Fiat-Peugeot, quando l’unione fa la forza

La notizia cult di questa mattina ha rapidamente mandato via il normale intontimento da risveglio. Come taluni dotati di capacità profetica avevano intuito, lo stop alla mega trattativa di due colossi dell’auto, quali sono l’italiana Fca e a francese Psa, con l’ipotetico e non trascurabile  corollario dell’industria di settore giapponese, ha vissuto solo una pausa di riflessione, richiesta da Macron e forse a suo tempo bene accetta anche da Elkan, perché di stratosferica portata, su cui riflettere senza fretta.  Il giornalismo investigativo ha infranto il silenzio sulla trattativa in corso per la fusione dei due gruppi a dimensione economica di 50 miliardi di dollari. Dovesse concludersi con un reciproco “sì”, il patto darebbe i natali a un gigante mondiale con la doppia leadership di Fiat-Crysler (fatturato di 110 miliardi) e Psa (Peugeot-Citroen) di 74 miliardi. Nel mercato azionario le parti si invertono: 22 miliardi il gruppo francese, 18 quelli del marchio italo-americano.  Insieme Fca e Psa vendono poco meno di nove milioni di auto, più di General Motors, meno solo di Volkswagen, Nissan, Toyota.
Fca aumenterebbe il suo business europeo grazie ai 2,5 milioni di veicoli venditi da Peugeot da sommare al milione di Fiat Chrysler. Nel Vecchio Continente il neo gruppo se la vedrebbe con Volkswagen che ha una share di mercato del 24%. Con la firma in calce all’accordo, il nuovo gruppo potrebbe contare sui marchi Fiat, Alfa Romeo, Crysler, Citroen, Dodge, Ds, Jeep, Lancia, Opel, Peugeot, Vauxall.
I media hanno ripreso la notizia dall’autorevolissimo Wall Street Journal. A quel punto le parti in trattativa non è rimasto che confermarla. Amministratore delegato del nuovo colosso diventerebbe Tavares, ‘ceo’ della Peugeot e John Elkan assumerebbe il ruolo di presidente.
Commenti a caldo del sindacato: “Che Fca cerchi partner internazionali per realizzare joint venture è positivo. L’importante è che continui a valorizzare gli stabilimenti e le produzioni italiane”. Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl: “Qualsiasi alleanza deve essere utile a crescere nei mercati asiatici, ad avere tecnologie e risorse per la transizione all’elettrico. Difficile commentare, ma dalle indiscrezioni pare ci sia qualcosa di più. A Wall Street, balzo in su  di o con  un +8%. Sia il gruppo Fca che Psa hanno bisogno di alleanze”. Per la Fiom, De Palma: “L’importante è tutelare l’occupazione in Italia. È indispensabile che il governo e la presidenza del Consiglio tutelino la capacità di ricerca e sviluppo che abbiamo nel nostro Paese, perché da questo dipende tutto il mondo della componentistica italiana, in un momento di grande trasformazione del settore ‘automotive’. Qualsiasi ipotesi di accordo di fusione o di joint venture, deve partire dalla piena occupazione e produzione degli stabilimenti italiani”.
 Il duello che accende le importanti tappe elettorali in regioni molto significative per sondare gli umori degli italiani ha di anomalo l’assenza assoluta di confronto sulle proposte di governo locale dei principali contendenti. In chiaro: all’elettore medio non è dato decidere a quale progetto far corrispondere la “X” sulle schede elettorali. In Umbria ha stravinto la Tesei, ma chi l’ha votata lo ha fatto al buio, privo di elementi di valutazione sul dopo elezione, quando dovrà dar conto di come corrispondere al voto con progetti e linee guida sui temi specifici del territorio. Da Salvini solo slogan generici, estranei agli interessi dei cittadini umbri e così dai suoi antagonisti e forse peggio. Audio spento, anche per loro slogan e non  progetti, sullo sfondo dell’immagine-bluff di alleati in extremis, da separati in casa.
Nell’approssimarsi della nuova tornata elettorale, permane il rischio di proseguire con  schermaglie avulse dal contesto regionale dell’Emilia, che è test di ben altra dimensione territoriale, economica e politica. A far trillare il campanello d’allarme è Stefano Bonaccini, governatore uscente e prossimo candidato Pd, che va diretto al sodo con l’invito a Salvini di rivelare le idee per governare la regione, anziché sconfinare nella solita solfa di contumelie contro il premier Conte, nemico personale dall’episodio della seduta  parlamentare post crisi del Papeete, che lo trattò come esempio di arrogante idiozia politica, razzismo, disumanità, incompatibilità con le regole democratiche e colpevoli silenzi sulla truffa milionaria allo Stato e sulle sordide trattative del Russiagate.
“La mia campagna elettorale”, così esterna Bonaccini “sarà tutt’altro che nazionale. Se la Lega dirà che vuole perndersi l’Emilia-Romagna dica che idee ha per governarla. Chi ci vive conosce  bene la qualità dei servizi che forniamo e il riconoscimento di territorio tra i più competitivi d’Europa. I voti li chiederò sui progetti per il futuro, le cose fatte: la mobilità sostenibile, gli asili nido per tutti, l’innovazione e l’assistenza agli anziani, il calo dell’occupazione dal 9 al 5 percento, le liste d’attesa negli ospedali drasticamente ridotte.
Strana gente circola nel pianeta della jet society. Philippe Daverio, prestato alla critica d’arte dagli studi di economia mai conclusi con la laurea,  cittadino onorario di Bobbio ha ricoperto anche il ruolo di presidente della giuria che assegna il premio al paese più bello d’Italia, edizione 2019 del programma di Rai3 “Il borgo dei borghi”. C’è di anomalo e di qui la contestazione dei neoborbonici, il conflitto d’interessi di Daverio. Il televoto, a conclusione dell’ultima puntata della trasmissione, aveva ha premiato con il 42 percento  il sito siracusano Palazzolo Acreide, contro il 27 percento di Bobbio, ma il risultato è stato ribaltato  dalla giuria presieduta dal critico (cittadino onorario di Bobbio) un incredibile 66% contro lo 0% di Palazzolo. Sul caso interrogazioni parlamentari, intervento della regione siciliana, contestazioni dei neoborbonici, anche per il precedente di insulti di Daverio ai siciliani, vittima dell’epidemia di Leghismo?

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