Antenne e monnezza, un business d’oro per tanti anni a Roma.
E’ la Cerroni story, che in questo caso si intreccia con quella di un’altra dinasty da novanta all’ombra del Cupolone, quella dei Parnasi.
In particolare Flavia Parnasi, la sorella maggiore del mattonaro romano Luca, finito nelle maglie giudiziarie del pasticciaccio brutto dello stadio a Tor di Valle, che si avvia allo scoppiettante inizio di un maxi processo, tre (forse quattro) filoni d’inchiesta accorpati in un’unica tranche.
Ed anche stavolta siamo nelle aule processuali. Perché pochi mesi fa è cominciato nella capitale il processo che vede parecchi papaveri romani alla sbarra. Manlio Cerroni è sotto processo per bancarotta fraudolenta, Flavia Parnasi per turbativa d’asta e l’editore pariolino Fabrizio Coscione anche lui per bancarotta fraudolenta.
DIO LI FA E POI LI ACCOPPIA
I fatti si riferiscono al crac di una delle più gettonate tivvù locali, “Roma Uno”, nata nel 2003 per raccontare la capitale un po’ come NY1 fa da anni a New York.
Erano i gloriosi anni delle giunte Veltroni e Rutelli, ed il ‘Supremo’ Cerroni (così denominato per il business milionario della gestione dei rifiuti a Roma) decide di rimboccarsi le maniche e dare una ‘mano’ agli amministratori dell’epoca, già allora alle prese con quella monnezza che diventerà sempre più un affare, per alcuni, ma una croce per tutti i cittadini; fino alle ultime, altrettanto scellerate gestioni.
Diretta da Fabio Carmine Esposito e amministrata da Paolo Losito (entrambi oggi sotto processo, anche loro, come Cerroni, per bancarotta fraudolenta), l’emittente va avanti per anni a vele spiegate.
I primi problemi cominciano a spuntare nel 2009, quando – come ricostruiscono oggi gli inquirenti – sono annotati a bilancio crediti considerati irrecuperabili o già estinti, per il valore di 1 milione e 152 mila euro.
Secondo il pm del processo, Mario Dovinola, se fosse stata regolarmente contabilizzata la perdita, già nel 2010 il conto economico avrebbe chiuso con un saldo negativo di 669 mila euro e i suoi amministratori avrebbero dovuto portare i libri societari in tribunale per avviare la liquidazione.
Il pm parla senza mezzi termini di “alchimia contabile” per nascondere la situazione che investe in pieno Cerroni, il quale ricopriva la carica di amministratore delegato della società. La sigla, poi, nel 2014, passa nelle mani di Coscione che la compra dal re delle discariche romane.
Sono cominciate le acrobazie finanziarie o, come le chiama il pm, “alchimie contabili”. Cerroni, infatti, subito dopo stipula un contratto d’affitto di ramo d’azienda con la Roma Comunication per l’uso delle frequenze digitali. A quest’ultima, poi, Coscione cede lo stesso ramo d’azienda per 15 mila euro, mai saldati secondo gli investigatori.
Siamo arrivati al capolinea ed esattamente tre anni fa, il 29 gennaio 2016, Roma Uno fallisce; ed a settembre il curatore fallimentare mette all’asta giudiziaria Roma Comunication, ossia quel che resta di Roma Uno.
LADY PARNASI IN SELLA A COMBO PRODUCTION
A questo punto entra in scena Fulvia Parnasi, che annusa l’affare e presenta un’offerta economica per aggiudicarsi l’emittente.
La base d’asta è di appena 19 mila euro, ma la sorella del mattonaro più rampante de Roma vuol fare – come suo solito – le cose in grande e mette sul piatto la bellezza di 150 mila euro (comunque virtuali), tanto per sbaragliare la concorrenza.
La curatela fallimentare, davanti a tale offerta, la accetta. Senza però notare – come fa invece il secondo nella graduatoria delle offerte, il quale presenta una denuncia – che nella documentazione presentata dalla Combo Produzioni griffata Parnasi mancavano dei requisiti essenziali, come l’autorizzazione alla fornitura di servizi e la rete di trasmissione: roba non da poco.
Risultato di tutto questo è la revoca di quella aggiudicazione e l’accusa, per la sorellina con la passione per i video e la comunicazione, di “turbativa d’asta”.
Ecco come nasce il processo a carico di Flavia Parnasi e di Manlio Cerroni (come imputati principali), con il secondo – lo abbiamo visto – accusato di bancarotta fraudolenta.
Da tener presente che il pm, Mario Dovinola, conosce bene fatti & misfatti di casa Parnasi. Ed è un esperto di bancarotte fraudolente.
Dietro alla story della vendita dell’area di Tor di Valle, quella implicata nel pasticciaccio brutto dello stadio giallorosso, si cela infatti la concreta ipotesi di una bancarotta fraudolenta da una quindicina di milioni di euro. E’ con questa accusa che la procura di Roma ha concluso le indagini a carico dell’ex ras dei terreni capitolini, Gaetano Papalia, amministratore delegato della SAIS (la sigla che all’epoca gestiva l’area dell’ex ippodromo di Tor di Valle) e dell’ex presidente del cda di Sais, Michele Saggese.
