“Votiamo SI’ così mandiamo affanculo quei mangioni e quei cinque senatori a vita che sono dei nababbi con i nostri soldi”.
E’ questo il clamoroso autogol che stanno per compiere tanti italiani chiamati a referendum del 20 e 21 settembre. A rappresentare tutto ciò in modo che più eloquente non si può esiste un proverbio napoletano, il quale fotografa la situazione: “Per far dispetto a mugliereme (a mia moglie, ndr) mi taglio ‘o cazzo (il cazzo, ndr)”.
Tradotto in soldoni: per fare un (presunto) dispetto ai parlamentari e ai senatori a vita, io ammazzo la democrazia.
Quando invece gli italiani avrebbero potuto ottenere – con un referendum diverso – il risultato sperato: un referendum, cioè, che ha per oggetto il taglio degli stipendi dei parlamentari. Non del loro numero.
Un taglio drastico, capace di allineare gli stipendi dei parlamentari italiani alla media dei paesi europei. In concreto: i nostri beccano 12 mila euro l’anno più una sfilza interminabile di bonus e arrivano, poniamo, a 14 mila. La media europea è di 8 mila. L’oggetto del referendum avrebbe dovuto quindi essere: volete tagliare lo stipendio dei parlamentari italiani allineandolo alla media europea?
Facile come bere un bicchier d’acqua.
Niente di più equo, di più giusto, di più fisiologico, di più naturale. Ed invece, via col taglio previsto dal SI, il taglio del numero dei parlamentari, tanto per mutilare in mondo definitivo la democrazia. Lasciando incredibilmente immutato lo stipendio dei parlamentari che restano in campo, più nababbi che mai.
Ai confini della realtà.
Questo referendum è un esempio lampante di quanto la propaganda populista nel senso peggiore del termine riesca a manipolare i cervelli (neanche troppo attrezzati alla democrazia) di tanti, troppi italiani.
Facili a cadere tra le braccia di sirene che, sulla base di demenziali programmi e di poche ma sciagurate idee, cercano di far fesso quel popolo che ritengono bue, una mandria di beoti pronti a bersi qualsiasi stronzata.
Dice, il risparmio. Ma quale risparmio e risparmio! Messi insieme quei soldi sono più o meno quanto proprio l’asso del calco Messi guadagna in un anno!
E su questa folle base tagliamo la nostra democrazia ed alcune regioni non avranno più rappresentanza politica? Da chiamare il 113.
Ha un merito, comunque, questo demenziale referendum: quello di aver manifestato la totale nullità dei nostri partiti, di aver dimostrato in pieno quanto il re sia nudo, quanto i nostri schieramenti politici siano friabili, privi di ogni identità, involucri vuoti.
Tutti spaccati ai nastri di partenza, meno i 5 Stelle che restano compatti nella populista scelta iniziale.
Andate all’assalto con un Matteo Salvini pronto a spaccare il mondo in nome del SI, le truppe del carroccio si sono man mano sfaldate sotto il suo vigile e acuto sguardo. S’è sfilato addirittura il vice da tre anni, Giancarlo Giorgetti
Anche le avanguardie griffate Giorgia Meloni si sono sfarinate, sotto i palliformi occhi della leader indiscussa.
Fin dall’inizio incerte o per il No le brigate berlusconiane.
Per il No Leu che conta come il due di briscola.
I renziani danno libertà di voto, e nessuno se ne frega.
Ma quello che letteralmente sgomenta è il Partito Democratico che comunque uscirà dal referendum come dopo uno tsunami. Spaccato a tre quarti, con la maggioranza al carro di un Nicola Zingaretti che da quando è alla segreteria non sa che pesci prendere.
Un partito sfigurato, svisato, senza più un briciolo di identità. Quel partito che sotto la guida di Enrico Berlinguer era capace di aggregare masse capaci di lottare per comuni obiettivi, per idee di uguaglianza sociale, per utopie forti e volontà di cambiare il mondo, è oggi ridotto ad un corpo in totale decomposizione, una sorta di melassa in grado di sintetizzare il peggio della Dc e del Psi d’un tempo.
Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto la mail di un lettore che ci racconta una storia. Eccone il testo.
“Su una spiaggetta libera di Posillipo, a Napoli, ho conosciuto un padre e un figlio, si chiamano Nicola e Francesco. Nicola ha lavorato per tutta la vita, negli ultimi vent’anni come cancelliere nei tribunali della Campania. Ha quattro figli che vivono nella stessa palazzina di San Giovanni a Teduccio, riuscendo a realizzare il sogno che aveva sempre avuto: quello di vivere tutti insieme, nella stessa palazzina, per aiutarsi a vicenda, per essere uno utile all’altro. Tre figli sono normodotati, tutti lavorano, solo Francesco ha dei problemi. Francesco è un ragazzo di una bontà che non ho mai visto, di una semplicità, di una schiettezza che non si trovano nelle persone ‘normodotate’. Scherza, schizza Nicola appena entra in acqua, gli piace parlare del torrone o degli spaghetti al pomodoro, dei gelati.
Io penso che in tutti gli uomini ci dovrebbe essere un pezzetto di Francesco, per farli diventare migliori di quanto sono oggi. E un pezzetto di Nicola che con il suo esempio di vita è una lezione per tutti”.
Abbiamo voluto scrivere della storia di Nicola e Francesco raccontata da un lettore perché ha in sé un grosso significato.
Se mai quel che resta della sinistra ritrovasse quegli obiettivi sociali che ha dimenticato man mano per strada.
Se mai quel che resta della sinistra ritrovasse le idee che la avevano generata, quelle motivazioni profonde, quelle speranze, quella voglia di combattere per cambiare il mondo.
E non per accettarlo come fa adesso. Omologandosi al peggio, spalleggiando le élite e non più allineandosi con gli ultimi e per gli ultimi.
Perché non diventa un po’ Nicola e Francesco?
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