IL RECUPERO DELLA SOVRANITA’ NAZIONALE NELLA GEOPOLITICA IMPAZZITA

Dal giornalista italo americano Umberto Pascali un lungo articolo sulle strategie per recuperare la sovranità nazionale nel contesto geopolitico attuale. Un lavoro, quello di Pascali, dichiaratamente ispirato alla grande lezione di Giulietto Chiesa.

 

Come analizzare il contesto internazionale in vista del recupero della sovranità nazionale italiana?

Come dobbiamo vedere le principali forze nazionali e internazionali nella nostra ricerca del modo più efficace nella potenziale lunga (o magari, breve) marcia per raggiungere il nostro scopo?

Mi concentrerò principalmente sulle implicazioni dello scontro in corso negli Stati Uniti dopo l’elezione del Presidente Donald Trump, ma ovviamente dovrò fare riferimento alla situazione di diversi altri paesi, soprattutto, ma non solo, della Cina, della Russia, di paesi Europei e altri. Dovrò fare, soprattutto, riferimento alle forze reali sovranazionali, che agiscono al di sopra e al di fuori delle istituzioni ufficiali dei vari stati. E sottolineo la necessità di studiare questi “principati” sovranazionali e la loro influenza se vogliamo essere in grado di agire nel mondo reale e non in una qualche immaginaria esercitazione di geopolitica astratta.

Non volendo cadere in vuoti accademismi, dirò subito che esiste una visione superficiale – anche se ammantata con la parola oggettività, e con la parola concretezza.

Tale visione vede l’Italia come soggetto non solo debole, ma passivo e l’unica domanda che si pone è: “Con chi si deve mettere l’Italia?”

O, per dirla in modo più terra terra: “Da chi si deve far sedurre l’attempata signorina Italia, dall’America o dalla Cina?”

 

Donald Trump

Secondo questa visione, ci sarebbero in natura, al momento, due principali super-entità monolitiche, due monadi leibniziane, immutabili e compiute in se’ stesse tra le quali si deve scegliere: la Cina e gli USA. Alcuni aggiungono a questo postulato di base anche l’asserzione che “l’America è decaduta e la Cina prenderà il suo posto”. Ergo l’Italia, che subisce la dominazione dell’America, per liberarsi non ha dar far altro che “andare con la Cina”. Dopodiché, si pensa, si potrà recuperare tutta o gran parte della propria sovranità.

E c’è anche una terza entità a cui l’Italia dovrebbe chiedere aiuto, per amore o per necessità di sfuggire alla dominazione straniera: l’Europa. In particolare un’Europa il cui leader sarebbe la Francia di Emmanuel Macron, e il punto di riferimento sarebbe la forza militare e l’industria militare francese che salverebbero l’Italia dalla sua attuale soggezione. La Francia di Macron, del suo mentore, Jacques Attali, e del suo datore di lavoro storico, la banca Rothschild dovrebbe anche assistere l’Italia in una politica di riposizionamento mediterraneo, anche perché la Francia ha una grande tradizione nel Mare Nostrum.

Ora, questa visione non ha molti legami con la realtà.

Innanzitutto, l’Italia deve guadagnarsi la sua sovranità. Nessuno gliela regalerà. Nella misura in cui entità nazionali hanno la forza di fare gli interessi dei loro popoli, lo faranno. E se offriranno un’alleanza o una non meglio definita “difesa” all’Italia, lo faranno solo se tale difesa è negli interessi della loro difesa. Non è detto che questo non possa avvenire, ma potrà avvenire solo se l’Italia avrà voce in capitolo e potrà far valere le sue ragioni con l’eventuale alleato.

 

Emmanuel Macron

caso di entità sovranazionali come i grandi potentati finanziari, o i colossi multinazionali – o meglio transnazionali – le imposizioni, in cambio di protezione saranno ancora più feroci e con meno trasparenza. Vedi ad esempio l’incontro segreto sul panfilo reale Britannia nel 1992 che portò a cambiamenti drastici con la privatizzazione/svendita di ditte italiane. Vedi la illuminante documentazione d’archivio presentata da Giovanni Fasanella nei suoi libri Colonia Italia e Il Golpe Inglese. Vedi i lavori sul sovranazionale establishment angloamericano meticolosamente ricercati e elaborati dal prof. Carroll Quigley (1910-1977) della School of Foreign Service alla Georgetown University a Washington, DC. Professore alle università di Harvard e Princeton, ma soprattutto lo studioso con accesso a tutti gli archivi del Dipartimento degli Esteri americano e a praticamente tutte le fonti storiche disponibili negli Stati Uniti e altri paesi.

I libri del prof Quigley costituiscono ancor oggi un grande ausilio alla ricerca sul ruolo di entità sovranazionali come il Royal Institute of International Affairs basato in Gran Bretagna (da cui prese il volo il Council on Foreign Relations americano), l’istituzione delle Rhodes Scholarships ecc. I due libri più importanti dal nostro punto di vista sono L’Establishment Angloamericano e Tragedy and Hope. A History of the World of Our Times.

