COSA NOSTRA /41 ANNI FA AMMAZZAVA IL GIORNALISTA MARIO FRANCESE

41 anni fa veniva ammazzato uno dei migliori cronisti siciliani, un giornalista investigativo di razza, Mario Francese.

Scriveva per il Giornale di Sicilia, scavava e scovava notizie sugli affari mafiosi, sulle connection malavitose, sugli appalti da novanta nelle mani delle cosche. Dava fastidio e per questo andava fermato.

Così il 26 gennaio 1979 Leoluca Bagarella gli sparò alle spalle con una calibro 38.

Per anni e anni si è continuato a dire: “La mafia non c’entra niente”, e sono state inventate autentiche palle, bufale che più grosse non si può, come questioni passionali e di corna.

Ne sono trascorsi ben 21 per avere giustizia, scoprendo mandanti e assassini. Le prime condanne, infatti, sono dell’11 aprile 2001, quando fu tutta la Cupola a finire a giudizio, da Salvatore Riina a Francesco Madonia, passando per Michele Greco, Antonino Geraci, Pippo Calò, Giuseppe Farinella, Matteo Motisi, Leoluca Bagarella e Giuseppe Madonia.

In apertura Mario Francese

Sottolineò il pm Laura Vaccaro nella sua requisitoria. “Mario Francese è morto perché ha detto ciò che non doveva dire, secondo l’ordine stabilito da Cosa nostra, e ha scritto ciò che per i mafiosi non doveva essere scritto e portato alla conoscenza di tutti”.

Ma è stato solo per la tenacia e la forza dei figli, Giulio e Giuseppe, che si è riusciti ad arrivare al processo, rompendo muri di gomma e di omertà.

La storia di Mario Francese, infatti, era destinata all’oblio ed anche le inequivocabili verbalizzazioni di un pentito del calibro di Gaspare Mutolo non erano state sufficienti per imprimere una svolta al caso. Mutolo aver detto con chiarezza che l’assassinio di Francese era stato pianificato con cura da Cosa nostra, perché quel cronista dava ormai troppo fastidio e ficcava il naso negli affari delle cosche.

Serviva qualcosa in più per smuovere quelle torbide acque. E quel “qualcosa in più” arrivò grazie alla determinazione di Giuseppe, il figlio minore, che cominciò a ricostruire minuziosamente gli articoli e le inchieste più calde del padre. E arrivò al vero movente, ossia l’indagine di Mario Francese sugli appalti per la diga Garcia.

Aveva scavato, il cronista del Giornale di Sicilia, sui fiumi di miliardi per la ricostruzione del post terremoto in Belice e soprattutto aveva scoperto che, alla base del forte scontro interno mafioso, c’erano i soldi stanziati per la realizzazione della diga Garcia: alcuni terreni erano di proprietà dei cugini (gli esattori mafiosi) Salvo.

A settembre 1977 Francese pubblicò un’inchiesta in sei puntate in cui descriveva tutta la fitta rete di collusioni, corruzioni e interessi che ruotavano intorno alla diga. E proprio in quella maxi inchiesta descrisse come, dietro ad una misteriosa società, RISA, si celasse nientemeno che Totò Riina.

Ottimo motivo per eliminare quel giornalista ormai troppo pericoloso.

Aveva anche indagato, Mario Francese, sull’omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, fu tra i primi a capire – e raccontare – che l’omicidio di Peppino Impastato non poteva essere un atto terroristico – come si voleva all’epoca far credere – ma un delitto di mafia.

E poi ancora, Francese fu l’unico giornalista ad intervistare la moglie di Riina, Ninetta Bagarella. Le fece delle domande considerate troppo impertinenti, una sorta di ‘lesa maestà’ per la donna del più feroce capomafia che, in quel periodo, stava scalando la gerarchia di Cosa nostra.


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