Il danno  e la beffa

L’Italia dei paradossi. Migliaia di trasgressori continuano a circolare  nelle strade e nello loro egoistica incoscienza contribuiscono alla diffusione del coronavirus. Contemporaneamente in più di una città italiana (Modena. Verona, Milano, Siena e non solo) chi è impegnato a far rispettare il divieto di circolazione senza motivi imprescindibili emette verbali di contravvenzione ai clochard, cioè a chi non ha un tetto. Certo, applica le sanzioni previste dal codice penale, ma possibile che chi sovrintende al lavoro delle forze dell’ordine, sia così ottusamente ligio  da non prevedere deroghe ed evitare l’assurdo di multare  chi ‘abita’ la strada perché figlio di  nessuno? “Vorrei restare a casa… ma se una casa non ce l’ho?” Comincia così il commento di chi difende i senzatetto “Ed è   la situazione in cui si trovano circa 50.000 persone in Italia”.
Carcere e riabilitazione, carcerazione in attesa del verdetto processuale, carcere per reati minori, sovraffollamento degli istituti di detenzione: temi irrisolti in un Paese democratico avanzato  in comparti dell’intelligenza applicata, ma per altri versi arretrato.
Sono terrificanti l’effetto sorpresa del Covid-19, l’epidemia in Cina, in Corea del Sud, i casi isolati in mezzo mondo, l’esplosione di contagi in Lombardia, Veneto, Emilia e in crescendo nelle venti regioni italiane. Devastante è il deficit di possibilità dell’accoglienza sanitaria, specialmente nei reparti di rianimazione, di medici, infermieri, macchine per la respirazione assistita; spaventa il buco nero dei tamponi insufficienti, delle mascherine introvabili, il blocco dell’invio all’Italia messo in opera dai produttori di altri Paesi, indotti all’autarchia da esigenze interne, perché a loro volta colpiti dalla pandemia. Che fare? Carceri, da trasformare rapidamente in laboratori per la produzione di quanto manca al sistema globale di assistenza ai contagiati dal coronavirus: potrebbero contribuire con decine di migliaia di mascherine al giorno alla richiesta del Paese e perché no, precostituire un settore di lavoro dei detenuti ben oltre il tempo della pandemia, con il duplice risultato di  soddisfare la domanda di preside sanitari, di  impegnare i detenuti in lavori utilissimi e di pagarli, con vantaggi per le loro famiglie. In 25 Istituti si svolgono già lavori sartoriali. Per andare oltre manca solo l’ok del Ministero della Giustizia e dell’Istituto Superiore della Sanità. Appello alla burocrazia: “Fate presto”, c’è già il via libera delle Protezione Civile. Bene. E bene la disponibilità dei detenuti di Poggioreale (Napoli) a donare il sangue, espressa con una lettera alle autorità penitenziarie. Ma c’è anche un problema nel problema. Nelle carceri della Campania sono circa mille i detenuti con un residuo di pena inferiore a un anno e mezzo. Non si potrebbe cominciare da loro per sanare lo scandalo del sovraffollamento con misure alternative? Anche l’Istituto di detenzione di Ariano Irpino, comune isolato per contenere i casi di contagio, potrebbe diventare una delle carceri dove si producono mascherine. In Campania in via sperimentale l’iniziativa è già avviata negli Istituti di Pena di Pozzuoli (femminile), Secondigliano, Santa Maria Capua Vetere, Salerno, Benevento, Sant’Angelo dei Lombardi, in collaborazione con la ASL1 di Napoli e la Federico II.
In ritardo si fa strada la proposta di riconvertire aziende ferme per mancanza di commesse in fabbriche di mascherine e altri sussidi sanitari per coprire la domanda inevasa di ospedali, farmacie e singole persone. Ed ecco un notizia con un doppio segno +:  l’Azienda di moda Miroglio, di Alba in Piemonte, ha riconvertito parte della sua produzione tessile per confezionare mascherine: ovvero, flessibilità, esperienza e know how per trasformare una male in generosa opportunità e tutelare i posti di lavoro. Identico l’apprezzamento meritano i grandi stilisti della moda italiana, per il loro sostegno con finanziamenti cospicui alla battaglia contro il coronavirus.  La Miroglio dopo aver realizzato  un prototipo, considerato idoneo, annuncia che produrrà 600 mila mascherine in due settimane, al prezzo minimo di copertura dei costi. Già consegnate le prime diecimila. L’invito ad estendere l’iniziativa punta alla produzione di camici monouso,  mascherine chirurgiche del tipo FFF2P e FFP3 (le più efficaci) copri calzari e cuffie.

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