UNICREDIT, MPS E ORA ENI. IL DORATO TRIPLETE DI ALESSANDRO PROFUMO

Lascia una poltrona e ne prende due. Sempre più strategiche. E al seguito, aromi e profumi di milioni, da nuotarci dentro nel perfetto stile Paperòn de Paperoni. In compagnia della leggiadra consorte. Un ricordo del passato, ormai, le brutte vicende giudiziarie che lo hanno coinvolto. E sul capo, una santa, democratica aureola: forse il Vate che la sinistra (Renzi permettendo) ha sempre cercato.

In due parole ecco Alessandro Profumo, fresco consigliere dell’Eni, reduce dalla dura esperienza al timone del Monte dei Paschi di Siena nel pieno delle burrasche per i maxi scandali e i miliardi finiti in un buco nero, compresi quelli generosamente elargiti dalle casse dello Stato come (sic) prestiti, l’ultimo da ben 4 miliardi di euro: mentre pensionati, esodati, senzalavoro, piccoli imprenditori sono alla canna del gas, tirano la cinghia e parecchi se la avvolgono intorno al collo.

Pagato a peso d’oro, Profumo, proprio per trovare le terapie giuste per risollevare lo storico istituto toscano dal profondo rosso nel quale era sprofondato, per una gestione che definire allegra è un puro eufemismo. E lui, il Salvatore, era reduce da un’altra esperienza al vertice, quella di Unicredit, altra banca, altre storie border line (sotto il profilo finanziario e anche giudiziario), e una buonuscita da record, a suon di milioni.

Partiamo dall’ultimo esito, appunto, giudiziario, il caso “Brontos”, una maxi frode che secondo le prime ipotesi accusatorie della procura di Milano i vertici di Unicredit, e Profumo in pole position, avrebbero architettato per la non disprezzabile cifra di 245 milioni di euro nel biennio 2007-2009. Ecco il dettaglio tecnico, riassunto dagli esperti: “nel 2007 la banca inglese Barclays propose a Unicredit un prodotto finanziario di partecipazione agli utili, Brontos, con il quale fino al 2009 l’istituto avrebbe realizzato operazioni con società inglesi e lussemburghesi per far figurare gli utili come dividendi di operazioni finanziarie e pagare perciò meno tasse”.

Un’operazione, in gergo, di “finanza strutturata”, sulla quale ha indagato per prima la procura di Milano, per poi passare il fascicolo, per competenza, a Bologna, avviando il classico valzer di carte e documenti giudiziari. Non è finita, perchè il viaggio continua, e prosegue in direzione Roma, Palazzaccio, sede della Cassazione che a fine 2013 decide per la competenza capitolina. Ed è di questa primavera, marzo 2015, il tanto atteso brindisi per Profumo & C., ossia altri 16 manager Unicredit e 3 di Barclays coinvolti nella vicenda. Il gup della procura romana Maria Grazia Giammarino, infatti, ha prosciolto tutti perchè “il fatto non sussiste”: nessuna frode fiscale, quindi, è stata mai commessa, tutta un’invenzione di pm (quelli milanesi) in vena di fantasticherie.

L’altra tegola giudiziaria ai tempi di Unicredit riguarda il fallimento della società barese Divania che dava lavoro a 430 addetti. Un tipica “morte” per overdose da derivati che – secondo le ipotesi accusatorie – sono stati allegramente e scientificamente somministrati dai vertici Unicredit. Una lunga inchiesta, che si dirama in un paio di filoni. Il secondo, in particolare, coinvolge l’amministratore delegato dell’istituto Federico Ghizzoni e il suo predecessore Profumo (nel frattempo passato proprio all’Mps). L’accusa era di bancarotta: secondo i pm baresi, Divania era un’azienda sana, mandata allo sfascio dalla banca mediante, appunto, la somministrazione di oltre 200 “derivati-trappola falsamente presentati come contratti a costo zero”, che in concreto hanno esposto l’impresa barese guidata da Saverio Parisi (che aveva denunciato i vertici Unicredit) a “rischi illimitati”, sostanziatisi in perdite per oltre 15 milioni di euro, causando prima la chiusura dello stabilimento produttivo e quindi il crac, certificato nel 2011. Questa la linea difensiva dell’istituto di credito: “Le vere ragioni del default di Divania sono contenute nella sentenza dichiarativa del suo fallimento del giugno 2011, confermate anche dalla Corte d’Appello di Bari”.

Oggi, comunque, Profumo fa festa doppia, all’indomani dall’uscita da Mps: non solo Eni, ma anche l’acquisto di Equita sim, rilevata insieme ad altri manager dal fondo Jc Flowers. Se sono rose fioriranno, ma a quanto pare la stagione è propizia, fanno notare gli operatori del settore che sottolineano: “la società è attiva nell’equity capital markets, nella consulenza e ristrutturazione di aziende e potrà beneficiare della grande rete di conoscenze di Profumo”. Spalleggiato, fra gli altri, dal neo socio Francesco Perilli.

