Infortunio sul lavoro
Fu proprio come sempre nella vita:
qualcosa mi tirò giù dall’esterno,
la mia forza non mi abbandonò mai.
Perché ci fu il tempo che lavorando
mi pagavo la scuola,
e mio padre ebbe bisogno d’improvviso
e io dovetti dargli tutto.
Così andò sempre finché finii
operaio giornaliero a Spoon River.
E quando dovetti pulire la torre dell’acqua
e mi issarono per settanta piedi, .
io mi sfibbiai la corda dalla cintola
e allegramente gettai le mie braccia giganti
sopra l’orlo d’acciaio della cima
mi scivolarono sul limo traditore;
e piombai giù, giù, giù
nella tenebra ruggente!
Edgar Lee Master
Come se nello spazio di un anno in una città come Roma sparissero i suoi abitanti. Nel mondo sono oltre due milioni le vittime nei luoghi di lavoro per incidenti e malattie professionali. Il bollettino inquietante delle ‘morti bianche’, di un eccidio che non si riesce ad azzerare, o perlomeno a contenere, informa che in Italia muoiono ogni giorno tre lavoratori, 90 in un mese, oltre 1000 in un anno: 1.400 nel 2019 e nell’anno in corso non va certo meglio.
È una festa il Primo Maggio? Le spaventose cifre di chi perde la vita o subisce infortuni invalidanti nei cantieri edili, in fabbrica, nelle campagne, indurrebbe a ridefinire ‘celebrazione’ questa storica data. Il sindacato, nella sua dimensione unitaria titola il Primo Maggio di questo 2020 su cui incombe la pandemia “Il lavoro in sicurezza: per costruire il futuro”. Sicurezza, perché tema dominante di altre cento ‘feste’ dei lavoratori e futuro, con tutte le sue incognite: scandiscono il duplice impegno a garantire l’incolumità di chi costruisce edifici, ponti, strade, di chi trae dalla terra quanto serve a sfamare l’Italia, di chi produce in un capannone, in uno stabilimento industriale e di chi ha il compito di guardare oltre l’orizzonte buio della crisi delle mille incognite coronavirus.
Il virus pandemico ha disintegrato la compattezza della folla di ragazzi in piazza per il tradizionale ‘concertone’, pretesto spettacolare teso a trasmettere i valori della solidarietà per chi con la fatica quotidiana tiene in piedi l’economia produttiva del Paese. Il cuore operativo della Rai, in una sua proposta di servizio pubblico si mobilita per compensare l’assenza di partecipazione allo spettacolo del 1° maggio: dalla stazione di partenza della storica via Teulada invita gli italiani all’evento collettivo di ospiti, collegamenti e, ovvio, di contribuiti musicali.
Il dramma del lavoro da paralisi pandemica incombe sul Paese, in attesa che gli dei della Terra spediscano nel cosmo il maledetto Covid-19 con una potente sferzata di vento liberatore. La pausa coatta di fabbriche, agricoltura, commercio, turismo è nell’insieme un colpo micidiale all’occupazione e costringe a espellere lavoratori dall’intero ciclo produttivo, a investire risorse preziose per far fronte in misura emergenziale alla domanda di cassa integrazione, di sussidi, interventi assistenziali. Il ricorso agli interventi finanziari della Comunità Europea, decisivi per evitare il default è destinato a pesare negativamente sulla ripresa economica e la possibilità di agire sull’occupazione.
Canti di lotta
O cara moglie, stasera ti prego,
dì a mio figlio che vada a dormire,
perché le cose che io ho da dire
non sono cose che deve sentir.
Proprio stamane là sul lavoro,
con il sorriso del caposezione,
mi è arrivata la liquidazione,
m’han licenziato senza pietà.
E la ragione è perché ho scioperato
per la difesa dei nostri diritti,
per la difesa del mio sindacato,
del mio lavoro, della libertà .
