YARA – UNA VENDETTA DI CAMORRA

Mentre si celebrano al tribunale di Bergamo le udienze di quello che rischia di diventare il più clamoroso processo-farsa della storia giudiziaria, riproponiamo ai nostri lettori le inchieste con cui la Voce, fin da maggio 2012, aveva indicato la pista investigativa più lineare, quella che parte dal movente per arrivare all’assassino. Scenari che abbiamo ripercorso raccogliendo le indiscrezioni dei cronisti locali, che a caldo, fin dalle prime ora dal ritrovamento del corpo della piccola ginnasta, indicavano a mezza bocca un termine ben chiaro: camorra. Quella camorra che dominava nei settori dell’edilizia e del narcotraffico nella zona già da molti anni. E che in questo terribile caso aveva manifestato la sua presenza con tutto l’orrore di cui è tradizionalmente capace: tagliuzzando il corpo di una vittima innocente e facendolo ritrovare in un campo. Fin da allora quella macabra rappresentazione, dai contorni tribali tipici dei clan camorristici, era stata dalla Voce messa in relazione con un altro omicidio che aveva anch’esso come sfondo il narcotraffico: quello di Melania Rea, anche lei tagliuzzata e abbandonata in un campo, affinché suonasse per sempre come un monito rivolto a chiunque intendesse provare ad infrangere le regole di morte dei clan.

Oggi Roberto Saviano, poi Chi l’ha visto, riprendono coraggiosamente la pista indicata dalla Voce, una pista rafforzata dalla lunga intervista rilasciata al programma di Federica Sciarelli da Vittorio Rizzi, grande investigatore della Polizia di Stato (oggi a Palazzo Chigi), che ripercorre l’arresto del narcotrafficante internazionale Claudio Locatelli (nella foto in alto), titolare della Lopav, l’impresa che lavorava nel cantiere di Mapello, frettolosamente escluso dalle indagini. Un uomo arrestato mentre cercava di far viaggiare – dice Rizzi – cinquemila chili di droga. Questa era la dimensione, questo lo spessore, questi gli interessi.

La domanda è allora, oggi, solo una: chi e perché ha escluso dalla vicenda giudiziaria dell’assassinio di Yara Gambirasio la Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, competente per territorio?

Ecco il testo della prima inchiesta, pubblicata in esclusiva sulla Voce di maggio 2012.

 

YARA, LA LOPAV E LA COSTA DEL SOL

Maledetta camorra. Che ricorre ogni volta, come un macabro rituale, negli omicidi più atroci ed efferati. Anche in questo. Sì, c’è l’ombra dei clan del napoletano che si allunga sulla morte della piccola Yara Gambirasio. Più volte se ne era parlato nei primi mesi delle indagini. E le informazioni circolavano a mezza bocca in paese, dentro una Brembate sconvolta ed impaurita. Qualche telefonata era arrivata anche alla Voce: «indagate bene sul clan Mazzarella. Qui lo sanno tutti che poteva esserci la mano della camorra. Tanto che alla Zingonia (un quartiere ghetto al confine di Brembate, ndr) sembra ormai di essere a Secondigliano o a Forcella, si spaccia in ogni angolo di strada…».

E allora proviamo a partire da una ricostruzione cronologica dei fatti. E occhio alle date. E’ il 12 ottobre del 2010 quando i finanzieri del nucleo operativo antidroga, arrivati in provincia di Bergamo su ordine della Direzione antimafia partenopea, arrestano i fratelli Massimiliano e Patrizio Locatelli. I due gestivano un’impresa edile nel campo della pavimentazione. Affari a gonfie vele: dalle migliaia di alloggi per i terremotati dell’Aquila, fino al nuovo centro commerciale di Mapello, nel comune di Brembate.

Il blitz del 12 ottobre era scattato nell’ambito dell’Operazione Box, che sempre nel 2010, a maggio, aveva condotto per la terza volta in manette Pasquale Claudio Locatelli, padre dei due imprenditori napoletan-bergamaschi, nonché elemento di spicco del sodalizio criminale collegato al clan Mazzarella, con solide basi logistiche nella Costa del Sol, in Spagna. Pesanti le accuse, riciclaggio e narcotraffico, anche per i Locatelli junior, la cui azienda è stata affidata dalla Dda di Napoli al custode giudiziario Cesare Mauro. I beni sequestrati ammontano a 10 milioni di euro.

Prima ricorrenza. Quello di Mapello è lo stesso cantiere in cui i cani molecolari hanno più volte fiutato le tracce di Yara, la tredicenne di Brembate scomparsa la sera del 26 novembre 2010 all’uscita dalla palestra e ritrovata cadavere il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d’Isola, distante pochi chilometri. Quando Yara viene rapita sono trascorsi poco più di 40 giorni dall’arresto dei Locatelli. E molti fanno notare la ritualità fra le date: 90 giorni esatti dalla scomparsa. Tre mesi.

