Bush terzo alla Casa bianca? Il figlio e fratello presidenziale a stelle e strisce si autolancia dalla Florida, suo storico avamposto, per la mega campagna che porterà alle primarie da febbraio 2016. E subito, da Miami, lancia il suo “Jeb Act”. Costruito su 4 messaggi forti, e una parola d’ordine: “Riprendiamoci il futuro”.
Ecco le mission. Primo comandamento: dobbiamo essere ottimisti sul futuro degli States e credere nella nostra capacità di guidare il cambiamento. Secondo: dobbiamo ricostruire la nostra leadership politica e militare. Terzo: rilancio economico, spinta nuova per le imprese e l’occupazione. Quarto: fronteggiare il problema di immigrati, clandestini, emarginati e deboli.
Siamo a casa nostra? Tra innovazioni renziane e revanchismi salviniani?
Una cosa è certa: il candidato Jeb “promette una campagna elettorale gioiosa”, realizzata attraverso una “potente macchina da guerra elettorale”, come fanno notare alcuni analisti. Tornando a casa nostra, viene alla mente la “gioiosa” macchina messa su da Achille Occhetto e infrantasi sugli scogli del primo Berlusconi.
Ma non mancano altre “certezze” e almeno un precedente incoraggiante: le presidenziali del 2000 vinte da George W., suo fratello, proprio grazie a lui, che a quel tempo sedeva sulla strategica poltrona di governatore della Florida, stato da sempre decisivo (come l’Ohio) per la vittoria. George vinse infatti per un pugno di voti, proprio quelli super contestati della Florida, battendo Al Gore, che si è consolato poi con ambientalismo e pacifismo. Al confronto, i brogli di casa nostra sono bazzecole: una maxi truffa capace di cambiare i destini del mondo, “il Furto della Presidenza”, come hanno poi scritto alcuni, orchestrato dal suo eterno braccio destro, la super consigliera Sally Brashow. In famiglia una passione, quella per i mattoni: tramandata con successo al figlio George P., che di immobili (è il Commissario del Demanio nel Texas) se ne intende.
Come di petrolio se ne intendeva il padre George. E di rapporti d’affari con il mondo arabo. Non pochi ricordano, ancora oggi, il più che benevolo occhio della Casa bianca, e di Bush father, per gli esordi nella carriera di Saddam Hussein in Iraq: proprio mentre decollavano gli affari della società che gestiva l’aeroporto di Los Angeles, che vedeva in pista sia il presidente yankee che il – poi – grande nemico di Baghdad.
Quindi l’altro grande nemico degli Usa, Osama bin Laden, il numero uno del terrore nel mondo che a inizio anni ’90 sedeva tranquillamente a casa Bush, ad ora di pranzo, per parlare di affari e di sport. Di tennis, in particolare, una delle passioni di casa Bush. Compagni di merende e compagni di racchetta: e con un commensale d’eccezione, l’allora star svedese Bjorn Borg. A raccontare la storia l’avvocato Carlo Taormina, che in quegli anni era il legale di Loredana Bertè, allora fidanzata con il mago della racchetta.
Ed Osama, il ricercato numero uno di tutte le polizie e le intelligence del mondo, ha finito – dopo tanti anni di libertà – i suoi giorni in un compound a pochi chilometri da Islamabad. Ha brindato Obama, hanno festeggiato le sue truppe. Peccato che alcuni mesi fa sia trapelata una scomoda verità: nessuna mirabolante cattura, nessuna super attività investigativa, solo la soffiata – strapagata, milioni di dollari – di un pezzo grosso dei servizi segreti afgani. Un po’ la storia di Mohammed Atta, il capo kamikaze delle Torri Gemelle, l’assassino dell’11 settembre. Pochi sanno, però, che Atta era molto vicino alla Cia. A libro paga, secondo alcuni. E liberissimo di girare in lungo e in largo, prima dell’attentato, per tutti gli States e in Europa. Cia, servizi perfetti…
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