“Ma ’ndo vai, se la banana non ce l’hai…”

Il popolo dell’Ecuador è in festa. Meno, nell’ordine, esultano Belgio, Filippine, Costa Rica, Colombia, Guatemala, Stai Uniti, Germania. Hanno trovato nel loro sottosuolo petrolio, uranio, oro platino? Niente di tutto questo. Se sono in stato di esplosiva euforia lo devono all’erede riconosciuto del multiforme ingegno di Leonardo da Vinci, primus inter pares della stirpe di re dell’installazione artistica, genere inventato da critici fantasiosi e galleristi a dimensione mondiale che, preso atto dell’esaurirsi del fare pittura e scultura, in coda all’astrattismo hanno puntato sulla “merda d’artista” di Piero Manzoni (90 esemplari, uno dei quali venduto all’asta per 275mila dollari), imbracature di monumenti e innumerevoli varianti di ‘opere’ adeguatamente incomprensibili, imposte sul ‘mercato’ a cifre da capogiro. Dunque sprizzano  gioia i Paesi che guidano la graduatoria di grandi esportatori di banane. Specialmente l’Ecuador con un bilancio  attivo di 2,6 miliardi di dollari, decima è la Germania con 367 milioni. A motivare l’ip, ip, urrà, è l’evento esibito alla Fiera Art Basel di Miami, in Florida,  dove nello spazio di un’intera parete, Maurizio Cattellan, famoso (o famigerato) per il suo cesso in oro massiccio venduto per milioni di dollari (poi trafugato), ha esposto una banana più o meno matura attaccata alla parete con venti centimetri di  nastro adesivo argentato. Le cronache di settore raccontano che l’epigono di Leonardi ne ha già vendute tre, al modico costo di 120mila dollari ciascuna, un paio a musei. Nel prezzo sono incluse le ‘istruzioni’ d’uso. Suggeriscono come sostituire la banana dopo eccesso di maturazione. Di qui i ‘like’ di Ecuador e compagnia bella, lieti della pubblicità gratuita al frutto amato dalle scimmie. Nel bel mezzo della mostra, David Datuna, eccelso e forse invidioso collega di Cattelan, ha manifestato il suo pensiero sull’‘opera’ staccando la banana dal muro e divorandola con gusto. La galleria ha espulso l’autore dello sfregio e ha protetto una nuova banana con tre vigilanti armati di tutto punto. I media adottano una pilatesca  equidistanza dalla pagliacciata di Cattelan, come a suo tempo con il water tutto d’oro e la merda di Manzoni. Allora chapeau per l’abilità di dotti commentatori in combutta con i mercanti d’arte interessati alla spinta di recensioni elogiative,  senza le quali il giornalismo di settore rischierebbe la disoccupazione.
Alla miriade di sport popolari, il calcio primo fra tutti, gli italiani aggiungono il “toto sardine”, esercizio apparentemente ludico in cui si cimentano i media, la partitocrazia e i quattro amici al bar che scommettono su tutto: quale futuro per l’onda della contestazione a razzismo, antisemitismo, omofobia, eccetera, eccetera di Salvini? Tre succinte risposte: a) ‘dura minga’, come per girotondini e affini, tempo due mesi e scompariranno. b) zero ideologia nel background delle sardine, solo anti Salvini e riscoperta della partecipazione. Nessuna delega a nessuno. c)  movimento di sinistra, non a caso nato a Bologna per sollecitare Pd e affini a riprendersi le piazze, il rapporto con l’Italia dei bisogni.  I ‘leader’ del movimento smentiscono l’attendibilità delle tre ipotesi, ma l’imminente rendez vous di Roma somiglia molto a un congresso costitutivo. Certo, a distanza abissale da modi e sostanza della partitocrazia, perché segnale evidente di una svolta ‘storica’ dell’invasione pacifica, ma certamente politica delle cento piazze da Nord a Sud del Paese.

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