Inizio luglio bollente per i binari dei metrò di Roma e Napoli. Sotto accusa, nella capitale, il mega appalto “supervariato” della linea C: un dossier di 44 pagine dell’Anticorruzione passa ai raggi x fatti e misfatti, e viene ora inviato alla Corte dei conti per i provvedimenti del caso. A Napoli rinvio a giudizio per 19 fra imprenditori, dirigenti e tecnici coinvolti nel crollo di un palazzo storico della Riviera di Chiaia, due anni e mezzo fa, causato dai lavori per la linea 6 del metrò partenopeo: il 15 dicembre partirà il processo per disastro colposo.
Due storie parallele, due eterne maxi commesse mangiasoldi: uno spaccato di Mafia capitale e di Camorropoli, con vagonate di miliardi pubblici sperperati quando il paese affonda. Ma l’assalto alla diligenza, in entrambi i casi, è iniziato tanti anni fa.
Partiamo dal fresco dossier elaborato dall’Anticorruzione di Raffaele Cantone sulla Metro C capitolina. Gli ingredienti ci sono tutti. Costi, progettazioni, lavori, varianti.
I costi sono cresciuti di quasi 700 milioni di euro, passando cioè da poco più di 3 miliardi a 3 miliardi 700 milioni circa. Nessuna notizia, a quanto pare, sulla congruità del prezzo a chilometro: i vertici aziendali, un paio di mesi fa, parlarono di “cifra equa”, ossia meno di 150 milioni di euro a chilometro.
Progettazioni del tutto carenti. Secondo l’Anac, solo i tratti più semplici della linea sono stati realizzati sulla base di progetti definitivi, mentre per quelli più complessi, soprattutto nel centro storico, sono bastati i progetti preliminari. Circostanza che ha finito per pesare molto sul fattore “varianti” e annesse “sorprese” geo-archeologiche. Tutto fa brodo per aumentare costi e tempi: e così, magicamente, spuntano ben 45 varianti in corso d’opera, dovute quasi sempre alle super prevedibili sorprese in un’area dove da qualche tempo c’è già qualche vestigia… “Ma far finta che non esistano – osserva un esperto – farsele spuntare come una sorpresa non è frutto di superficialità o imperizia: è la precisa volontà di chi vuol scientificamente aumentare i costi e allungare i tempi. E tutto, al solito, sulle spalle della collettività, fregata due volte”.
Sorprese di Pulcinella, dunque, “indagini preventive” da ridere. Secondo il rapporto Anac, “appare del tutto evidente come ciò abbia determinato una notevole aleatorietà delle soluzioni progettuali e, ad appalto già in corso di esecuzione, rilevanti modifiche rispetto alle previsioni contrattuali”.
E pesanti come macigni i dubbi sulla legittimità di un appalto, quello del 2006, finito ai soliti big del mattone, la Vianini del gruppo Caltagirone, la Astaldi, il colosso coop CCC (ossia Consorzio Cooperative Costruzioni), più Ansaldo Finmeccanica: il solito mix vincente, la formula d’oro. Nel dossier Cantone c’è un significativo “richiamo ai soggetti coinvolti ad assumere ponderate decisioni circa il prosieguo dell’opera, atteso che per la tratta T2 allo stato di fatto sono ancora concretamente da valutare tempi e costi di esecuzione, nonché la stessa possibilità di realizzazione”. Una tratta da non poco, T2, ossia quella che traversa proprio il cuore di Roma. E che, secondo il cronoprogramma dei vertici aziendali, doveva essere inaugurata il 21 giugno. Di quest’anno…
Per la tratta T3 (Amba Aradam-Colosseo Fori Imperiali), poi, tutti tranquilli: a provvedere ci pensa il direttore dei lavori Stefano Perotti, il grande amico di Ercole Incalza.
Commenta un funzionario che da trent’anni ne vede di tutti i colori al ministero delle Infrastrutture. “Il copione dei metrò di Roma e di Napoli ha anticipato quello di tutti i saccheggi alle casse pubbliche, di tutte le opere pubbliche messe in cantiere dall’80 in poi, dal dopo terremoto della Campania fino all’alta velocità, la terza corsia Napoli-Roma e la Salerno-Reggio Calabria. Lavori infiniti, general contractors o big delle concessioni che realizzano profitti stellari, non muovono una pietra e subappaltano ad amici degli amici, e molto spesso a imprese mafiose. Progettazioni che sono quasi sempre un’ideuzza, uno schizzo, spesso neanche quello. Ma l’elemento base sono i soldi, i fondi statali, i miliardi pubblici a disposizione, da non fermare mai, come una cascata senza fine, tra varianti, revisioni prezzi, sorpresine geologiche…”.