Seconda ricorrenza. Sponsor ufficiale del Palazzetto dello sport di Brembate, dove Yara si allenava, accingendosi a diventare una stella della ginnastica ritmica, era stata a lungo proprio la Lopav Pima dei fratelli Locatelli.

Terza. Fulvio Gambirasio, padre di Yara, lavora da sempre nel campo della pavimentazione edile. Attualmente risulta dipendente della Gamba coperture, ma pare accertato che questa ditta abbia avuto in passato rapporti di collaborazione proprio con la Lopav.

La gente del posto parla di grossi giri di manodopera straniera, molto spesso al nero, ma soprattutto di «appalti e subappalti che poi coinvolgevano sempre le stesse ditte». Quanto alla Lopav Pima, qui se ne parla come di un fulcro economico e sociale sul territorio per anni. E riecheggia ancora l’eco delle iniziative “benefiche” messe in campo dagli imprenditori camorristi, come il dono di attrezzature per i parchi giochi dei bambini, o le feste sui campi organizzate con le famiglie dei 140 dipendenti. Senza contare, poi, le sponsorizzazioni sportive e gli spot nelle tv locali. Ma c’è di più: «Nel 2009, prima che scattassero i provvedimenti antimafia a carico dei fratelli Locatelli – raccontano a Brembate – all’open day della Lopav parteciparono membri delle forze dell’ordine, due magistrati, il direttore di un carcere, politici e religiosi locali», benché, come abbiamo visto, fosse già noto alle cronache il profilo camorristico di Locatelli senior.

Ancora. Fra gli extracomunitari che lavoravano al cantiere di Mapello c’era anche lui, il marocchino Mohamed Fikri, 22 anni, prima fermato e poi rilasciato nell’ambito di un pasticcio investigativo basato sulla traduzione di una frase intercettata del giovane («Dio, Dio, fa che risponda» sarebbe stata tradotto come «Che Allah mi perdoni, ma non l’ho uccisa io»). Di sicuro, il giorno dopo la scomparsa di Yara il ragazzo aveva già preso il largo. Forse, uno dei tanti testimoni scomodi. Che voleva scampare a un destino già segnato.

Infine le coincidenze. Impressionanti. Il 25 novembre, poche ore prima della scomparsa di Yara, si toglie la vita nel suo ufficio della caserma di Zogno, in zona Brembate, il brigadiere Pierluigi Gambirasio, 53 anni. Non lascia nemmeno un biglietto che spieghi il suo gesto. Si siede alla scrivania, estrae la pistola d’ordinanza e si spara in bocca. I suoi familiari negano la parentela con la famiglia di Yara: probabilmente si tratta anche qui d’un caso di omonimia. E’ certo, però, che il brigadiere si occupava proprio del traffico di stupefacenti nel territorio della Val Brembana.

La seconda coincidenza, l’ultima, potrebbe forse offrire una spiegazione. Perché ad aprile scorso, sempre nell’ambito della Operazione Box, i militari del Goa della Guardia di Finanza di Napoli hanno catturato a Bergamo quello che è considerato l’informatore della holding Locatelli. Si tratta di Gianfranco Benigni, ex carabiniere del Ros, accusato di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga. Benigni – questa l’imputazione – era stato assoldato dai trafficanti del clan Mazzarella per fornire ai Locatelli informazioni riservate riguardanti indagini in corso, intercettazioni o misure cautelari a loro carico».

«L’arresto di Benigni – commenta il procuratore aggiunto di Napoli Rosario Cantelmo – rappresenta l’ultimo sviluppo della Operazione Box, l’inchiesta giudiziaria su un sodalizio collegato col clan camorristico dei Mazzarella e con basi logistiche in Spagna, sulla Costa del Sol, attivo nell’importazione di ingenti quantitativi di hashish destinati allo spaccio, in Campania e nel Lazio». «Il gruppo di narcos italo-spagnoli capeggiato da “Mario di Madrid” (soprannome di Pasquale Claudio Locatelli, ndr) – viene aggiunto – è ritenuto uno dei principali fornitori di hashish del mercato italiano, in particolare di quello napoletano, controllato dal clan Mazzarella di San Giovanni a Teduccio».

Tutto questo non è bastato finora agli inquirenti bergamaschi – in prima fila la pm Maria Letizia Ruggeri – per seguire fino in fondo la pista della camorra nelle indagini finalizzate a scoprire chi ha massacrato e reso irriconoscibile il corpicino di Yara Gambirasio.


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