STRAGE DI VIA D’AMELIO / IL GIUDICE SMEMORATO

Deposizione di due magistrati al processo in corso al tribunale di Caltanissetta per il depistaggio nelle inchieste per la strage di via D’Amelio che vede alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo che facevano parte del team guidato dall’ex questore Arnaldo La Barbera. Accusati, i tre, di aver costruito a tavolino il falso pentito Vincenzo Scarantino.

Intanto a Messina prosegue l’inchiesta a carico dei due magistrati che per primi si sono occupati dell’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta: si tratta di Anna Maria Palma e di Carmine Petralia. I quali, secondo le accuse, avrebbero avuto la regia di quel taroccamento e quindi di quel depistaggio, il più clamoroso nella storia del nostro Paese.

Ma torniamo a Caltanissetta. Ecco alcuni stralci della deposizione resa da Fausto Cardella, oggi procuratore generale al tribunale di Perugia e all’epoca chiamato dall’allora procuratore capo Giovanni Tinebra per unirsi alle indagini sulla strage.

“In occasione di un convegno a Firenze nell’ottobre 1992 Tinebra mi chiese se fossi disponibile a lavorare sulle stragi. Accettai e, giusto il tempo di sbrigare le pratiche, andai a Caltanissetta. Ricordo che al mio arrivo trovai una situazione di stasi investigativa, questa era la situazione sulla base delle informazioni e dei discorsi con i colleghi. Vincenzo Scarantino era già stato arrestato sulla base di intercettazioni ambientali fatte nel carcere in cui erano Candura e un altro detenuto”.

Ilda Boccassini

Tra i primi problemi che Cardella si trova ad affrontare c’è quello della borsa che apparteneva al giudice ammazzato. Incredibilmente, infatti, nonostante fossero passati già alcuni mesi dall’attentato, fino a quel momento non era stato ancora redatto alcun verbale di sequestro della borsa.

Ecco cosa dice a tal proposito Cardella: “Fu Ilda Boccassini che si rese subito conto, già nelle prime ore, che c’era questa situazione da regolare, da sanare, perché non c’era un verbale di sequestro della borsa. Ricordo che c’erano già le prime polemiche sull’agenda rossa. La Barbera disse: ‘io me la sono ritrovata in questura. Non so come c’è arrivata’. Non fu fatto alcun verbale, forse una distrazione. A quel punto la Boccassini disse, ‘Dobbiamo vedere subito’. Io fui incaricato di andare a Palermo il giorno dopo, questo fu uno dei problemi da risolvere. Alla Mobile c’erano altre persone, abbiamo aperto questa borsa, non ricordo cosa ci fosse, ma ricordo cosa non c’era”.

Parole non poco sibilline: “forse una distrazione”, “non ricordo cosa ci fosse”, “ricordo cosa non c’era”.

Prosegue il racconto di Cardella: “Il dottore La Barbera aveva l’abitudine di venire a Caltanissetta per portare le carte, normalmente passava verso le 21. Andava dalla dottoressa Boccassini, depositava le carte e allora mi chiamavano. Sull’agenda rossa non ricordo che vi fossero posizioni precise. Durante una delle chiacchierate informali parlammo anche di questo. L’ipotesi che fosse distrutta era la meno plausibile perché la borsa era danneggiata ma integra, quindi quell’ipotesi fu ragionevolmente scartata, sempre che fosse nella borsa come si diceva”.

E ancora: “Io ricordo che dell’agenda parlò anche il maresciallo Canale ma tempo dopo, allora l’argomento era già emerso e si parlava anche di presenze sul luogo del delitto e da lì finimmo alla borsa. Si parlò anche di chi fosse andato sul luogo del delitto, ricordo che facemmo accertamenti su Bruno Contrada e sulla sua presenza in via D’Amelio. Certamente non arrivò niente, né dal capitano Arcangioli (processato e assolto da ogni accusa relativamente a borsa e agenda rossa, ndr), né di quella famosa fotografia. Sull’agenda nei primi tempi ci fu un’indagine serrata: interrogammo il capo della polizia, i collaboratori di giustizia a cominciare da Mutolo, cercammo di ricostruire cosa avesse fatto Paolo negli ultimi giorni”.


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