Una nota sul lavoro di Fasanella. Innanzi tutto, il giornalista italiano, dati alla mano, sfascia una serie di luoghi comuni e superficialismi riguardo a quello che viene definito da esperti pigri o peggio come “America”, o per meglio dire l’establishment Anglo-americano che si impose dopo l’ultima guerra mondiale. Questa “America” è lungi dall’essere monolitica. La parte “britannica”, come dimostra Quigley, non si identifica semplicemente nelle istituzioni politiche ufficiali, ma è piuttosto un gruppo elitario (erede dell’Impero britannico) la cui strategia è globale e risponde agli interessi sovranazionali di tale gruppo. Il gruppo anglosassone ebbe la sua formalizzazione sovranazionale sotto Cecil Rhodes (1853-1902, quello che diede il nome alla Rhodesia). Il primo passo per l’impero mondiale che Rhodes apertamente perseguiva era la riconquista con vari mezzi non ufficiali, del mondo anglosassone per poi passare al resto del mondo. La reconquista della colonia americana con mezzi culturali e finanziari era in cima alla lista. Come Fasanella spiega (è importante studiare attentamente i documenti presentati ne Il Golpe Inglese) questo scontro tra il gruppo Inglese e gli Americani è di cruciale importanza per l’Italia.

Dice Fasanella in un’intervista del 2011:

Giovanni Fasanella

Questo libro che, non guasta ribadirlo ancora, è interamente basato su documenti degli archivi britannici, integrati naturalmente con altri documenti e altre informazioni, fa piazza pulita di tante vulgate che anche una pseudostoriografia di sinistra ha alimentato e diffuso nel corso di questi ultimi trenta-quarant’anni, e cioè l’idea di un grande, continuo complotto ordito dalla capitale del male, Washington, per impedire che i comunisti andassero al potere in Italia, e utilizzando qualsiasi mezzo, ricorrendo persino alle stragi, ai tentativi di colpi di stato, all’assassinio politico.

Ecco, il libro spazza via in modo direi quasi definitivo questo teorema, che poi non era mai stato suffragato nella realtà da una documentazione seria; non che qua e là, in certi ambienti degli Stati Uniti non ci siano responsabilità, ma un conto è dire alcuni pezzi dell’America hanno avuto un ruolo in queste vicende, un altro conto è dire l’America in quanto tale, le sue amministrazioni e i suoi presidenti, la sua diplomazia, i suoi servizi e tutte le sue istituzioni hanno giocato questa partita sporca in Italia. No, dalle carte emerge invece un conflitto di cui mai in Italia si era sospettato potesse esistere, tra Stati Uniti e Gran Bretagna. Le loro visioni del problema italiano, del problema comunista anche, non sempre collimavano, anzi: il più delle volte erano in contrasto tra di loro, a cominciare dallo status da attribuire all’Italia dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Per gli americani, noi eravamo un paese cobelligerante, cioè un paese che attraverso la Resistenza, attraverso il fronte delle forze antifasciste, si era liberato della dittatura e aveva sconfitto il nazismo combattendo a fianco degli eserciti alleati. Per gli inglesi, in realtà, non era così: noi eravamo invece il paese sconfitto in guerra, e quindi soggetto al dominio delle potenze vincitrici e naturalmente, in primo luogo, della Gran Bretagna.

E queste visioni conflittuali, differenti, tra l’America e la Gran Bretagna hanno avuto poi effetti nel corso della storia dei decenni successivi, perché nei passaggi più drammatici, a differenza di quanto le vulgate che dicevo prima avevano diffuso, nei passaggi più delicati l’America è stata dall’altra parte. L’America è stato il paese che ha impedito che l’Italia cadesse in un vortice drammatico, che il suo sistema democratico vacillasse, a differenza degli inglesi…

Se si apre un atlante geopolitico per vedere che cosa è accaduto in Africa tra il 1957 e il 1962, ben 32 Paesi si liberarono dai regimi coloniali inglesi e francesi… e quindi il colpo di stato in Libia fu in qualche modo il suggello di quel processo, l’esito finale di quel processo di ridimensionamento degli interessi britannici nell’area del Mediterraneo, del Medio-oriente e dell’Africa. Naturalmente qualcosa del genere era accaduto anche per i francesi e anche essi ebbero un ruolo, poi, in queste nostre vicende italiane.

La politica di Mattei prima e di Moro dopo aveva fatto sì che l’Italia diventasse un vero e proprio punto di riferimento per questi Paesi emergenti. Questo gli inglesi evidentemente non ce lo perdonarono, e anzi dai loro documenti e dalle loro analisi risulta con estrema evidenza come l’Italia che essi avevano sempre considerato una sorta di protettorato britannico, un Paese marginale , un Paese ininfluente, per non dire di peggio, era invece diventata una media potenza egemone in un’area del mondo estremamente importante come il Mediterraneo, l’Africa e alcuni settori del Medio-oriente, per non parlare dell’America Latina, poi.

Quindi gli inglesi si ponevano il problema di come contrastare questa politica italiana, di come avvertire gli italiani che avevano superato un limite che non avrebbero in alcun modo dovuto superare e che era il limite imposto, fissato appunto dalla dottrina Churchill del 1943-45 e poi formalizzata in qualche modo nel trattato di pace del 1947, cioè l’Italia sconfitta in guerra dagli inglesi era diventata nei decenni successivi, fino a toccare tra il ’69 e i primi anni ’70 il punto più alto della propria influenza, una potenza economica tra le più forti del mondo: la quinta potenza, aveva scavalcato addirittura l’Inghilterra, ed era la potenza egemone in quest’area. Questo gli inglesi non lo tolleravano.