E allora passiamo all’ombra del Vesuvio. E cominciamo dall’ultima notizia del rinvio a giudizio – disastro colposo – per il crollo del palazzo alla Riviera di Chiaia causato “da difetti di costruzione del pozzo di stazione della linea 6 della metropolitana”. Processo che si celebrerà davanti alla sesta sezione penale del tribunale di Napoli, giudice monocratico Barbara Madia. “Finalmente uno spiraglio – commenta il presidente del comitato Chiaia per Napoli, Paolo Santanelli – il riconoscimento di precise responsabilità”. Una breccia nel muro di gomma che a quanto pare difende la mega opera da tutte le denunce? Forse. Anche se in parecchi ricordano l’archiviazione di una precedente inchiesta, avviata sei anni fa dalla procura di Napoli sulla base di circostanziati esposti di comitati di inquilini, che denunciavano tutti i pericoli dei lavori nella zona adiacente piazza Municipio.
Una vera galleria degli orrori, il Metrò made in Napoli. I cui numeri superano di gran lunga i saccheggi romani. Partiamo dai tempi biblici. Senza riandare ai primi progetti firmati nel 1884 da Lamount Young e alla posa di una prima pietra targata addirittura Vittorio Emanuele terzo, 1912, a piazza Plebiscito, arriviamo subito a 39 anni fa, 1976, con il varo effettivo dei lavori per Metro Napoli: uno dei primi traguardi della allora mitica giunta rossa targata Valenzi, con una Dc pro pubblico (la società Intermetro, con dentro Imi, Bastogi, Italstat e la stessa sigla autrice del metrò romano) e una sinistra per un mix partenopeo (la crema dei mattonari locali) milanese (la società in odore craxiano protagonista della Milano da bere). Fatto sta che – si “scopre” solo da poco – quei cantieri del metrò partenopeo furono una piccola palestra per ruspe e scavatrici dell’impresa Zagaria, che cominciava a farsi strada nella appena nascente galassia casalese.
S’incroceranno – i destini del metrò – con quelli di un’altra gemma di Tangentopoli, la famigerata LTR, Linea Tranviaria Rapida che avrebbe dovuta sfrecciare per la Napoli Mundial del ’90: ha inghiottito palate di milioni, costruito fortune politiche come quella del pluriassesore psi Silvano Masciari, ma si è poi fermata con la “talpa” scavatutto. Una delle tante incompiute nella Napoli di Gomorra anni ’80.
Ma eccoci ai costi per il Metrò made in Napoli. Ormai inquantificabili. E partiti dai mitici 42 miliardi che già nel 1976 “si rischia di perdere e che potrebbero essere dirottati in qualche altra città”. Ben noto il costo a chilometro. Stratosferico. 300 milioni fino a qualche anno fa, ed ora verso il comodo traguardo dei 400 milioni. Il costo medio europeo è tra i 100 e i 150 milioni circa, Roma compresa. 200 circa il costo a chilometro per il tunnel della Manica, leggermente più complesso e “a rischio”, e comunque andato in porto dopo sette anni di lavori.
Eccoci alle progettazioni. Tanto per gradire, preliminari e studi di fattibilità “universitari”. Si narra che un laureando abbia “ceduto” la propria tesi in tema di “studi geognostici”, comunque ottima e abbondante per presentarsi a una delle prime gare. Poi hanno affilato i compassi accorsati studi professionali, come quelli di Vincenzo Maria Greco, l’uomo ombra di Paolo Cirino Pomicino, e di Pietro Lunardi, l’ex ministro berlusconiano per le Infrastrutture: star delle progettazioni, nel corso degli anni, è stata infatti la Rocksoil che faceva capo ai rampolli Giuseppe, Giovanni e Martina Lunardi.
