L’Etna? Una bazzecola. Lo Stromboli? Tutto fumo e sciare al seguito. Il Vesuvio? Col solito pennacchio da sempre.
Quello che allarma sempre più ricercatori e scienziati sono i Campi Flegrei, più bollenti che mai, super minacciosi alla periferia occidentale di Napoli.
Recenti studi e un “rapporto confidenziale” fino ad oggi rimasto top secret, infatti, alimentano una situazione da vero Sos.
Ma cosa fa la Protezione civile? Si diverte organizzando prove di evacuazione che andavano bene per le giovani marmotte. L’ultima esercitazione che ha visto impegnate le scuole dell’area flegrea, a quanto pare, è stata un vero flop.
Come mai sia le autorità politiche che quelle amministrative non prendono sul serio la “bollente” questione e fanno finta di niente, né forniscono spiegazioni di alcun tipo?
Ma vediamo le news.
PERFINO “NATURE” LANCIA L’ALLARME
Partiamo da un fresco report pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “Nature”.
Si tratta di uno studio elaborato da un team scientifico per tracciare una vera e propria TAC di quel sottosuolo, ottenendo una plastica visione in 3D di tutta l’area, la mega caldera di Agnano, al cui centro è ubicato il monte Spina (a pochi metri dal celebre ippodromo), di altezza non elevata ma – secondo gli esperti – una vera e propria bomba in grado di eruttare non si sa come, non si sa quando, ma di certo con una potenza devastante, in grado di propagarsi per decine di chilometri e quindi interessare tutta l’area di Napoli e non solo.
Una bomba ad orologeria che praticamente nessuno si preoccupa di disinnescare.
Ecco alcuni passaggi salienti dello studio pubblicato da Nature.
“Le situazioni più a rischio sono state individuate sotto la Solfatara, in via Pisciarelli, agli Astroni e nel centro della pianura di Agnano. La Solfatara ad esempio si presenta come un grande imbuto che arriva a meno di 200 metri di profondità; Pisciarelli è interessata in profondità da gas che fluiscono attraverso un condotto; mentre una probabile migrazione di fluidi è stata osservata dalla Solfatara a Pisciarelli. Sotto la pianura di Agnano, nel settore nord, potrebbero essere presenti corpi intrusivi lavici. Il settore centrale della caldera svolge un ruolo cruciale nel vulcanismo dell’intera area, in particolare negli ultimi fenomeni di agitazione che hanno indotta ad alzare il livello di allerta del vulcano”, passato infatti da verde a giallo.
E tanto per far intendere meglio: la caldera dei Campi Flegrei “è uno dei vulcani più pericolosi d’Europa”.
LO STUDIO CHOC TOP SECRET
Ma è uno studio super riservato di sette anni fa, del quale quale il Corriere del Mezzogiorno pubblica alcuni stralci, a destare i più forti allarmi.
Sorge spontanea la domanda: come mai è stato conservato nei cassetti?
Perché non è stato reso pubblico, affinchè la collettività fosse a conoscenza di tutti i rischi che corre? E pensare che sono passati ben 7 anni, quindi la situazione – se possibile – è certo ancor più allarmante ora che allora. Mentre si gioca con le finte evacuazioni.
Cosa ci sta a fare la Protezione civile?
Vediamo, anche qui, i drammatici passaggi salienti dello studio scientifico. Precisiamo che il lavoro (122 pagine) è stato consegnato dall’equipe il 31 dicembre 2012, e che le ricerche erano durate per ben tre anni. Lo studio stesso copre uno smisurato arco temporale, passando in minuziosa rassegna tutti i fenomeni eruttivi che si sono verificati nell’area nel corso di circa 5 mila anni.
Gli scenari delineati sono quattro. Eruzione esplosiva, eruzione multipla, esplosione freatica, eruzione effusiva. Tutti da brivido. E la ciliegina sulla torta è la concreta previsione di un fenomeno altrettanto devastante, vista “la possibile generazione di un maremoto nel caso di attività in mare o in prossimità della costa”.
Le più grosse difficoltà – secondo gli studiosi – sono dovute alla estrema imprevedibilità del fenomeno, impossibile da rilevare giorni prima, ma solo a strettissimo ridosso dall’evento, a quanto pare neanche 24 ore. Rendendo quindi ancora più difficili i piani di evacuazione già così precari. Forse per questo le cosiddette “Autorità” preferiscono tenere all’oscuro i cittadini su rischi & pericoli che non sono tra mille anni, ma forse dietro l’angolo.
Così scrive l’equipe, composta da Giovanni Macedonio, Marcello Martini, Augusto Neri, Paolo Papale, Mauro Rosi e Giulio Zuccaro: “La possibilità che le ultime fasi di risalita del magma avvengano in giorni o anche ore, rappresenta un notevole limite alla possibilità effettiva di stimare la posizione della futura bocca, in tempi utili per gestire l’emergenza”.
Più chiari di così.
C’è il grosso problema dei gas che verranno sprigionati. “Eventi esplosivi freatici – sottolineano i ricercatori – sono stati accompagnati dall’improvvisa emissione di grandi quantità di gas tossici, in prevalenza C02, con accumulo di gas e more di persone e animali per asfissia”.
Non basta. “Le esplosioni freatiche possono essere più difficili da prevedere delle eruzioni e il loro verificarsi può essere del tutto improvviso. In un numero significativo di casi non sono stati preceduti da alcun fenomeno rilevabile dalle normali reti di sorveglianza. Il consistente aumento di flusso di gas e vapore verificatosi negli anni passati nell’area di Pisciarelli, rende già oggi possibile che improvvise risalite di masse di gas possano essere accompagnate da esplosioni freatiche di CO2”.