Quando la lotta è di tutti per tutti
il tuo padrone, vedrai, cederà ;
se invece vince è perché i crumiri
gli dan la forza che lui non ha.
Questo si è visto davanti ai cancelli:
noi si chiamava i compagni alla lotta,
ecco: il padrone fa un cenno, una mossa,
e un dopo l’altro cominciano a entrar.
O cara moglie, dovevi vederli
venir avanti curvati e piegati;
e noi gridare: crumiri, venduti!
e loro dritti senza piegar.
Quei poveretti facevano pena
ma dietro loro, la sul portone,
rideva allegro il porco padrone:
l’ho maledetto senza pietà .
O cara moglie, prima ho sbagliato,
dì a mio figlio che venga a sentire,
che ha da capire che cosa vuol dire
lottare per la libertà
che ha da capire che cosa vuol dire
lottare per la libertà.
Che avrò avuto, 4-5 anni e che ne sapevo di lavoro, lotta, sindacati, di Portella delle Ginestre, dei lavoratori massacrati dal bandito Giuliano, di quel 1889, quando a Chicago, la polizia uccise undici operai e ne ferì molti altri. Protestavano contro condizioni di lavoro disumane, per 16 ore al giorno, massacranti e zero sicurezza. Che ne sapevo del fascismo che negli anni del Ventennio spostò la data della festa dei lavoratori dal 1° Maggio al 21 Aprile (natali di Roma) e cancellò i sindacati. Che ne sapevo della lotta per le tutele dell’articolo 18, delle ritorsioni degli imprenditori che privavano del lavoro gli attivisti sindacali, dei dirigenti della Cgil pagati come un operaio metalmeccanico e di mio padre, che non ha voluto prendere la tessera fascista, ricercato dalle camicie nere per mandarlo a lavorare in Germania, di Di Vittorio, mitico leader del maggiore sindacato italiano?
“Pà, domani niente scuola, che faccio?”
“Te lo dico. Domani mattina verrai con me a ‘passeggio’”
“E dove?”
“Dove c’è la statua di Garibaldi, sai chi è Garibaldi?”
È una primavera anomala e lo confermano le previsioni del tempo che ‘Paese Sera’ pubblica puntualmente ogni giorno. Non sempre ci prende, stamattina sì. Il sole picchia forte già dalle prime ore e nello spiazzo che circonda la statua dell’eroe dei due mondi, i primi compagni in maniche di camicia si sventolano con il volantino che annuncia la manifestazione di questo primo Maggio. Alla testa del corteo i caschi gialli dell’Italsider reggono lo striscione con la scritta concordata con la Camera del Lavoro: “Uniti si vince”. Allude alle divisioni con Cisl e Uil, che indeboliscono il sindacato. Che facce, penso incuriosito dalla strana, comune somiglianza di questi lavoratori, dagli sguardi decisi, orgogliosi, dalle rughe profonde da fatica, e dalle mani grosse, gonfie, callose, che impugnano bandiere e cartelli. Somigliano tutti a mio padre, alla sua enorme stazza. Anche camicie e pantaloni, fazzoletti, scarpe, hanno un aspetto familiare. Accanto ai caschi gialli, un’‘Ape’ con la cabina di guida avvolta da un telo con la scritta Snia, fabbrica chimica dell’area orientale di Napoli alle prese con una dolorosa ristrutturazione che taglia gli organici degli operai, è attrezzata con un diffusore. “Stanno entrando in piazza i compagni della Fillea, la partenza del corteo tra mezz’ora alle 9 e mezzo. La voce dello ‘speaker’ lascia il posto alla diffusione dell’inno dei lavoratori.
La Gru
Felice, libera, s’alza
nel cielo, addenta
le nuvole che vanno;
furtiva cala, si volge, affloscia
il muso sulla terra.
Rianimata s’impenna e sale
toccata dai veli dell’alba.
