Il coronavirus ha ghermito alle spalle la popolazione mondiale, ma non gli analisti finanziari di Bridgewater, che il 12 novembre 2019 scommettevano oltre 1 miliardo di dollari sul crollo dei mercati a marzo 2020.
Il tracollo dell’economia mondiale a marzo 2020 era già noto alla cupola degli analisti finanziari. Almeno dai primi giorni di novembre dello scorso anno, quando Bridgewater Associates, il maggiore hedge found internazionale, scommetteva oltre un miliardo di dollari che i mercati azionari di tutto il mondo sarebbero crollati entro marzo. Ad anticipare la notizia, poi rilanciata in Italia da Milano Finanza, era stato il Wall Street Journal con un pezzo a firma di Juliet Chung e Gunjan Banerji.
Sui motivi del colossale azzardo Chung e Banerji in un primo momento sbagliavano il tiro, non si sa quanto consapevolmente: «Il più grande hedge fund del mondo sta utilizzando opzioni put per scommettere sul ribasso entro marzo dell’indice S&P 500 o dell’Euro Stoxx 50, o di entrambi. Entro la fine di quel mese i democratici dovrebbero aver scelto il loro candidato per le elezioni presidenziali», come se la scelta dello sfidante di Donald Trump potesse bastare a sovvertire gli equilibri, generando lo tsunami che il pianeta sta vivendo adesso.
Leggiamo ancora: «La scommessa, assemblata in un arco di mesi ed eseguita per il tramite di un piccolo numero di intermediari, tra cui Goldman Sachs Group e Morgan Stanley, si rivelerà fruttuosa per il più grande fondo hedge del mondo se l’indice S&P 500 o l’Euro Stoxx 50-o entrambi, registreranno appunto un ribasso, secondo quanto riportano alcune fonti del WSJ».
Di sicuro, le “cedole” emesse a novembre 2019 avevano scadenza marzo 2020: si tratta di opzioni put, vale a dire contratti che danno la possibilità agli investitori di effettuare con una spesa relativamente modesta scommesse direzionali e vendere azioni ad un prezzo specifico entro una certa data. «Le opzioni – precisava WSJ – scadono a marzo e attualmente rappresentano una delle più grandi scommesse ribassiste contro il mercato».
Queste “straordinarie” opzioni venivano pagate a novembre da Bridgewater la stratosferica somma di 1,5 miliardi di dollari. All’epoca ci si interrogava ancora sulle possibilità di guadagni: «quanto Bridgewater potrebbe realizzare in caso le sue previsioni si avverassero dipende da molti fattori , tra cui l’entità complessiva del ribasso e il momento in cui incassare la posta della scommessa». Oggi sappiamo che gli analisti di Westport (Connecticut, dove ha sede il colosso), non rischiavano nulla: erano già sicuri che la pandemia sarebbe scoppiata a marzo. Un affare enorme, specie se si consideri che in quel fine 2019, sottolinea il WSJ, Bridgewater aveva «una esposizione significativa sui mercati azionari».
«Le nostre posizioni cambiano spesso – rispondevano i leader di Bridgewater a chi poneva loro domande sull’azzardo – e sono spesso degli hedge costruiti per altre controparti od operazioni, sarebbe un errore voler interpretare troppo cosa vi sia dietro una singola posizione».
Di sicuro, veniva spiegato da trader indipendenti, i prezzi delle opzioni aumentano quando sembra più probabile che lo strumento possa raggiungere quel livello entro la data di scadenza.
Esattamente quello che oggi, 16 marzo 2020, è sotto gli occhi sbigottiti del mondo. Così come, senza avere la sfera di cristallo ma piuttosto “lungimiranti” fonti informative, Bridgewater sapeva già che la scommessa sarebbe stata vinta, con trilioni di dollari di profitti. La guerra batteriologica era già stata dichiarata, sferrata a colpi di micidiali agenti patogeni creati in laboratorio a Wuhan per affermare la potenza cinese contro il competitor a stelle e strisce. Solo che Xi Jin Ping e i suoi non avevano messo nel conto le “menti raffinatissime” degli speculatori d’oltre oceano. Che ancora una volta li hanno beffati.
Ed anche tutte le ipotesi sui motivi politici legati alle presidenziali USA, elaborate nell’articolo 22-11-2019 del WSJ, suonano oggi ridicole: «Wall Street ha iniziato a rendere note analisi sulle conseguenza di una presidenza Warren, suggerendo i modi in cui gli investitori potrebbero mettere i loro soldi al riguardo. Morgan Stanley il primo ottobre scorso ha inviato ai clienti commerciali un “Elizabeth Warren Risk Basket” che ha descritto come un modo per coprire il rischio associato ai suoi molteplici piani».
Va detto però che già in quell’analisi un accenno alla salute globale veniva, seppur cautamente, avanzato: «Ci sono stati anche scambi ribassisti su uno dei più grandi Etf (exchange traded fund) che seguono l’assistenza sanitaria, il Fondo Health Care Select Sector SPDR, che detiene quote di aziende farmaceutiche e fornitori di assistenza sanitaria, hanno detto gli analisti. La signora Warren ed il senatore Bernie Sanders, un’altra speranza presidenziale democratica, si sono dichiarati a favore dell’abolizione dell’assicurazione sanitaria privata e per la rinegoziazione al ribasso dei prezzi dei medicinali». E non è un caso che oggi, a otto mesi dal voto presidenziale del 3 novembre, in testa ci sia Joe Biden, che solo pochi giorni fa ha imprevedibilmente scavalcato l’eterno Sanders.
Si attendono intanto le mosse di George Soros, importante donatore democratico, che aveva perso quasi 1 miliardo di dollari nei mesi immediatamente successivi all’elezione inaspettata di Donald Trump, quando il mercato azionario si era impennato.
Per ora, attraverso la newsletter inviata il 12 marzo scorso ai supporter di tutto il mondo, il presidente di Open Society Foundations , Patrick Gaspard, scrive: «Gli eventi si stanno muovendo alla velocità del suono. Il mese scorso sono stato a Johannesburg, con attivisti e artisti di spicco che hanno aumentato la ricchezza delle storie africane; il coronavirus stava esplodendo in Cina, eppure sembrava ancora una nuvola di tempesta su una costa lontana. Oggi lavoro a distanza a New York City, insieme a molti di voi, e osservo qui a casa, mentre il numero di persone colpite dal virus cresce esponenzialmente in tutto il mondo, i mercati si schiantano e i nostri leader politici si dimenano. Stiamo entrando in quella che potrebbe essere una delle più gravi sfide per la salute pubblica che io abbia affrontato nella mia vita, e questo la dice lunga, essendo cresciuto nell’età dell’AIDS e avendo lavorato nell’amministrazione Obama per combattere l’epidemia di Ebola del 2014».
Nessun accenno a stanziamenti finanziari adeguati, ma solo la promessa che «cercheremo modi per sfruttare i nostri investimenti per proteggere i più vulnerabili e garantire che quando un vaccino sarà scoperto, sia disponibile per tutti, indipendentemente dal reddito». Vogliamo proprio vedere…
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