No…non è la Bbc: Rai prigioniera di Lega e 5Stelle. Tg in picchiata.

La Rai sovranista, occupata quasi militarmente dalla destra, bottino della  rapina conseguente alla sterzata elettorale del 2018, è diventata in un amen prigioniera del disastroso, spurio, allucinante sodalizio gialloverde. Niente moralismo, per carità: viale Mazzini dai tempi dell’Eiar, dell’archeologia radiofonica, è terreno di conquista, senza l’noore delle armi, di chi vince le elezioni e governa o sgoverna l’Italia. Monocolorata di bianco clericale ha raccontato nei decenni postbellici fatti e rari misfatti della DC andreottiana. A seguire, ha trasferito il manuale Cencelli in ogni segmento dell’azienda, con timbro e firma sul contratto interpartitico stipulato con il Psi di Craxi. E così ‘un giornalista a me, uno a te, un  usciere con tessera Dc, uno con tessera Psi e della ‘par condicio’ chi se ne frega;  due cronisti, due troupe di ripresa, due sale montaggio per un medesimo evento, messo in onda previo ok delle rispettive segreterie  di partito.  L’incontenibile istinto del sistema a procreare ha scoperto le suggestioni del ‘gioco delle tre carte’ allorché il partito comunista, sull’onda di successi elettorali e nella stagione del compromesso nobilitato improvvidamente con l’aggettivo ‘storico,’ ha partecipato alla moltiplicazione delle reti,  premiata con l’affidamento della terza, tinta di rosso. Nell’indifferenza totale, la Rai si propone con il surreale di tre radio e telegiornali, tre spazi di approfondimento, triplici presenze nei talk show  gestiti con il bilancino dell’alchimista da capistruttura, conduttori dell’informazione, moderatori. È il via a rotta di collo di blitz televisivi dei partiti affidati  a incursori in campana elettorale permanente negli spazi dell’intrattenimento, dello sport, del gossip. Il mestiere di ‘onorevole’,  attributo  usurpato dai deputati  e senza vergogna perfino da modesti consiglieri regionali,  ha genera l’inedita professione di ospite, a frequenza seriale per i più abili e dialetticamente aggressivi, specialisti della provocazione, specialmente apprezzata se conclusa in risse da picchi d’ascolto. Il trend della Rai, strumento di persuasione esplicita e occulta evolve, procede senza soluzione di continuità nella dimensione di bene privato di lor signori della politica, ai quali,  in altre democrazie del mondo ci si rivolge con un democratico ‘mister’. Dal 2018 in qua, mutate le ipoteche dei partiti sulla Rai, il prodotto non cambia, anzi peggiora di là dalle dotte elucubrazioni degli analisti specializzati, che sia vero è sancito da quella che con un’espressione eccessivamente  apocalittica,  ma be  motivata, parla di grande fuga dall’informazione  pubblica. I numeri, lo dice la scienza matematica, sono inconfutabili e raccontano che il Tg1 delle 20, l’ora ics di massimo ascolto per chi è interessato alle vicende italiane e  non, è stato disertato nell’anno appena concluso dal 3,63 dii ascoltatori, pari a duecentoquarantamila aficionados in meno. Il dato ha un concorrente agguerrito nel Tg2 del leghista destrorso Sangiuliano con il meno 7,10% . Si difende il Tg3 (-1,06%). Il verdetto degli osservatori abilitati per competenza professionale è lapidario: gli ascolti dei Tg Rai in picchiata sono la spia di una consistente perdita di credibilità per essere clamorosamente filo leghisti, assurdamente faziosi, professionalmente e politicamente illegittimi e per l’enormità degli spazi riservati a ogni banale esternazione di Salvini, alla sua selfie mania, ai proclami via Skipe spediti ai Tg che li condividono servilmente, al presenzialismo surreale del politico benché relegato all’opposizione. Mugugna il Pd. Denuncia l’anacronismo della spartizione gialloverde  delle poltrone  di comando su reti e Tg (direzioni  di Tg1 e Tg pentastellate, Tg2 al Carroccio, Direzione Generale alla sovranista De Santis),  l’irrisolutezza dell’amministratore delegato Salini, di nomina Conte,  che tiene in stallo l’azienda e rinvia sine die le nomine al vertice di reti e Tg, in attesa di conoscere i vincitori del voto in Emilia Romagna e Calabria prima di decidere se cedere alle pressioni del Pd o tirare avanti con l’assetto post elettorale del 2018.   L’ottimismo, figlio di velleità residuale, quanto utopica, sembra destinato comunque a soccombere. Lo raccontano i bookmaker  di Montecitorio, che promettono lauti profitti a chi scommette sull’indipendenza futura della Rai dalle segreterie dei partiti. Le intenzioni che infiammano periodicamente i buoni propositi dei ‘liberi  e uguali’ sul destino dell’informazione  pubblica, rinunciano alla battaglia per l’omologazione  al modello Bbc. La resa avviene ad ogni cambio della guardia di Palazzo Chigi. Con l’ultimo, del 2018, il tema è precipitato nel punto più buio di un percorso comunque indecente, spinto in  giù dall’arrembaggio  piratesco dei sovranisti e dalla complicità pentastellata, imposta dal contratto gialloverde.

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