Per le costruzioni? No problem. Alcuni fra i protagonisti del metrò Roma, come ovviamente la star Vianini dei Caltagirone, poi la parmense Pizzarotti (già gran protagonista nel dopo terremoto), la Giustino Costruzioni tutta mattone e Dc (storici referenti Pomicino e Vincenzo Scotti), l’Impregilo di marca Romiti (poi impegnata via Fibe nei business a base di monnezza), la Torno International che poteva contare sul mancato numero 2 della… P2, ossia il big del parastato Giancarlo Elia Valori.
Ma chi è, da vent’anni e passa, in sella a Metro Napoli? Giannegidio Silva, un dirigente catapultato dopo Mani pulite (sic) per “moralizzare il settore” direttamente dall’Icla – ossia la creatura di casa Pomicino e super fortunata negli appalti post sisma – sul ponte di comando della metropolitana partenopea!
E sapete chi per anni ha sovrinteso sull’affare Metrò dalla postazione strategica di palazzo San Giacomo, ossia il Comune cui spettava il controllo su tutta l’operazione? Gianfranco Pomicino, storico dirigente comunale, responsabile proprio del progetto metrò: e cugino di ‘O ministro.
Da un controllo all’altro eccoci all’imprescindibile VIA, ossia la Valutazione di Impatto Ambientale. Mai esistita. Millantata. “Sparita”, secondo i tecnici comunali. Quindi appalti e lavori al via… senza Via. Poi costruita a posteriori.
Ma la sceneggiata non è finita. Perchè anche a Napoli – come a Roma – le sorprese archeologiche sono destinate a moltiplicarsi. E quelle che riserva il sottosuolo, del resto, non finiscono mai. Come da anni denuncia il geologo Riccardo Caniparoli, coautore di un pamphlet al vetriolo, “La Metrocricca”, uscito un paio d’anni fa per documentare l’incredibile sequela di affari e malaffari giocati nel ventre di Napoli e sulla pelle dei napoletani. “Scavare come è stato fatto nelle pozzolane – commenta Caniparoli – provoca un abbassamento sensibile del suolo, non solo durante lo scavo delle gallerie ma anche durante il funzionamento della metropolitana perchè le vibrazioni indotte dal transito dei treni provocano la compattazione di quei terreni sciolti che per loro natura sono ‘pieni di vuoti’ e così molti edifici in prossimità delle gallerie subiscono danni perchè si verifica l’abbassamento del suolo”. Si sono già verificati grossi danni nelle adiacenze di piazza Municipio e soprattutto col tragico crollo della Riviera. Cosa succederà al passaggio dei treni? Nella “Metrocricca”, poi, veniva illustrato in dettaglio lo scempio archeologico e monumentale allegramente fatto da ruspa e trivella selvaggia: un cui gigantesco esemplare, da mesi ormai, è diventato un incubo a cielo aperto per la gente di Mergellina & dintorni, già colpita dal crollo di due anni e mezzo fa.
Gli interrogativi sono solo all’inizio. “In questi giorni di caldo killer in metropolitana si muore”, osservano alcuni. “La climatizzazione è insufficiente”. “Ma quale metrò e metrò? – sbottano altri – se qui la frequenza media è di 10-15 minuti e la domenica neanche a parlarne!”. Ancora: “Forse ci vogliono tenere più tempo là sotto per ammirare quei capolavori d’arte che ci hanno fatto strapagare col nostro sudore”. “Se poi piove come è capitato un mese fa si rischia di affogare”: così è successo dopo una pioggia neanche da bomba d’acqua a piazza Garibaldi e nella appena battezzata stazione di piazza Municipio.
Ma l’interrogativo più grosso è un altro. Come mai tante circostanze sul metrò partenopeo non hanno ancora suscitato l’attenzione degli 007 di Raffaele Cantone? Eppure, cifre & dati sono lì. Sotto gli occhi di chi solo voglia vedere.
Leggi anche sulla Voce di aprile 2010:
https://www.lavocedellevoci.it/?p=657
Voci storiche:
in pdf gli articoli che la Voce della Campania dedicava alla nascita del nuovo metrò a Napoli negli anni ’70
metropolitana napoli voce febbraio 1976
metropolitana napoli voce giugno 1976
metropolitana napoli voce dicembre 1977
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Un commento su “GRANDI AFFARI VIA METRO’, ARRIVA l’ANTICORRUZIONE DI CANTONE. E A NAPOLI ?”