Mentre in questi minuti l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara la tanto temuta pandemia, l’epocale attacco sferrato dal “blocco comunista” all’Occidente con l’epidemia di Coronavirus comincia a mostrare le prove della sua vera origine e natura, come due più due fa quattro. A dimostrarlo sono i numeri.
Uno. Nessun contagio in Russia (alcuni organi parlano di 17 casi, tutti stranieri, su una popolazione di oltre 144 milioni di abitanti). Seguiamo la nota dell’agenzia Tass di poche ore fa: «in Russia sono stati registrati in totale 17 casi di infezione da coronavirus, di cui 14 di cittadini russi tornati dall’Italia, due di cittadini cinesi e uno di cittadino italiano». Per essere ancora più chiari: «Un cittadino russo e due cinesi si sono ripresi», precisa la Tass, che aggiunge: «Per il resto sui media russi si guarda la vicenda Covid-19 come notizie dal resto del mondo».
Due. Restiamo nel “blocco” e passiamo da casa dell’”amico” Kim Jong-un. La Corea del Nord – fa sapere Pyongyang – non è interessata al contagio. L’unica misura adottata è quella di chiudere le frontiere per evitare che qualcuno porti il virus dall’esterno.
Tutt’altra la situazione nella filo-occidentale Corea del Sud che, come sappiamo, è il terzo Paese al mondo per diffusione dell’epidemia con un bollettino che, ad oggi, riporta 7.755 infezioni del virus, di cui 252 solo nelle ultime 24 ore.
Nelle ex oasi felici di regole e lindore, Svizzera e Liechtenstein, si registrano 645 positivi, in Spagna 2002 casi e 47 vittime, 456 i contagiati nel Regno Unito (dati alle ore 9 di oggi). Mentre in Francia gli infetti salgono a 1784, in Germania la cancelliera Angela Merkel annuncia che in breve il 70 per cento della popolazione tedesca sarà contagiata.
Tre. Se andiamo a vedere qual è la situazione là dove tutto è partito, il dato nudo e crudo aggiornato ora per ora dal Sole 24 Ore ci dice che «la Cina (senza Hong Kong e Macao), conta 80.778 casi, tra cui 3.158 morti e 61.475 persone guarite”. Da notare subito sia che il numero dei guariti tende progressivamente ad eguagliare quello dei “malati”, sia quel “senza Hong Kong e Macao”, vale a dure le due propaggini filo-occidentali, con la prima, Hong Kong, che nei violenti scontri di fine 2019 sarebbe stata proprio la scintilla capace di far deflagrare l’epidemia, scagliata dai laboratori di Wuhan contro i nemici “capitalisti” e “liberisti”, come documentato da un’inchiesta della Voce pubblicata 9 giorni fa, il 2 marzo.
Uno scenario da guerre stellari, quello ricostruito dalla Voce, che aveva suscitato incredulità e scetticismo anche in alcune fra le menti più aperte, ma che ogni giorno, come stiamo vedendo, trova ulteriori conferme. «La Cina – scrive ieri Roberto Arditti sull’ Huffington Post – ha vinto la sfida del virus ed è il nuovo padrone del mondo». Il pur lungimirante Arditti non arriva a delineare gli scenari sulle origini della pandemia (ricostruibili con il semplice, deduttivo “cui prodest”), tuttavia afferma che la Cina, pur dovendo essere considerata il “paziente zero”, ha saputo trasformare la sua colpa in una “cavalcata trionfale”, riuscendo con i suoi metodi dittatoriali a sconfiggere il virus.
Quattro. Se ci spostiamo verso i Paesi dell’ex blocco Sovietico la situazione, dal punto di vista epidemiologico, è quella di isole felici, al pari di Russia e Corea del Nord. In Slovenia, apprendiamo da Radio Capodistria, fino al 27 febbraio non risultavano “persone contagiate dal Coronavirus”. Oggi i casi positivi (non gli ammalati) sarebbero in tutto 57 su 2 milioni e passa di abitanti. Per motivi precauzionali il governo di Lubjana ha deciso di chiudere le frontiere con l’Italia: chi intenda entrare provenendo dal nostro Paese deve esibire ai posti di blocco appositamente istituiti un certificato medico attestante che non è affetto da Covid 19.
Risibile anche il numero dei positivi in Polonia (2 casi non confermati su 38 milioni di abitanti), così come in territori più ristretti quali la Serbia (dodici casi su 7 milioni di abitanti), dove comunque le scuole restano aperte e la vita continua come sempre, tranne le barriere per gli ingressi degli italiani e di viaggiatori, in generale, provenienti da Paesi occidentali “infetti”.
In Croazia 40 italiani oggi sono stati bloccati e posti in quarantena sul traghetto giornaliero Ancona-Spalato, mentre veniva disposta la chiusura di porti e varchi d’entrata ad italiani e occidentali.
