La Corte di Appello di Cagliari – Sezione Distaccata di Sassari, con sentenza n. 5 del 9/01/2020, ha accolto le ragioni di un’impresa sarda pronunciando la risoluzione di un contratto di interest rate swapper grave inadempimento della banca proponente e condannato la medesima banca a restituire alla cliente le somme addebitate in conto a titolo di differenziali negativi del derivato. La sentenza apre un varco importante nel panorama della giurisprudenza di merito in materia di derivati alle imprese, tradizionalmente poco propensa a riconoscere le ragioni dell’impresa investitrice, poiché concentra l’analisi sull’idoneità delle informazioni rese dalla banca alla cliente senza farsi suggestionare dall’ipotetica qualifica di cliente non consumatore strumentalmente asserita dalla banca.
Nel caso di specie, una società commerciale della provincia di Nuoro aveva stipulato a fine 2009 con una banca locale un contratto di interest rate swap al fine, come consigliato dalla medesima banca, di minimizzare il rischio legato al rialzo del tasso variabile applicato ad un finanziamento destinato all’acquisto di un immobile. Lo swap suggerito dalla banca, senza fornire alcuna spiegazione sul suo meccanismo e sulle conseguenze, in particolare sul rischio, di fatto poi avveratosi, di ingenti addebiti sul conto della società per differenziali negativi, complessivamente per oltre 125.000 euro, e tutto ciò nonostante la società avesse dichiarato di avere un profilo finanziario prudente e dunque lo swap fosse inadeguato alla sua tipologia di investitore. L’addebito dei costi del derivato, peraltro, incidendo sul saldo debitore della società, veniva segnalato presso la Centrale dei Rischi della Banca d’Italia, aggravando così la reputazione della società stessa sul mercato. Adito il Tribunale di Nuoro per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, si vedeva rigettare la domanda con pesante condanna alle spese.
Esperito l’appello, la Sezione della Corte di Appello di Sassari ha stravolto la decisione di primo grado riconoscendo che: l’accordo quadro per l’operatività in derivati era intriso di clausole di stile per nulla esplicative dei rischi e non in grado di affermare la qualifica professionale e la competenza finanziaria della cliente; lo swap, data la natura aleatoria, non è adeguato ad un cliente con profilo moderato e prudente; era onere della banca provare che la società fosse in grado di comprendere e sopportare i rischi assunti, di averla informata sulle peculiarità dell’operazione e dunque di aver osservato le regole poste a suo carico in materia; la società contraente, se adeguatamente informata delle caratteristiche dell’investimento, non si sarebbe esposta al rischio di perdere capitale. Conseguentemente ha condannato la banca proponente (o meglio la banca incorporante) a restituire gli addebiti, come riportati nelle contabili prodotte senza necessità di disporre una consulenza tecnica per quantificarli, cancellare la segnalazione del debito dalla Centrale dei Rischi e rifondere le spese del doppio grado di giudizio.
L’importante decisione, sancisce per la prima volta il diritto ad una società di capitali, che non abbia reso la dichiarazione di essere operatore qualificato o cliente professionale e che abbia dichiarato di avere obiettivi di investimento moderati, di ricevere la stessa tutela giuridica riconosciuta al consumatore retail (persona fisica) nella stipula di un contratto di investimento, vieppiù se rischioso, complesso e criptico come un derivato, con applicazione, senza eccezioni ed esenzioni, di tutti i principi di trasparenza e onere della prova disposti dagli artt. 21 e ss. TUF (Testo Unico Finanza).
La sentenza apre alle istanze delle piccole società commerciali, per la parificazione dei loro diritti a quelli di un qualunque cliente retail, senza farsi abbagliare da esoneri ed altre dichiarazioni standard contenute nei contratti bancari per adesione, quasi tutti vessatori, quindi annullabili in giudizio.
Fonte: Antonio Tanza (Presidente Adusbef)
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