 

Aldo Moro

 

Deep State, Complesso Militare Industriale, Globalizzazione

 

Ovviamente, la Sovranità, come la Libertà, non si può ottenere per concessione dall’esterno. Non viene concessa da entità esterne, deve essere conquistata dai soggetti che ad essa anelano. Lo studio non superficiale dell’evolversi (in tempo reale, non affidandosi a schemi superati dalla realtà) della situazione geopolitica può, tuttavia, dare un grosso contributo per capire quali potentati e quali coalizioni sarebbero più vantaggiose per in conseguimento di una reale sovranità.

Come vedremo, lo scontro più fondamentale sta avvenendo all’interno degli Stati Uniti dove gran parte dell’apparato dello stato, radicatosi soprattutto dal momento dell’assassinio di John F. Kennedy (1963), ha tentato e tenta di defenestrare con metodi illegali e golpisti un presidente eletto. Questo apparato è conosciuto come Deep State, stato profondo. Già il presidente Eisenhower ne aveva denunciato nel gennaio 1961) una parte importante, il Complesso Militare Industriale. Oggi Eisenhower, presidente repubblicano e capo delle forze alleate in Europa durante l’ultima guerra mondiale (a cui Trump si richiama), sarebbe sicuramente accusato di complottismo dai media del Deep State.

 

Questa unione di un immenso establishment militare e una grande industria delle armi è nuova nell’esperienza americana. L’influenza totale – economica, politica, persino spirituale – si fa sentire in ogni città, in ogni casa di stato, in ogni ufficio del governo federale. Riconosciamo l’assoluta necessità di questo sviluppo. Tuttavia, non possiamo non comprendere le sue gravi implicazioni. La nostra fatica, risorse e mezzi di sussistenza sono tutti coinvolti; così è la struttura stessa della nostra società.

Nei consigli di governo, dobbiamo proteggerci dall’acquisizione di influenza ingiustificata, ricercata o meno, da parte del complesso industriale militare. Il potenziale per il disastroso aumento del potere fuori luogo esiste e persisterà.

Non dobbiamo mai lasciare che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o i nostri processi democratici. Non dovremmo dare nulla per scontato. Solo una cittadinanza attenta e competente può costringere il corretto adattamento degli enormi macchinari di difesa industriale e militare con i nostri metodi e obiettivi pacifici, in modo che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme.

Simile e ampiamente responsabile dei profondi cambiamenti nella nostra posizione industriale-militare, è stata la rivoluzione tecnologica negli ultimi decenni.

In questa rivoluzione, la ricerca è diventata centrale; diventa anche più formalizzato, complesso e costoso. Una quota in costante aumento è condotta da, o alla direzione del governo federale.

Oggi, l’inventore solitario, armeggiando nel suo negozio, è stato messo in ombra dalle task force di scienziati nei laboratori e nei campi di prova. Allo stesso modo, l’università libera, storicamente fonte di idee libere e scoperte scientifiche, ha vissuto una rivoluzione nella conduzione della ricerca. In parte a causa degli enormi costi, un contratto governativo diventa praticamente un sostituto della curiosità intellettuale. Per ogni vecchia lavagna ci sono ora centinaia di nuovi computer elettronici.
La prospettiva del dominio degli studiosi della nazione sull’occupazione federale, sugli stanziamenti di progetti e sul potere del denaro è sempre presente ed è gravemente da considerare.

 

Oggi, l’influenza politica di questo Complesso è cresciuta a dismisura non tanto per fare gli interessi (seppure imperialisti) degli USA, ma per accrescere la loro dominazione attraverso le cosiddette Guerre senza Fine volute da amministrazioni sia repubblicane (la famiglia Bush) sia democratiche (Clinton-Obama). Questo partito unico (Bush/Clinton) è adesso in aperta insurrezione contro l’attuale amministrazione che ha vinto le elezioni del 2016 con una campagna basata sulla Fine delle Guerre Senza Fine, Accordo con Russia e Cina, Ritorno negli USA dell’apparato produttivo (e di posti di lavoro ben pagati) delocalizzato all’estero con la Globalizzazione.

In questo momento una serie di Generali americani legati al gruppo Bush/Clinton e noti per le loro tendenze iper-guerrafondaie ha scatenato un attacco aperto contro l’amministrazione Trump colpevole di voler mettere fine alla guerra ventennale (più di Prima, Seconda e Guerra Civile combinate) in Afghanistan, e di aver impedito la guerra vari tentativi di creare guerre in Medio Oriente (Siria), nei Balcani.

I generali vicini alle war corporations temono che Trump abbia deciso di ridimensionare e possibilmente mettere in soffitta una volta per tute la NATO, di voler mettere fine alle strutture sovranazionali mondialiste e, soprattutto di perseguire un accordo e una collaborazione con Vladimir Putin, nemico giurato dell’Impero britannico riveduto e aggiornato. Tra i sostenitori delle guerre senza fine che ora hanno scatenato una guerra da terra bruciata contro Trump, vedi l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton e il generale Stanley McChrystal che secondo fonti ben informate sarebbe la mente del piano. Vedi anche Arab Spring, Rivoluzioni colorate

Vedi per un esempio recente (ma ce ne sono diversi, e si potrebbe preparare una robusta bibliografia solo su questo) di analisi sul “Deep State”, The Global Reset – Unplugged. “The Deep State”. Si McChrystal-Democrats Darpa see https://www.foxnews.com/politics/dems-deploying-darpa-funded-information-warfare-tool-to-promote-biden

 

 

 

 

La Cina tra sovranisti e globalisti.

