Con l’abituale scambio di accuse, insulti e sberleffi, il senato ha bocciato le mozioni di sfiducia ne confronti del ministro della giustizia Bonafede. Il valzer triste, musica di sottofondo del voto con cui la minoranza si era illusa di far cadere il governo, lo hanno suonato i renziani di ‘Italia Viva’ che si sono orientati obtorto collo al no. Cosa li ha convinti? Nessun dubbio, lo spettro della minacciata caduta del governo in caso di sfiducia a Bonafede e non c’è deterrente più solido per evitare sorprese. Nell’ipotesi di nuove elezioni, Italia Viva avrebbe mai ottenuto di entrare nel governo con un paio di ministri? Gli scontenti del Pd, che non nascondono di apprezzare alcuni passaggi della mozione Bonino, l’avrebbero mai votata e rinunciato a governare? E, paradosso massimo, la destra avrebbe presentato la mozione con l’intenzione di andare al voto se far cadere il governo corrispondeva al rischio di non tornare al governo? I conti li sanno fare, le previsioni di voto dei renziani erano alla portata del loro discernimento e di qui la mozione, per acquisire il placet dei loro elettori e sfogare un po’ della rabbia da poteri decisionali. 158 no, 124 sì. Ovvio anche l’esito del voto sulla seconda mozione: 150 no, 124 sì, 19 astenuti. Tutto chiaro, limpido, trasparente? Assolutamente no. Il grillino Lello Ciampolillo: “Sono disgustato, Bonafede avrebbe dovuto dimettersi subito”. “Non c’è alternativa a respingere la sfiducia a Bonafede” è l’opinione di Matteo Orfini, parlamentare del Pd “ma non è obbligatorio farlo fingendo di condividerne le idee. Le politiche per la giustizia di questo governo sono pessime e devono cambiare radicalmente. E spetta al Pd chiederlo. Anzi esigerlo”. In margine alla paura dei parlamentari di non essere rieletti in caso di voto anticipato, il racconto di Grillo: “Un cane abbaia tutta la notte malgrado davanti alla villa dove fa la guardia non passi anima viva. Una cagnetta chiede perché dia l’allarme e il cane risponde: lo faccio per non perdere il posto”. L’espulso dai 5Stelle Giarrusso, rivolto a Bonafede: “Lei ha tradito undici milioni di cittadini che ci avevano mandato in Parlamento per combattere la mafia”. Ingiurie dalla destra, aspre critiche della Bonino e su altro versante della Santanchè, approdata alla corte della Meloni. Rosato, Italia Viva: “Non abbiamo chiesto nessun sottosegretario alla giustizia, ma Gennaro Migliore (Rifondazione Comunista-Pd-Italia Viva) potrebbe fare il ministro meglio di Bonafede”.
Che casino. Di accettabile, al the end della vicenda Bonafede, c’è solo la continuità del governo gialloverde. Si fosse compiuto il suo percorso, in piena crisi da Covid-19, l’Italia avrebbe messo tutti e due i piedi in bilico sull’orlo del baratro.
Pentirsi, se il verbo si interpreta nella lingua dei laici, è cosa saggia e dovrebbero coniugarlo tutte le persone, che autorevolmente hanno esternato il sentimento di orgoglio per il rispetto garantito dagli italiani ai protocolli elaborati dal comitato scientifico per combattere la pandemia dello stramaledetto virus che uccide e apre una devastante crisi dell’economia mondiale. Insomma è bene pentirsi, specialmente se può incidere sull’incoscienza degli “untori”, soprattutto della ‘bella gioventù’ lombarda, che si unisce in assembramenti happy hour e spara ad altezza zero sull’insanguinata battaglia per sconfiggere la diffusione del contagio. Questi indisciplinati nemici della maggior parte degli italiani assumono in questi giorni cruciali il rischio di riportare il Paese nello stato di drammatica emergenza costato migliaia di vittime e un micidiale colpo alla sua salute economica. A questo punto il governo della responsabilità, nel gestire la fase più delicata della pandemia, ha il potere e il dovere di esercitare con il massimo della severità il rispetto delle prescrizioni indispensabili a uscire dalle fasi preliminari del dopo virus e di impedire che un manipolo di sabotatori provochi una letale ripresa della pandemia. A proposito di anarchia incosciente, oggi palazzo Madama ha votato ed è stato teatro di clamorosi assembramenti. Insomma si predica bene, si razzola male.
Ma in questo Paese esiste il pudore per bocciare i balordi che le urne delegano a rappresentare l’Italia delle più alte istituzioni? Per rispondere basta consultare il diario che registra i protagonisti ‘onorevoli’ di misfatti per cui sono stati indagati o condannati. Ecco alcuni ‘soliti noti’ di un affollato drappello (in tutto 171): primus inter pares Silvio Berlusconi per citare tutto di lui servirebbe un articolo dedicato; Umberto Bossi, Lega: finanziamento illecito del partito, istigazione a delinquere, truffa allo Stato; Calderoli, Lega: ricettazione e truffa; Cesaro (Pdl) associazione camorristica; Ciarrapico (Pdl): truffa aggravata, falso in bilancio, bancarotta fraudolenta, ecc.; Cosentino (pdl): legami con i ‘Casalesi’, inchiesta sulla P3; Cuffaro (Udc): favoreggiamento, mafia; Dell’Utri (Pdl): concorso esterno in associazione mafiosa; eccetera, eccetera. Lo spunto per questo excursus tra gli ‘onorevoli’ è stato sollecitato dalla notizia che coinvolge nientemeno che la presidentessa del Senato Casellati. Inchiesta della Procura di Potenza su Carlo Maria Capistro, procuratore capo di Taranto per tentata corruzione, truffa e falso: nel corso di conversazioni telefoniche, a proposito di un centro di potere a Trani definito ‘fedelissimi’ si fa riferimento alla Casellati: “Poi la Casellati è un’amica nostra: quella, quando stava al Csm, gli fece (a Capristo, ndr) la relazione perché lui doveva andare a Bari. E devi vedere che bella relazione”. Non è l’unico riferimento alla presidentessa del Senato in relazione alle vicende di Capristo.
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