Come è successo con la filiale tedesca di Unicredit, dove “è emersa un’operazione di storno da 60 milioni effettuata da Edgwater Falls al governo curdo, per cui si può ragionevolmente ipotizzare che la restituzione del denaro sia dipesa dal fatto che la proprietà del greggio, in quel periodo, non era più curda ma dell’Isis”.
Un’altra bomba.
E I MORATTI FESTEGGIANO
Ma i Moratti se la ridono.
Festeggiano i freschi dati di bilancio.
Ecco, tanto per capirci, come li celebrano in un comunicato. Tutto da gustare.
“Quasi 200 milioni di euro come total return dalla gestione di Saras. Il portafoglio di Massimo Moratti negli ultimi anni è tornato a crescere grazie al rendimento dell’azienda petrolifera fondata dal padre Angelo Moratti. Tra compenso in quanto amministratore delegato prima e presidente dal 2018, dividendi e plusvalenze dalla cessione di alcune quote azionarie, negli ultimi anni la Massimo Moratti Sapa, cassaforte dell’ex patron dell’Inter, ha ricominciato a distribuire dividendi, dopo l’ultima vota nel 2009”.
Continua l’incredibile autocelebrazione aziendale: “In attesa di novità sul 2020, fino al 2019 i dividendi hanno portato 107,9 milioni di euro nelle casse della holding di famiglia, con il record di 40,4 milioni nel 2016, l’anno della cessione del pacchetto dell’Inter al gruppo cinese Suning. Proprio nel 2019, inoltre, la Massimo Moratti Sapa ha ceduto circa il 5 per cento del proprio pacchetto azionario di Saras, scendendo dal 25 per cento al 20 per cento, un’operazione che ha permesso così agli incassi di Moratti legati alla gestione di Saras di sfiorare i 200 milioni di euro, considerando la plusvalenza. Al 30 giugno 2019 – prosegue il report – il patrimonio netto dell’azienda era salito a 255,7 milioni di euro, dai 183,2 milioni del 2018”.
La raffineria dei Moratti acquartierata in Sardegna è una della più grandi a livello europeo. E delle più avanzate in termini di complessità aziendale. L’impianto nel distretto industriale di Sarroch, sulla costa orientale dell’isola, viene gestito da una controllata di famiglia, Sarlux.
Cinque anni fa Sarlux ha acquisito gli impianti petrolchimici vicini, proprietà di Versalis, del gruppo Eni, accrescendo quindi la sua produzione nella filiera petrolchimica. Dal 2016, poi, è operativa a Ginevra Saras Trading SA, che tratta “l’acquisto di greggio e altre materie prime per le raffinerie del gruppo, la vendita di prodotti petroliferi e svolge attività di trading anche conto terzi”.
Tutto fa bordo per dimenticare un passato di tante luci ma di altrettanto forti ombre.
Come ha ampiamente documentato un giornalista di razza, Giorgio Meletti, autore dieci anni fa di un volume sul quale la dinasty milanese ha subito cercato di far calare il silenzio, a botte di citazioni giudiziarie.
Si tratta di “Nel paese dei Moratti- (2010, Chiarelettere”), che ha fatto luce non solo sulla tragedia degli operai ammazzati nel rogo dell’impianto sardo del gruppo Saras, ma anche su tutti gli affari di casa Moratti.
Neri come il petrolio.
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