Lenta sui tetti sfiora nembi, torri;
mossa da un ignoto spirito,
fra case e uomini dormenti
con il solido ferro è viva, freme;
squilla nel primo mattino.
Forma possente armonica distende
sull’attesa del giorno
manna giuliva, d’oro.
Voci, fresche voci ridono
alla sua danza.
Mi dà forza e speranza.
Polizia: precede il corteo, lo affianca, chiude la manifestazione. Non si teme più. Il tempo della repressione scelbina è per fortuna alle spalle, ma dall’interno del corpo i pochi agenti non di destra raccontano che non è scomparsa l’ideologia anti operaia che in passato ha guidato sanguinosi raid.
Lungo il corso Umberto passanti e curiosi assistono passivamente al passaggio del corteo. Mio padre mi ha messo a cavalcioni sulle sue larghe spalle e da questa altezza ho la visione completa della massa di lavoratori che avanza lentamente. Dipendenti della Olivetti di Pozzuoli fanno musica, certo per modo di dire. Picchiano all’unisono con le mazze su enormi tamburi. Più avanti la banda musicale di Ponticelli esegue ‘Bella ciao’ ‘L’Internazionale’, ‘Bandiera Rossa’. Un folto gruppo di studenti è preceduto dal cartello “Scuola per tutti”.
Tra i caschi gialli anche una decina di lombardi e cantano anche loro, in puro milanese.
Sent on po’ Gioan, te se ricordet
del quarantott, bei temp de buriana…
Vegniven giò da la Rocca de Berghem
i tosan brascià su tutt insema
tutt insema cantaven, cantaven
“Bandiera Rossa”, Gioan, te se ricordet..
Mi s’eri nient, vott ann
e calsetonùe duu oeucc pien de fam per vedè.
e mi ho vist, Gioan, e mi ho vist
ind i oecc di tosann brasciaa su insema
la speransa pussee bela, pussee vera;
“Bandiera Rossa”, Gioan, te se ricordet…
E quij oeucc mi hoo vist, dopo tri dì,
inscì neger de rabia e de dolor:
l’ha vint el pret cont i so beghin,
l’ha vint el pret cont i ball e i orazion.
Ma ind i oeucc di tosann gh’era la guera;
“Bandiera Rossa”, Gioan, te se ricordet
Te se ricordet…
Raggiungiamo la storica sede della Federico II. Sulla scalinata di accesso tutti i gradini sono occupati da studenti universitari. Da un gruppetto in prima fila spunta una bandiera del Pci.
Imboccata la via Diaz in salita il corteo rallenta e si ferma. Dal passa parola arriva la notizia che Luciano Lama non è ancora arrivato in piazza Matteotti e per i più informati il motivo è la sosta prolungata oltre le previsioni in via dei Fiorentini, nella sede del Partito Comunista. Lama è uno storico, amatissimo iscritto, ex partigiano, eletto alla segreteria generale della CGIL nel’70. Il suo carisma è riconosciuto universalmente, anche dalla controparte degli imprenditori.
“Compagni, viva il primo maggio, la nostra festa. Quest’anno la manifestazione ha come tema ‘Mezzogiorno, occupazione, sviluppo’. Saluto i compagni del sindacato pensionati che stanno entrando in piazza, le donne dell’Udi, i postali…salutiamo il compagno Luciano Lama, il segretario regionale, il compagno segretario della Camera del Lavoro…”
“Papà, Lama è quello con la Pipa”
“È lui, quando torniamo a casa ti faccio vedere una sua fotografia con me. L’ho fatta quando mi hanno eletto segretario della Filcea e ho stampato il primo giornale di un sindacato napoletano con il ciclostile.
Capirò molti anni più tardi quanto quel primo maggio ha deciso per la scelta di coerenza con idee e comportamenti di sinistra, per la consapevolezza di nessun merito se mi ritengo onesto, leale, seriamente laico.
