Orizzonti di storia – Un libro di cinema controcorrente nel centenario della Grande Guerra

Sceglie la frase di un classico del Settecento inglese, Samuel Johnson, ripresa da Kubrick nel film Orizzonti di gloria, per il titolo del suo volume sulla Grande Guerra nel cinema: “Il patriottismo? L’ultimo rifugio delle canaglie“.

Non poteva esserci una duplice citazione (letteraria e cinematografica) più esplicita e calzante per un libro così coraggioso e anomalo nel centenario della Prima Guerra Mondiale: L’ultimo rifugio delle canaglie, edito nella collana “Quaderni di Cinemasud delle edizioni Mephite per la firma di Enrico Giacovelli, storico e critico cinematografico versatile e anticonformista (organizzatore di eventi e autore di spettacoli, ha pubblicato saggi di cinema, raccolte di citazioni, testi di satira politica, biografie in forma di romanzo su Anna Magnani, Édith Piaf, Brigitte Bardot, libri di memorie e di viaggi e il romanzo La felicità è un attimo pericoloso), che ha provato a squarciare la coltre di retorica che avvolge questo anniversario con un’opera di ricerca e di analisi rigorosa e documentata, che si rivolge ad un pubblico più ampio rispetto alla ristretta elite dei cinefili grazie ad uno stile pulsante ed alla dichiarata e coraggiosa impostazione antimilitarista.

La cosiddetta Grande Guerra – scrive l’autore – è stata uno dei più feroci e insensati crimini della storia dell’umanità, se di umanità si può parlare, e ha conosciuto livelli tali di barbarie da diventare lo sfondo ideale di quasi tutti i grandi film pacifisti e antimilitaristi del ventesimo secolo: da J’accuse a Orizzonti di gloria, da All’ovest niente di nuovo a Per il re e per la patria, da E Johnny prese il fucile a Uomini contro”, analizzati uno per uno da Giacovelli con la competenza dello studioso e la passione del militante.

Il primo conflitto mondiale è del resto, commenta il critico della rivista “Sentieri selvaggi” Leonardo Lardieri, “lo sfondo ideale di film pacifisti e antimilitaristi del ventesimo secolo, passando per i periodi di propaganda pura. L’analisi di centinaia di film di ogni epoca, con la forza di raccontare, attraverso il cinema, la piaga più drammatica generata dal genere umano, e la documentazione approfondita e dettagliata, con uno stile di scrittura amaro e sarcastico, rendono quest’opera un appassionato pamphlet, carico di umanità e competenza critica“.

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Nessun altro evento storico, sostiene Giacovelli, si lega così profondamente alla storia del cinema internazionale: “Più ancora della seconda guerra mondiale e del Vietnam, la guerra 1914-1918 è diventata quasi un genere cinematografico a sé, e ciò non è privo di logica se si pensa che proprio in quegli anni il cinema divenne adulto (bastano un nome e un titolo: Charlie Chaplin e Intolerance)“.

Impossibile sintetizzare le notizie inedite, le sorprese, i miti smascherati (due per tutti: Howard Hawks e Steven Spielberg), le chiavi di lettura originali e al tempo stesso filologicamente rigorose che riguardano molti film, fino a riscrivere da un’ottica nuova e coraggiosa l’intero capitolo dei film di guerra. Un esempio? La rilevanza di un vero e proprio filone di pellicole antigermaniche – il mito del “cattivo tedesco” – tra le due guerre (soprattutto di matrice statunitense e francese), caratterizzate da una greve impostazione razzistica e faziose ben oltre il ridicolo.

Notevole fu inoltre l’impatto del conflitto sulla storia e sugli equilibri finanziari e produttivi del cinema mondiale: è proprio dagli anni Venti che Hollywood conquisterà la definitiva supremazia a scapito delle cinematografie dell’Europa, stremata dai terribili costi economici e sociali provocati dalla guerra.

Fondamentale è la distinzione operata da Giacovelli tra film pacifisti e antimilitaristi: “Il cinema soltanto pacifista rischia di sembrare nobile come la morale dei cattolici che passano tutta la vita a peccare perchè sanno che basterà un pentimento dell’ultima ora per aprire loro le porte del Paradiso. Il cinema antimilitarista, invece, non fa sconti. Inchioda i colpevoli alle proprie colpe. Per questo si riduce a pochi film, fra i quali non più di una dozzina di capolavori; e per questo il presente libro è diviso in due grandi sezioni: una dedicata ai film non chiaramente antimilitaristi (che pure possono racchiudere talvolta elementi pacifisti) e una, più approfondita, dedicata agli altri”.

In entrambe le categorie spiccano due grandissimi del cinema mondiale.

Il primo film pacifista, a guerra ancora in corso, è Charlot soldato (titolo originale Shoulder Arms) di Charlie Chaplin. Mentre per il film della svolta, il primo esplicitamente antimilitarista, bisognerà attendere altri quarant’anni, con il Kubrick di Orizzonti di gloria (Paths of Glory), prodotto nel 1957. E per l’Italia, che pure può vantare l’originale e coraggioso La grande guerra (1959) di Mario Monicelli, si può parlare di capolavoro antimilitarista solo nel 1970, con Uomini contro di Francesco Rosi, che a giudizio di Giacovelli merita la palma del coraggio ideologico perchè “per la prima volta si svela in modo inequivocabile la natura vera della Grande Guerra e di tutte le guerre: non uomini di una nazione contro uomini di un’altra, ma classi dirigenti contro classi subalterne, ricchi contro poveri“. Tanto che resta più che mai pregnante l’invettiva antimilitarista del caporale Louis Wohleim in All’ovest niente di nuovo (1930) di Lewis Milestone, il “film pacifista per eccellenza” secondo Giacovelli: “Ve lo dico io – esclama, rivolto ai soldati – che cosa andrebbe fatto. Quando si profila una grande guerra bisognerebbe recintare un grande campo. E quando arriva il gran giorno bisognerebbe prendere tutti i re, i ministri, i generali, metterli al centro in mutande e farli combattere con le clavi“.

Manifesto di un film di PABST

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