In Albania su quasi 3 milioni di abitanti si registrano 11 casi di positività, due soli ammalati ed ed una unica vittima, peraltro non riconducibile al virus perché la 73enne deceduta era affetta da pregresse patologie.
Allarme ZERO in altri satelliti della Russia come Montenegro, Georgia, Estonia, Lituania, dove gli echi della pandemia da Coronavirus, stando ai talk d’agenzia, risuonano come fatti lontani anni luce, che non disturbano le normali attività dei governi locali, impegnati a programmare nuovi ponti e strade (la Bielorussia entro la fine di quest’anno ne costruirà 20), ad accordi diplomatici per l’allargamento dei confini UE (Macedonia del Nord), o a delineare le linee guida in vista del vertice Nato di luglio (Romania).
Se alla fine di questo viaggio atterriamo nuovamente in Cina, troviamo un “continente” in rapida ascesa, sicuro oggi, dopo la prova muscolare offerta – pur con il correlativo tributo di sangue – di avere definitivamente affermato, messo in sicurezza e blindato almeno per i prossimi 50 anni la sua leadership mondiale. E forse non solo la sua.
La mappa del contagio mostra ormai con impressionante chiarezza che il virus è stato diffuso contro i Paesi occidentali partendo dal cuore di quella che era, al tempo della guerra fredda, la “cortina di ferro”.
Ancora il 19 dicembre scorso, su Formiche.net, il docente Luiss e consigliere scientifico di Limes Germano Dottori ricostruiva uno scenario nel quale la “Nuova Guerra Fredda” è già cominciata, con una sfida tra Usa e Cina destinata a condizionare «le scelte presenti e future non solo dei due protagonisti». Tanto che «l’Europa e la Nato hanno una scelta da fare. Se vogliono restare rilevanti, debbono appoggiare il contenimento della Cina, cambiando fisionomia, aprendosi a nuove membership in altri teatri».
A mettere in guardia dal “pericolo Cina” in tempi non sospetti erano stati non solo anziani ex premier come Silvio Berlusconi (che ne aveva fatto un mantra in campagna elettorale), ma anche giornalisti come Beppe Severgnini, storico inviato del Corriere della Sera, che nella sua sua rubrica Italians un anno fa pubblicava un intervento sul “Pericolo Cina”, «primo produttore mondiale di virus, trojan, worms, con un 80% degli attacchi informatici ai sistemi militari Usa risultati di origine cinese». Un Paese con «diritti umani calpestati, censura soffocante, una potenza economica crescente basata su manodopera a basso costo e totale mancanza di leggi ambientaliste, che incrementano i costi delle aziende occidentali».
DALLA GUERRA DEL 5 G ALLA PANDEMIA
Ma c’è, ovviamente, molto di più. Mentre la produzione manifatturiera occidentale ha continuato senza sosta a trasferirsi in Cina, ancora a febbraio di quest’anno, con l’epidemia già scoppiata in Italia, il presidente USA Donald Trump e la rivale Nancy Pelosi univano gli sforzi contro la sfida del 5G lanciata da Pechino.
«Nancy Pelosi e Donald Trump – si legge su Money del 15 febbraio scorso – per quanto riguarda il pericolo cinese sembrano sulla stessa linea. Pelosi venerdì ha avvertito le nazioni di non fare affari con il colosso delle telecomunicazioni Huawei e ha invitato altre nazioni a lavorare con gli Stati Uniti per sviluppare le reti 5G».
«Questa – aveva dichiarato la portavoce democratica a margine della Conferenza della sicurezza a Monaco – è la forma più insidiosa di aggressione, avere un sistema di comunicazione, il 5G, dominato da un governo autocratico che non condivide i nostri valori».
«L’amministrazione repubblicana – dettaglia l’inviata Violetta Silvestri – sta lavorando per isolare Huawei e per impedire soprattutto ai membri del gruppo di condivisione dell’intelligence, Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda, di collaborare con Huawei».
«Ho seguito la Cina per 30 anni nel commercio, nella proprietà intellettuale e nel resto, lo dico in modo inequivocabile, senza alcuna esitazione – ha avvertito Pelosi – state molto attenti per non finire con una società come la Cina o un un’economia come la Cina, che non è improntata sulla libera impresa».
Il timore di Trump e Pelosi era quello di possibili ingerenze della Cina, attraverso virus informatici, nella sicurezza nazionale.
Entrambi, Trump e Pelosi, hanno sbagliato virus: alla fine i cinesi, per vincere la guerra, non hanno usato un malware fatto di complicati algoritmi, bensì un micidiale micro-organismo biologico vivo e vegeto. Mutante. Inafferrabile. E più pericoloso di una bomba atomica.
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