“Compagni, Napoli è la città scelta dalla Cgil per la manifestazione nazionale del primo Maggio. Non è un caso se siamo qui. Il Mezzogiorno è il titolo prioritario dell’impegno della Cgil nel Paese, che decisioni discriminanti hanno reso disuguale per disponibilità di risorse e opportunità economiche…”
Lama ha una voce potente, persuasiva. Me ne rendo conto perché ho la strana idea che mi piacerebbe se fosse un mio zio, un nonno.
I colori dei mestieri
Io so i colori dei mestieri:
sono bianchi i panettieri,
s’alzano prima degli uccelli
e han farina nei capelli;
sono neri gli spazzacamini,
di sette colori son gli imbianchini;
gli operai dell’officina
hanno una bella tuta azzurrina,
hanno le mani sporche di grasso:
i fannulloni vanno a spasso,
non si sporcano un dito
ma il loro mestiere non è pulito
Gianni Rodari
“Compagni, tra gli obiettivi di questo giorno di festa e di lotta, il sindacato mette in cima alle priorità anche la parità di diritti della donna nel lavoro e nella società…”. Applaudono le compagne della scuola.
Madre operaia
Nel lanificio, dove aspro clamore
cupamente la volta ampia percuote
e fra stridenti ruote
di mille donne stemprasi il vigore,
già da tre lustri ella affatica. Lesta
corre alla spola la sua man nervosa;
né l’alta e fragorosa
voce la scuote della gran tempesta
che le scoppia d’attorno. Ell’è si stanca
qualche volta – oh, si stanca
e affievolita!
ma la fronte patita
spiana e rialza con fermezza franca.
Ada Negri
“Ci sono frangenti nella vita nei quali il dominio della ragione rischia di cedere al tumulto dei sentimenti. Non c’è in me nessuna amarezza né rimpianto, se non la nostalgia dei giovani anni, il ricordo struggente di tanti compagni con i quali ho condiviso le ansie, le vittorie, le delusioni, le alterne vicende della Cgil, organizzazione di lavoratori che sono uomini che vivono in una società stimolante ma mobile e inquieta come la nostra. La Cgil mi ha fatto come sono, mi ha dato le ragioni più profonde e grandi di vita e di lotta, mi ha dato una cultura, un’etica, una educazione sociale e politica divenute parte insondabile della mia persona. Ci sono momenti nei quali si è indotti a ripensare al proprio passato. Sono ritornato con la memoria a quel lontano 9 novembre 1944, quando armi alla mano, ci impadronimmo a Forlì della sede dei sindacati fascisti e inopinatamente venivo nominato segretario della Camera del lavoro. C’erano in me ancora confuse speranze di una radicale e drastica resa dei conti con i responsabili del fascismo e della guerra, la convinzione che quella fase unitaria sarebbe presto terminata e avremmo potuto, d’un colpo solo, realizzare quei valori di giustizia, di libertà, di pace tanto agognati e discussi nelle lunghe giornate di vita partigiana, Ma poi venne la grande scoperta del sindacato e dei suoi protagonisti, Di Vittorio, Grandi, Lizzadri nella gelida sala del Museo di Napoli in quel febbraio del 1945. A poco a poco, all’erronea illusione di un salto repentino impossibile e pericoloso, si andava sostituendo nella mia coscienza che la costruzione di una società davvero diversa e più giusta non può essere per noi che una conquista collettiva, faticosa, fatta di tappe successive da superare giorno per giorno, insieme con la gente e che ogni modello di città del sole è, oltre che utopistico, parziale perché anche i lavoratori e gli uomini cambiano mano a mano che procedono sulla via della loro emancipazione. Ciò che resta intatto sono quei valori essenziali di giustizia, di libertà, di progresso sociale, culturale, umano che il mondo del lavoro porta con sé”.
Mio padre ha messo la registrazione di questa nobile parte del discorso di Lama nell’archivio dei ricordi a cui ricorrere nel corso della vita e me l’ha proposto accompagnato al racconto del mio primo maggio.
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