Se un’impresa a grande dimensione esonda finanziariamente dal Paese che l’ha generata ed è guidata da menti eccelse, specialiste in evasione fiscale, il sospetto sul mancato rispetto di clausole contrattuali e sull’uso corretto di finanziamenti pubblici è forse dettato da pregiudizi o di più è complottismo diparte?
Il dottor Molinari, assiso al trono di direttore del quotidiano che compete con il Corriere della Sera per indossare la maglia rosa di giornale generalista più letto d’Italia, conferma il fil rouge con l’Fca degli Agnelli, cementato con la direzione della Stampa, emanazione editoriale della Fiat e lo consolida scalzando bruscamente Verdelli e la sua autonomia professionale dal vertice di ‘la Repubblica’. Il blitz, senza preavviso, coincide, guarda che combinazione, con la richiesta della Fca di un prestito pubblico plurimiliardario, che per dimensione e motivazioni a sostegno richiedono l’ok del governo. I registi dell’operazione e più in generale gli strateghi della comunicazione del gruppo che da poco si è collocato tra i colossi mondiali dell’auto con la fusione Fca-Peugeot, di colpo si assicurano la benevola attenzione del complesso sistema mediatico (Gruppo editoriale GEDI) che comprende: la Repubblica, l’Espresso, la Stampa, Il Secolo XIX, molte testate locali, periodici, giornali on line, siti di informazione e in particolare Huffington Post Italia, le radio a diffusione nazionale Radio Deejay, Radio Capital e Radio m2o, le emittenti televisive m2oTv, Radio Capital Tv e Deejay TV. Si occupa di nuovi media con la Gedi Digital, è proprietario della concessionaria di pubblicità Manzoni & C., è presente nel campo della formazione e dei servizi professionali con la società Somedia.
Abbiamo già ricordato il ‘buongiorno’ del neo direttore Molinari, che ha rifiutato la pubblicazione del comunicato sindacale di protesta nei confronti dell’operazione condotta da Elkann per mettere le mani su uno dei grandi strumenti che orientano l’opinione pubblica. Da 45 anni il gruppo Gedi garantiva l’indipendenza da interessi di parte.
Lo sconcerto di molti lettori del giornale è diventato esplicito con dichiarazioni più o meno polemiche di divorzio e l’importanza di storiche defezioni non è sfuggita alla nuova proprietà del gruppo e la prova è arrivata con buona tempestività. Dopo aver ponderato vantaggi e svantaggi, oggi la Repubblica, concede un’intera pagina (non la prima né la seconda, o la terza, ma la quindicesima), al caso del prestito di sei miliardi e mezzo chiesto dalla Fca. Non c’è traccia, per dirne una, delle garanzie che i miliardi del prestito siano investiti per potenziare e migliorare l’attività produttiva in Italia, precondizione fondamentale per l’ok del governo. Il titolo è tutto un programma: “Per il prestito a Fca il governo punta a regole più rigide”. Proviamo a immaginare quello in primapagina di ‘la Repubblica’ se diretta ancora da Verdelli: “Soldi pubblici agli Agnelli esterofili di Olanda e Gran Bretagna”.
L’articolo pubblicato oggi è un capolavoro di equilibrismo. Per Molinari il tema primario, giornalisticamente rilevante, non è la legittimità dell’agevolazione di questa dimensione, dei 6 miliardi e mezzo da consegnare a un colosso che dall’Italia ha ricevuto nel tempo imponenti finanziari e agevolazioni di ogni genere e che per ingigantire i profitti ha spostato le sedi legali e fiscali all’estero: sono invece gli “scazzi” (pardon per il termine tutt’altro che elegante) in seno alla coalizione del governo giallorosso. La Repubblica racconta la contrapposizione tra serie perplessità dei dem e i soliti tentennamenti grillini, alimentati dai contrasti con l’ala definita di sinistra. Di buono, nell’articolo in questione c’è in verità il riferimento all’obiezione avanzata da Calenda, che si chiede a che titolo accordare a Fca un prestito così ingente se il gruppo, nel 2021, godrà di un dividendo di oltre 5 miliardi grazie alla fusione con la Peugeot.
Non ci sottrarremo al compito professionale di cercare titolo e contenuto di un’indagine sul caso del prestito alla Fca nel sommario del prossimo numero dell’Espresso, settimanale del gruppo Gedi proposto ogni domenica in abbinamento a ‘la Repubblica’. Capiremo se il suo direttore Damilano gode ancora della libertà di pensiero, a rischio di ricevere il benservito con cui ci si è liberati dello ‘scomodo’ Verdelli.
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