Un bel colpo ‘privato’, da quale potranno scaturire sicure, ingenti liquidità. Ma il piatto forte, che fa tanta immagine, è ancora pubblico, ossia la poltronissima nel cda di Eni. Del resto, Profumo ha sempre coltivato un gran feeling con i colossi del parastato. Fu il caso di Enel, che portò avanti proprio con l’Unicredit targata Profumo una discussa operazione di factoring, denunciata dal presidente di Adusbef Elio Lannutti. Il quale nel libro “Bankster” (che ne racconta delle belle proprio sulle gestioni Unicredit), ricostruisce quel caso: “A dicembre 2009 apprendiamo che Enel e Unicredit stanno mettendo a punto un business da 500 milioni di euro. Si tratta di un’operazione di factoring con la quale la compagnia elettrica guidata dall’amministratore delegato Fulvio Conti si appresta a cedere a Unicredit di Alessandro Profumo buona parte dei crediti vantati verso la pubblica amministrazione e i privati. L’accordo, curato da Pgb group di Piergorgio Bassi, è stato poi siglato a gennaio 2010: un accordo in base al quale Enel, azienda partecipata dallo Stato, cede a Unicredit, a trattativa privata, i suoi crediti. Ho fatto notare al ministro Tremonti – sottolinea Lannutti – che a mio parere un simile business può configurarsi, se non come una regalia, come un vantaggioso privilegio per Unicredit”. Successo qualcosa? Il silenzio più totale.

E quanto alla fresca super carica Eni, no problem. Nessun conflitto con le precedenti esperienze ai vertici bancari, in particolare Mps. Così precisa una nota del cda: “quanto alla carica ricoperta da Profumo in Banca Monte dei Paschi di Siena, i rapporti fra questa ed Eni non sono idonei a pregiudicarne i requisiti di indipendenza, in quanto di entità non rilevante. Tale carica cesserà comunque il 6 agosto 2015”. Boh. Misteri egizi. Cosa vuol dire, ad esempio, di “entità non rilevante”?

Da un’excusatio non petita ad un’altra, ancor più clamorosa, il passo è breve. Ed eccoci alla dinasty made in Profumo-Ratti. Secondo rocambolesche voci di ambienti finanziari milanesi, la nomina di Profumo a consigliere “non esecutivo e indipendente” sarebbe stata “valutata dal consiglio anche in relazione al fatto che è coniuge di una dipendente del gruppo Eni”.

Ohibò, che sarà mai? E’ lo stesso cda a fornire qualche nebuloso ragguaglio, proprio a proposito di una situazione quanto mai anomala. “Il consiglio, confermando la valutazione del precedente cda, ha ritenuto che questo non pregiudichi i requisiti di indipendenza prevista dal codice di autodisciplina, in considerazione del rigore etico e professionale riconosciuti al consigliere, nonché del fatto che l’attività lavorativa del coniuge si svolge presso una Fonazione, soggetto autonomo rispetto ad Eni”. Altre acrobazie.

Cerchiamo di capirci qualcosa. Lady Sabina Ratti in Profumo è l’anima green di Eni, non a caso molto vicina ad Ermete Realacci, il pd per una vita leader di Legambiente (insieme presentarono in Villa Rufolo a Ravello la fondazione made in Realacci Symbola, “per coniugare tradizione e innovazione sul territorio”). Legatissima a Rosy Bindi, il presidente dell’Antimafia, per la quale Sabina si fece in quattro nello sponsorizzarne la candidatura milanese (tutti ricordano il suo intervento ad un’iniziativa bindiana alla Casa della Carità, e intervento sul tema “la marginalità e la politica”, temi classici di casa Profumo) senza far mancare storicamente la sua presenza agli happenings veltroniani, è stata eletta nel 2007 alla costituente del Pd. Del resto il marito è “vicino alla sinistra per storia personale” (i compagni d’un tempo sarebbero interessati a rammentarne qualche frammento), un po’ prodiano, poi bersaniano e ora chissà, forse ammaliato da leggerezze & velocità renziane.

Tra un salotto di banchieri e una festa dell’Unità (mitica una sua partecipazione con una mise giallo-Doris Day), lady Sabina Ratti trova il tempo di occuparsi della sua mission Eni, essendo responsabile della strategica “Sostenibilità” ora tanto à la page, più managerialmente “corporate social responsability”. E poi, il petrolio – e ora le rinnovabili – sono nel suo dna, con un padre ambasciatore Eni nel mondo, e lei a farsi le ossa prima all’Agip Petroli e poi alla Fondazione Mattei. La signora Chicca Olivetti, sua amica, la loda – raccontano nei salotti – perchè non è una di quelle che “prendono il tè: lei lavora”.

E ora lavoreranno per la stessa mamma Eni, Sabina e Alessandro: due cuori e una capanna. E una scultura di Giò Pomodoro – fa tanto green – sul terrazzo.

 

Nella foto Alessandro Profumo e la moglie incontrano i coniugi Prodi

 

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