Il saggio di Giulietto Chiesa

Torniamo alla questione Cina. La Cina potrebbe essere, per l’Italia, la potenza alleata con cui sostituire gli USA e, così, riguadagnare in parte on in toto la nostra sovranità?

Due miti da sfatare. 1) La Cina non è un monolite il cui corso è definitivo e immutabile, ma è segnata da profondissimi scontri interni alla sua leadership. 2) La Cina non ha acquisito la sua attuale posizione economica indipendentemente, ma grazie alla decisione delle più potenti corporations multinazionali e banche (“globalizzazione”) perché lì potevano sfruttare lavoro a basso o bassissimo costo. Questo ha portato a una drastica perdita dell’apparato produttivo nei paesi da cui le industrie venivano delocalizzate e una caduta a piombo di posti di lavoro decenti.

 

Giulietto Chiesa

Possiamo aggiungere un terzo punto, forse ancora più importante: Se gli USA e altri paesi riportano a casa le produzioni di beni reali delocalizzate in massa in Cina (e altri paesi) per sfruttare il basso costo della forza lavoro – se questo succede, la Cina cambierà radicalmente. E tale processo di de-globalizzazione è in corso e non potrà mancare di influenzare radicalmente decisioni e posizioni economiche, politiche, strategiche e anche militari.

Sulla questione Cina è di fondamentale importanza un saggio scritto da Giulietto Chiesa nell’ottobre scorso, Quale destino per l’Impero?

Chiunque voglia affrontare tale questione e le sue implicazioni economiche, militari e geostrategiche dovrebbe studiarlo attentamente. Giulietto andava dritto al cuore del problema, liberando il terreno analitico dalla superficialità (o la malafede, dato che il “padroni universali” hanno tutto l’interesse a non farsi vedere) di coloro che non riescono a vedere che oltre a “Cina” e “America” ci sono forze sovranazionali e che hanno un pauroso potere indipendente distruttivo e manipolatore. E queste forze stanno cercando di scalzare quel che è rimasto delle istituzioni statali che rappresentino in qualche modo gli interessi e la volontà dei propri cittadini.

La globalizzazione tecnologica può ormai abbattere interi stati, cancellare comunità di uomini e storie. Ci vuole un nuovo potere per stabilire un nuovo ordine. E un nuovo potere implica la liquidazione delle vecchie élites politiche. Questo incipit è indispensabile per tentare di spiegare molti fatti nuovi, già in atto. Che si intravvedono, ma solo a tratti nella nebbia di manovre non raccontabili al grande pubblico che avvengono su molti scenari simultaneamente.

 

Le grandi corporations dell’Artificial Intelligence di Silicon Valley, per esempio, minacciano i poteri istituzionali degli Stati Uniti. Per questo motivo, scrive Giulietto, Trump ha vietato la costruzione del super cavo dei signori di Silicon Valley, dalla California a Hong Kong.

 

Adesso possiamo cominciare a vedere perché il governo americano non concederà l’autorizzazione. Ovvero la concederà solo se sarà costretto a farlo. E sto parlando dell’America. Figuratevi il Montenegro, o anche l’Italia! Il fatto è che, ora come ora, tutto quello che c’è è di proprietà e sotto il controllo del governo degli Stati Uniti d’America. Ma — qualcuno potrebbe pensare — qual è il problema? Sempre America è; sempre mercato è. E sbaglierebbe di grosso se lo facesse. Perché Google e Facebook non sono soltanto delle imprese private. In primo luogo, sono così giganteschi che possono ormai competere con quasi tutti gli Stati del mondo e batterli, ricattarli, sottometterli. No, c’è molto di più. Google a Facebook sono tra gli attori principali e, come tali, prendono decisioni politiche. Anzi dirigono l’orchestra, quando possono. E cominciano a poterlo fare. E, quando a loro serve, si organizzano per costituire delle coalizioni, dei partners, in modo tale da mettere con le spalle al muro — eventualmente davanti al plotone di esecuzione — chiunque cerchi di fermarli.

Ecco perché Trump si oppone. Un Internet concorrente di queste dimensioni, che “ragiona” non come America, ma come entità sovranazionale, cioè che fa anche una propria politica estera, diventa molto pericoloso. Tanto più, come vedremo subito, quando sceglie come alleati i nemici di Trump, e quando mette tra i suoi obiettivi quello di sostituire la politica estera degli Stati Uniti con un’altra, i cui contorni si decideranno magari a Londra, se non a Hong Kong o addirittura a Pechino…

Silicon Valley, i grandi media americani e occidentali, Google, Facebook, Yahoo, erano e sono alleati del Partito Democratico. Come non notare che il governatore della Banca Centrale d’Inghilterra, Mark Carney, in prossima uscita dall’incarico, è andato a fine agosto al Symposium dei banchieri centrali, a Jackson Hole, nel Wyoming, a proporre — molto applaudito — la creazione di una “moneta sintetica egemonica” (Synthetic Hegemonic Currency, SHC), destinata a ridurre il peso del dollaro, ormai “non più in grado” di favorire il mercato globale e, anzi, causa della sua “paralisi”?