IL GIALLO DI TOR DI VALLE
Secondo la ricostruzione del pm Mario Dovinola e dell’aggiunto Rodolfo Maria Sabelli, infatti, Papalia, con il contributo di Saggese, avrebbe “cagionato il dissesto con operazioni dolose consistite nell’omettere sistematicamente il pagamento di imposte comunali ed Irpef, Iva, accumulando un debito ingente”.
Operazioni che hanno portato al fallimento (sembra lo stesso copione di Roma Uno) della società su ricorso di Equitalia per un debito da 24 milioni di euro.
Nell’imputazione i pm hanno precisato che “di questa somma (24 milioni di euro, ndr), 15 milioni e 200 mila euro rappresentano le imposte originate dalla vendita del terreno di Tor di Valle alla Eurnova di Luca Parnasi, avvenuta prima della dichiarazione di fallimento”.
L’inchiesta sulla compravendita di quei terreni era nata da una denuncia dell’avvocato Edoardo Morici, in rappresentanza del Tavolo della Libera Urbanistica, secondo cui esisteva non solo una responsabilità di Papalia, nell’affare, ma anche un concorso esterno nella bancarotta dell’imprenditore Luca Parnasi, già a processo per le mazzette elargite nell’iter del progetto-stadio.
Con Luca Parnasi, però, in questo caso il pm ha avuto la mano leggera, chiedendo l’archiviazione.
Ma torniamo a Flavia Parnasi e alla sua Combo Produzioni, una società a responsabilità limitata con sede a Roma, in via Aniene, civico 16. Nata subito con il pallino delle produzioni cinematografiche, per “fare cultura”, come pennella la lady dei salotti romani che trascorre le giornate fra trucchi & palestre.
Nel suo pedigree attori come Massimo Boldi e Max Tortora, senza glissare sulla chicca della produzione di un film (minore, ma chissenefrega) di Pupi Avati.
Non ha mai avuto un vero management, Combo Produzioni, che ha cominciato a strutturarsi meglio – per aggredire il mercato cinematografico – entrando in sinergia (come usa dire) con altre sigle del campo. Ad esempio Combo Media srl e Merlino Distribuzione. “Con quest’ultima – ha sottolineato la rampante produttrice capitolina nel corso del Festival del Cinema a Roma – c’è una perfetta partnership, dal momento che io produco e Merlino provvede alla distribuzione”. Ottimo e abbondante.
Peccato che gli intricati intrecci e acrobazie finanziarie – anche stavolta – siano finiti a carte bollate, con la raffica di denunce presentata da Combo media e Merlino contro lady Parnasi.
Ma lo vedremo in una prossima puntata.
E chiudiamo il giro con le news sul re di Malagrotta e delle monnezze romane.
MONNEZZA NEWS
L’ultimo rinvio a giudizio per Cerroni è stato ottenuto dal pm romano Alberto Galanti, che ha messo sotto i riflettori i funzionamenti e/o malfunzionamenti, dal 2006 al 2013, dei due impianti di trattamento meccanico-biologico di Malagrotta e l’attivazione, senza alcuna autorizzazione, del tritovagliatore di Rocca Cencia, ancora oggi affittato alla ditta di proprietà dell’imprenditore Giuseppe Porcarelli, anche lui tra i nomi finiti a processo.
Impianti diventati strategici per Roma, vista la fisiologica crisi nella raccolta dei rifiuti, acuitasi all’indomani dell’incendio dell’11 settembre 2018 che ha distrutto l’impianto di trattamento meccanico-biologico di via Salaria.
Nel quartier generale del Consorzio Colari, a fianco dell’ormai ex discarica più grande d’Europa, i due impianti di TMB lavorano circa 1.250 delle 2.600 tonnellate di rifiuti indifferenziati prodotti ogni giorno dai cittadini romani. Quasi la metà del fabbisogno, dunque, ad un prezzo non indifferente: ben 137 euro a tonnellata, quando il prezzo medio di ogni discarica italiana è di non oltre 120 euro. Non male.
Sentiamo cosa dice qualcuno a piazzale Clodio. “Tanti processi, tante inchieste che a volte si intrecciano. Il filone di Roma Uno è fondamentale perché in quella storia si intersecano le vicende dei Cerroni e quelle dei Parnasi. E c’è proprio da ritenere che gli inquirenti vogliano approfondire quei legami e quei rapporti border line: c’è dell’altro, oltre alla storia di antenne e gare fallimentari? Gli inquirenti non credono al fatto che i destini di Manlio Cerroni e Flavia, ma anche Luca Parnasi, si siano incrociati per caso. Quali altri affari potranno venire alla luce?”.
Staremo a vedere.
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