ANCHE UN RISCHIO TSUNAMI
Prosegue il dossier: “La propagazione dei flussi piroclastici nel golfo di Pozzuoli è un elemento particolarmente critico perché potrebbe investire anche il golfo di Napoli con onde di tsunami”. Da horror movie.
“Alcune aree di Napoli come Vomero e Arenella potrebbero essere interessate dal fenomeno dei flussi piroclastici. I flussi piroclastici prodotti da un evento di taglia analoga all’eruzione di Agnano Monte Spina, nel 2100 avanti Cristo, sono in grado di superare la collina di Posillipo”.
“Non può essere esclusa a priori una propagazione dei flussi fino a distanze maggiori dei 20 chilometri dal centro della caldera”, che appunto si trova nel cuore di Agnano, nell’area occidentale a poche centinaia di metri, per fare un esempio, dallo stadio San Paolo di Fuorigrotta.
Non è finita. C’è un grosso problema per la tenuta dei tetti, in caso di eruzione/esplosione di non elevatissimo grado, la quale ovviamente spazzerebbe ogni cosa, tetti, case e soprattutto vite. “Un’eruzione di scala media – notano i ricercatori – è in grado di impattare in maniera significativa vaste aree, la città di Napoli fino all’area del porto con elevato numero di crolli per concentrazione di coperture di tetti di bassa qualità soprattutto nel centro storico. Nel caso di eruzione a grande scala i collassi degli edifici possono arrivare a distanze rilevanti, fino ai contrafforti della Penisola Sorrentina”.
E un altro rischio è che “i primi eventi sismici potrebbero far crollare case a ridosso delle vie di fuga e interrompere le stesse con serie conseguenze sul deflusso dell’area”.
UN ESPRESSO SOPORIFERO
In mezzo a tutto questo bailamme di allarmi, cosa “spara” l’Espresso nell’ultimo numero? Un tric trac, una serie di notiziucole che non sfiorano il cuore del problema.
Ecco qualche stralcio dal super reportage da tre pagine firmato dall’inviato speciale Fabrizio Gatti. Che parte dalla fresca prova di evacuazione. “L’attenzione oggi è rivolta ai Campi Flegrei, tra Napoli e Pozzuoli: un complesso sistema di crateri su cui è cresciuta e continua a crescere una delle aree più popolose d’Europa”. Accipicchia.
Continua Gatti: “In appena 72 ore, 600 mila persone dovrebbero andare a vivere in altre regioni d’Italia, probabilmente per lunghissimi periodi o per sempre. L’ultima esercitazione si è svolta pochi giorni fa”.
Ed illustra – il settimanale – una tesi portata avanti da altri ricercatori universitari, secondo i quali vanno incentivate le politiche di “emigrazione ragionata”. In soldoni, scrive il settimanale, “l’unica soluzione razionale per la mitigazione dell’estremo rischio vulcanico in queste aree è una pianificazione accurata, preventiva, della ri-sistemazione della popolazione delle zone rosse in cui si preveda la ricollocazione residenziale, lavorativa, sociale e con i relativi servizi… accompagnata da opportuni incentivi ad abbandonare anche prima di un’emergenza le zone rosse e disincentivi a chi vuole arrivarci”.
Una deportazione della popolazione in grande stile, come del resto avvenne ad inizio anni ’80 per Pozzuoli, con una fetta della popolazione e costretta a trasferirsi nel lager di Monteruscello, a pochi chilometri di distanza ed in una zona ancora più “rossa”, non sotto il profilo politico ma del rischio-bradisisma. Ed una goduria per mattonari, palazzinari & speculatori d’ogni risma.
Come mai dall’Espresso nessun ragguaglio sui concreti rischi che corre la popolazione flegrea a non solo? Perché il totale silenzio sui più recenti, drammatici studi? Un black out in piena regola?
QUELLA SOLFATARA KILLER
Ad ulteriore testimonianza della situazione sempre più bollente nell’area, c’è la tragedia di due anni fa, quando il 12 settembre 2017 un bimbo e i due genitori vennero inghiottiti in una rovente bocca della Solfatara di Pozzuoli. La struttura, ovviamente, è stata chiusa al pubblico, per gli evidenti rischi di incolumità: quella infernale bocca, infatti, non era minimamente vigilata, né v’era alcuna indicazione di pericolo, come ha accertato in due anni d’inchiesta la procura di Napoli.
Adesso i pm, Anna Frasca e Giuliana Giuliano, chiedono il rinvio a giudizio per gli amministratori della società che gestiva la Solfatara. Nei prossimi giorni verrà fissata la data per l’udienza preliminare davanti al gup, che si dovrà appunto pronunciare sulla richiesta di rinvio a giudizio.
Pesanti, fino ad oggi, i rilievi della procura. Si trattava, viene descritto, di “una zona fangaia aperta al pubblico e liberamente percorribile senza alcun divieto di accesso”. Una zona caratterizzata dalla “assenza di qualsiasi cautela, idonea ad assicurare che l’attività turistico-ricettiva fosse svolta in modo da garantire la sicurezza dei lavoratori e dei visitatori”.
Del resto – viene ancora sottolineato dai pm – “già nel 2014 si era aperta una grande voragine nei pressi della zona, senza che alcuno studio specifico fosse adottato e senza alcuna cautela o segnalazione di zona pericolosa”.
Per gli inquirenti, poi, nessuna delle risorse finanziarie della società è stata investita “per ridurre la pericolosità del sito Solfatara, maggiore espressione vulcanica attiva dell’area flegrea, in modo da garantire la circolazione in sicurezza”.
Come scriveva Domenico Rea, “Gesù fate luce”.
Scopri di più da La voce Delle Voci
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.