Una nuova moneta mondiale — ha precisato Carney — in cui il Renminbi di Pechino dovrà giocare un ruolo centrale. È una proposta alla Cina, palesemente. E Carney non è solo il governatore della banca d’Inghilterra. È anche una pedina, vicinissima ai Rothschild, essendo uno degli sponsor della “Coalizione per un capitalismo inclusivo”, di cui è presidente e co-fondatrice, Lady Lynn Forester de Rothschild, amica e sodale tanto di Bill e Hillary Clinton quanto del suicidato Jeffrey Epstein, insieme alla sovrana (in senso letterale) compagnia del principe Carlo d’Inghilterra, del Duca di York, Andrew e all’altrettanto augusta compagnia dei più importanti CEO delle big corporations mondiali (in compagnia di Christine Lagarde: Unilever, Dow Chemical, McKinsey, UBS, GlaxoSmithKline, Alcatel-Lucent, Google, Gic Global Investment, Honeywell etc)…

Da tutto questo emerge con assoluta chiarezza la spiegazione dell’ostilità di Trump. Quello qui indicato è infatti l’esercito dei veri globalizzatori, cioè dei suoi nemici. Quelli che adesso parlano di “capitalismo inclusivo”; quelli che possono fare a meno degli Stati perché non ce ne sarà più bisogno; quelli che pensano di sostituire gli Stati e di usare direttamente i loro eserciti, i loro servizi segreti. Si tratta di vedere quanto contano i trilioni di Rothschild, il peso di Israele, gli amici di Wall Street e della City of London, per far traballare Donald Trump. Cosa pensano di proporre a Xi Jinping e a Putin non è ancora chiaro. La battaglia si annuncia strategica. L’Europa di Aquisgrana ancora non ha deciso da che parte stare. Si vede solo che tifa per loro.

 

Il saggio di Giulietto è da leggere e studiare parola per parola. E’ quello che stava elaborando e sviluppando al momento in cui è venuto a mancare. E’ il suo messaggio a noi. Aveva ribadito gli stessi concetti in interviste e discussioni. Vedi ad esempio “Lo scontro colossale tra poteri invisibili

Ero (e sono) sulla stessa lunghezza d’onda di Giulietto non tanto per amicizia, ma perché’ questi temi così sviluppati rispondono esattamente alla situazione strategica attuale. Sento una grande frustrazione quando vedo che questi temi così cruciali per la sorte dell’umanità trovano a volte un’accoglienza fredda, o una strana incomprensione con il ritorno nostalgico ai bei tempi (mai veramente esistiti) in cui non si doveva pensare molto e il mondo era comodo, schematico e congelato. In un articolo del Maggio scorso, Rothschild e Deep State: Obiettivo Cina, mi soffermavo sul modus operandi concreto di alcuni di quei Padroni Universali contro cui Giulietto lanciava il suo J’accuse. In particolare, il ruolo di Lynn Forester Rothschild e la sua crescente influenza in Cina.

Sebbene il potere degli “Universali” sia mastodontico, c’è un modo per sconfiggerli: distruggere il loro ruolo di intermediari della globalizzazione.

 

Questi “Grandi Intermediari” stanno tentando disperatamente di spingere la Cina a mantenere lo status quo e hanno attivato la massa cinese della cosiddetta “Borghesia Vendidora”, cioè di coloro che accumulano i loro profitti spalleggiando la strategia delle multinazionali occidentali che si ingrassano sfruttando il lavoro a basso costo dei lavoratori cinesi.

Questa strategia si basa su un’escalation di attacchi e contrattacchi tra Cina e Usa, fino al ritorno del circolo clintoniano, via Joe Biden, sul trono della Casa Bianca. In questo vengono spalleggiati dai ben remunerati collaborazionisti internazionali – nel mondo dei media, della politica, della diplomazia – che presentano le relazioni tra Cina e Usa come una guerra anticoloniale, mentre queste grandi multinazionali non sono altro che i discendenti delle potenti famiglie imperialiste come i Sassoon (i cosiddetti “Rothschild dell’Oriente”) che diressero contro la Cina le guerre dell’oppio, per umiliarla, controllarla e saccheggiarla.

Nel momento in cui il governo Trump sta cercando di disingaggiare gli Stati Uniti dal controllo dei grandi potentati finanziari e impedire che tali potentati continuino a trattare gli Usa come il gigante scemo da portare in giro per il mondo a fare il loro lavoro sporco, esattamente in questo momento i grandi burattinai vorrebbero che la Cina si trasformasse nel loro nuovo fantoccio internazionale. Hanno promesso alla Cina di concedere loro la “primogenitura”, di diventare la superpotenza al posto degli Stati Uniti. Basta che ubbidiscano e non facciano stupide ribellioni antioligarchiche. Lodano il “modello cinese” perché lo vogliono plasmare a loro immagine.

 

Come spingeva a fare Giulietto, dobbiamo acquisire una visione più strategica e più profonda se vogliamo essere in grado di combattere la guerra delle idee contro un nemico astuto e deciso a tutto. La Cina attualmente (ma ci sono grandi forze interne che vogliono una vera indipendenza dai Padroni Universali) non è necessariamente il monolite indipendente che potrà aiutare altri paesi a sfuggire a posizioni di sudditanza. Potrebbe essere l’opposto: cioè la nuova faccia di quel potere che ha dominato sotto l’incarnazione anglosassone o americana ma che sta attuando un mutatis mutandis epocale se il suo dominio viene, anche solo in parte, messo in discussione negli Stati Uniti di Trump.

 

La Trilateral

Vediamo brevemente alcuni punti salienti. Senza risalire alla predazione coloniale dell’Impero britannico del 19mo secolo, fino alle efferate Guerre dell’Oppio, basta guardare la storia recente per vedere come questa penetrazione sia continuata senza interruzione, mentre una forte parte dell’élite cinese ha lottato, e sta lottando contro questo cancro finanziario e geopolitico. Ma, attenzione, non dimentichiamo che c’è uno scontro interno e non facciamo l’errore di confondere i “sovranisti” con i “coloniali”.

Cito una delle analisi recenti sulla questione, apparsa sul sito russo Geopolitica.ru, The Silk Road to Globalization, perché riassume alcuni dei più sfacciati exploit di oligarchi angloamericani (o possiamo dire, anglo-Rhodesiani). A cominciare da quelli della Commissione Trilaterale

“…L’oligarchia occidentale, e in particolare l’oligarchia statunitense aveva a lungo sognato di assicurarsi le risorse, il mercato e il lavoro della Cina. Il “comunismo” non era intrinsecamente contrario a fare affari. [4] Mentre la Russia seguiva un corso che rendeva sempre più difficile un accomodamento con Wall Street, l’oligarchia mantenne piani a lungo termine per la Cina, che non furono interrotti dall’avvento di Mao, sul quale gli Stati Uniti apparvero abbastanza favorevoli, rispetto a Chiang. [5]

L’Asia Society fu fondata nel 1956 dalla dinastia Rockefeller.  La Commissione Trilaterale [David Rockefeller e Zbigniew Brzezinski ndr] fu creata nel 1973, originariamente per promuovere un blocco economico tra Europa, Nord America e Giappone, ma anche per gettare le basi per l’ingresso della Cina nell’economia mondiale L’anno precedente Henry Kissinger, vicino alla dinastia Rockefeller per tutta la sua carriera, aveva visitato la Cina per aprire il dialogo. Nel 1973, anno della fondazione del Trilaterale, David Rockefeller visitò la Cina e tornò con una immagine euforica dello stato maoista come un “esperimento sociale” che era “uno dei più riusciti e importanti” della storia. Il think tank globalista, il Council on Foreign Relations, ha svolto un ruolo chiave nello sviluppo delle relazioni sino-americani, relazioni che era state sottilmente promosse dagli anni ’60in vista del giorno in cui le percezioni dell’opinione pubblica sarebbero state adeguatamente modificate. [6] Dopo l’apertura iniziale della Cina a partire dal 1973, gli eventi si susseguirono rapidamente, al punto che gli storici Niall Ferguson Moritz Schularick definirono “simbiotiche” le economie cinese e americana, e coniarono il termine “Chimerica”. [7]

Nel 2009 George Soros su The Financial Times aveva previsto che la Cina avrebbe sostituito gli USA come “il leader del nuovo ordine mondiale”. [8] Nel 2017 il Premier Xi ha dichiarato durante il vertice economico di Davos, tra l’acclamazione dei presenti, l’intenzione della Cina di assumere la leadership della “globalizzazione”. [9]

Perché gli oligarchi “americani” promuovono la Cina come motore primario per un’economia globale? La risposta è che l’oligarchia non ha nazionalità.
(…)

 

Tra il 2011 e il 2012, la dirigenza cinese è stata squassata da un fortissimo scontro interno. Il leader emergente Bo Xilai si scontrava con Xi Jinping. La scontro si è concluso con la defenestrazione di Bo Xilai poi arrestato ed ora in prigione. Lo scandalo che ha portato alla fine del progetto Bo Xilai è esploso dopo la morte di Neil Heywood, cittadino inglese legato all’intelligence Britannica e consigliere nonché factotum politico e finanziario per la famiglia di Bo Xilai. Utile, anche se di non facile lettura, (come punto di partenza per ulteriori ricerche sul ruolo di entità finanziarie e di intelligence) è questo rapporto scritto da un analista americano.

Lo scontro interno in Cina sembra è proseguito anche dopo la fine ufficiale della fase calda. Non mi voglio dilungare sui dettagli in questa sede, ma se qualcuno vuole approfondire questo episodio cruciale, anche una ricerca su internet può aiutare. Heywood faceva parte dell’organizzazione Hakluyt & Co, considerata come “la casa di riposo” per spie britanniche. Vedi anche qui.

 

Scotti e Di Maio alla Link Campus

Nell’Hakluyt hanno trovato un rifugio altri personaggi molto rilevanti nello scontro interno negli Stati Uniti. Cioè nel cosiddetto Russiagate, l’indagine (poi rivelatasi senza basi) che pretendeva di dimostrare che Trump era un agente di Putin. Un’indagine che ha impedito la distensione (e persino la comunicazione) tra Russia e Stati Uniti che era stato uno dei punti chiave della campagna presidenziale di Trump nel 2016. E il ruolo dell’Hakluyt sembra estendersi all’Italia e al ruolo giocato da entità italiane nel Russiagate durante il governo Renzi e anche dopo.

Uno di questi personaggi è Alexander Downer. Downer (che tra l’altro è stato un membro del consiglio di amministrazione e un lobbysta per la ditta cinese Huawei), è uno dei leader politici più importanti dell’Australia, più recentemente Ambasciatore a Londra. E’ piu’ conosciuto alla cronache per il suo forte sostegno finanziario e vicinanza alla famiglia Clinton, ma soprattutto come colui che cercò di circuire George Papadopoulos (un membro minore del transition team di Trump nel 2016) per poter imbastire la trama del Russiagate.

Il giovane Papadopoulos doveva essere usato per dimostrare che i Russi avevano hackerato i computer del Partito Democratico per conto di Trump e Trump ne era a conoscenza.

[Una parentesi sulle indagini che stanno proseguendo ancora adesso. E’ stato dimostrato che il materiale pubblicato da Wikileaks non fu hackerato a distanza, ma fu scaricato a mano dal computer del Comitato Nazionale Democratico e consegnato per la pubblicazione. William Binney, ex direttore tecnico della National Security Agency (NSA) considerato una delle menti più brillanti al servizio dello stato, ha dimostrato che il materiale fu scaricato (downloaded). Nell’ottobre del 2017 Benney ha incontrato il direttore della CIA e sembra che in seguito abbia informato funzionari e tecnici di agenzie di intelligence (che insistevano, senza prove tecniche, nella teoria complottista dell’hackeraggio russo) e fornito ai suoi interlocutori le sue prove. Le file pubblicate da Wikileaks erano state trasportate su un file storage device da qualcuno che aveva accesso fisico ai computer, qualcuno come la persona che si occupava dei computer del DNC, come Seth Rich, di cui diremo più avanti.]

 

Per questo motivo, Downer cercò di incastrare Papadopoulos in un incontro in un wine restaurant a Londra in cui piu’ volte cercò di portare il discorso sulle file di Wikileaks, anche se Papadopoulos no reagiva nel modo voluto. Quando la trappola non riuscì, Downer mandò, ugualmente, un rapporto/denuncia al FBI (dove il direttore James Comey, poi licenziato, era complice del disegno) accusando Papadopoulos e dando fuoco ad una delle micce del Russiagate.

L’angolo italiano consiste nel fatto che Papadopoulos fu mandato dal gruppo londinese (l’informatore del FBI, Stephen Halper, Downer e altri personaggi del mondo dell’alto intelligence) con una scusa in Italia presso la Link Campus University di Vincenzo Scotti a Roma, ritenuto un centro per addestramento di spie angloamericane. Qui Papadopoulos fu introdotto ad un altro personaggio chiave nella grande truffa, il famoso professore maltese, Joseph Mifsud, legato ai servizi angloamericani (noto frequentatore di politici americani compreso Hillary Clinton) e fatto passare come una spia russa. L’incontro tra Papadopoulos e Mifsud doveva “dimostrare” la connessione tra Trump e i russi.

Vedi come uno degli esempio di come ha funzionato il coinvolgimento italiano nel Russiagate, questo articolo: “La spy story che ha come centro nevralgico la Link Campus di Roma, da cui il M5s pesca i suoi ministri

 

“…c’è una realtà parallela, che incrocia spie internazionali, cospirazioni per la conquista del potere, replicanti, faccendieri e servi italiani ed ha come centro nevralgico una piccola università romana: la Link Campus University, l’ateneo fondato dall’ex ministro democristiano Vincenzo Scotti,  diventata la fucina di ministri e sottosegretari, da cui anche il M5s ha pescato a piene mani la sua classe di governo.

Infatti, nel governo ideale proposto da Luigi Di Maio nella primavera del 2018 i principali ministeri erano assegnati a tre donne, tutte e tre docenti della Link Campus: Emanuela Del Re agli Esteri, Elisabetta Trenta alla Difesa, Paola Giannetakis all’ Interno. Anche tra gli assessori della Regione Lazio c’era una casella in quota Link Campus, quella del sociologo Nicola Ferrigni, destinato a governare Sicurezza e Sport alla Regione, se Roberta Lombardi fosse riuscita a centrare la vittoria. È andata male, proprio come a Daniele Piva, penalista romano e anche lui docente nel 2016/17 presso il master in business administration della stessa Link.

Così Angelo Tofalo, oggi riconfermato sottosegretario alla Difesa, una volta cooptato nel Copasir ha pensato di iscriversi a un master in intelligence tenuto dalla Link Campus. Mentre il nuovo Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Loenzo Fieramonti ha collaborato con l’ultima edizione di #ProteoBrains2019…”

 

Ora, per uscire da questa selva di dettagli, cruciali ma molto complessi (che potremmo approfondire in seguito dato che qualche sorpresa è possibile nelle prossime settimane con l’audizione del ), vediamo di trarre delle conclusioni analitiche. E’ chiaro che la “Link Campus” diventa un’ottima Stele di Rosetta per osservare come funzionano realmente le relazioni tra paesi, come si sviluppano operazioni cruciali che rimangono nascoste al pubblico, ma sono più determinanti dei trattati e dei documenti ufficiali.

Esempio. Se avessi voluto analizzare, diciamo, nel 1913, come si sarebbe svolta una possibile guerra e come preparare scenari militari per l’Italia, molto probabilmente avrei sbagliato tutto. Mi sarei basato sulle alleanze esistenti (la Triplice Alleanza e la Triplice Intesa) e avrei visto l’Italia come parte della Triplice Alleanza. Molto difficilmente avrei previsto il segreto Patto di Londra dell’aprile del 1915, le “Radiose Giornate,” i ben organizzati moti di piazza contro il “pescecane” Giovanni Giolitti… che in poco tempo portarono, prima al neutralismo e poi all’interventismo nel campo opposto. Un colpaccio per le diplomazie e i servizi speciali (e i portasoldi) di grandi potentati finanziari, ma quasi impossibile da prevedere per un pianificatore militare.

Il momento attuale è forse ancor più tumultuante. Quindi l’operazione svoltasi attorno al Link Campus ci avvicina alla verità effettuale. In un momento delicatissimo, durante una campagna elettorale presidenziale che deve decidere le sorti della superpotenza americana, entità italiane partecipano ad un’operazione che sembrerebbe senza precedenti, cioè interferire negli affari interni della superpotenza da cui l’Italia sarebbe dominata. L’operazione continua per lungo tempo anche dopo le elezioni. Necessaria conclusione: l’Italia (o quelle specifiche entità italiane coinvolte) non sono sotto il dominio dall’America, ma di una precisa fazione americana, o meglio, da una fazione che esiste negli Stati Uniti, ma esiste anche nella Gran Bretagna e in molti altri paesi, ma non si identifica con quei paesi in quanto tali.

Tali legami di dipendenza, continuano anche quando le istituzioni ufficiali cambiano direzione. Gli Stati Uniti hanno come presidente Trump, ma queste entità italiane continuano ad agire, in opposizione sia alle leggi interne sia a quelle che dovrebbero essere le imposizioni della forza dominante, in opposizione frontale al potere ufficiale di questa “America”. Fino al punto di collaborare ad un progetto golpista. La fedeltà, alleanza, o ubbidienza non è all’istituzione americana, ma ad uno specifico gruppo di potere.

 

Obama

E che dire di un partito come Cinque Stelle? Organizzazione artificiale, creata a tavolino, facendo credere ai suoi sostenitori di essere completamente contro e al di fuori del “sistema” ma, in realtà, controllati in modo pavloviano. Tale movimento basato su pochi concetti (anti corruzione) e sull’ubbidienza al capo è, infatti, uno strumento ideale per coloro che vogliono controllare il nostro paese. Un perfetto partito di opposizione (capace di fare rivoluzioni colorate istantanee) e di governo (capace di cambiare linea a 180 gradi e ancora ubbidire agli ordini). Con una base superficialmente emotiva, manovrabile, docile, e una dirigenza, come quella preparata alla Link Campus, a rispondere ai desiderata della particolare forza a cui fa riferimento. Incredibile, l’intera dirigenza dell’apparato di sicurezza nazionale e politica estera veniva proposto, con la benedizione di Washington, ai grillini addestrati al Link Campus. Non a caso nel 2008, Ronald P. Spogli, l’ambasciatore talent scout di George W Bush, comunicava alla sua cricca a Washington a la scoperta di un utilissimo strumento:

Grillo è unico, una voce solitaria nel panorama politico italiano… Sono «gli studenti, chi vive male e chi si sente ignorato dal sistema» a costituire «il nucleo dei sostenitori di Grillo» anche se «alcuni banchieri ammettono di esserne affascinati». «Alcune delle sue idee sono utopiche e irrealistiche – conclude Spogli – ma nonostante l’incoerenza della filosofia politica, la sua prospettiva dà voce a una parte dell’opinione pubblica che non trova espressione altrove». Da qui la conclusione: «La sua unica miscela di humour aggressivo sostenuto da statistiche e ricerche giuste quanto basta, ne fa un interlocutore credibile sul sistema politico italiano».

 

Il processo di preparazione veniva considerato maturo nel 2013, quando David Thorne, ambasciatore di Barak Obama (tanto per mostrare la differenza tra la banda Bush e Obama) si permetteva un’interferenza diretta incitando i giovani del liceo Visconti di Roma a “prendere in mano il vostro Paese e agire, come il Movimento 5 Stelle, per le riforme e il cambiamento.” Considerando che in quel momento l’amministrazione Obama, attraverso Victoria Nuland e tutta la diplomazia e mezzi speciali, stava promuovendo il colpo di stato cruento della Rivoluzione Colorata in Ucraina, la cosa ha, persino adesso, dell’incredibile. Questi sono gli stessi che stanno tentando la Rivoluzione colorata negli USA contro un presidente eletto, con il sostegno dei grillini. Ma non ci furono reazioni negative sui grandi media. Anzi.

Voi giovani siete il futuro dell’Italia…Tocca a voi ora agire per vostro Paese. So che ci sono problemi e sfide in questo momento… ma voi potete prendere in mano il vostro Paese e agire, come il Movimento 5 Stelle, per le riforme e il cambiamento. Spero che molti di voi daranno un contributo positivo in questo senso per il vostro Paese”.


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