Compie trent’anni la legge italiana sul riconoscimento del trust, l’istituto giuridico di derivazione anglosassone a tutela dei beni della famiglia e dell’impresa. La Legge 364 del 1989, ratificando la Convenzione dell’Aja, ha infatti previsto giusto 30 anni fa che i beni in trust rappresentano una massa patrimoniale distinta da quella del trustee (colui che gestisce i beni) e del disponente (che istituisce il trust).
Un trentennale, dunque, che gli esperti celebrano ricordando le tappe percorse per il pieno ed efficace riconoscimento delle garanzie previste dai trust da parte della magistratura italiana, proprio mentre lo stesso istituto si andava affermando in maniera esponenziale nell’intero Occidente, tanto che oggi esistono nel mondo circa 2850 leggi in materia. Non sempre, perciò, il tipo di trust da adottare è conveniente per tutte le esigenze. Negli Stati Uniti, ad esempio, dove l’uso del trust è tra i più diffusi ed avanzati del mondo, la selezione dello strumento più adatto avviene attraverso una ampia concertazione preliminare che vede a fianco del cliente l’avvocato, il commercialista e la banca, in qualità di wealth manager.
E in Italia? Come stanno le cose a distanza di trent’anni dall’istituzione della legge specifica?
«Rispetto ai decenni scorsi – sottolinea Paolo Gaeta, dottore commercialista, tra i massimi esperti del ramo, in una dettagliata analisi su Economy – gli strumenti che abbiamo a disposizione oggi sono molto più evoluti e le modalità di realizzazione di un atto di trust consentono il raggiungimento di assetti prima non facilmente accessibili».
«Il riferimento – aggiunge Gaeta, trust and estate practitioner negli studi di Milano e di Napoli – è ad esempio alle Private Trust Company, dedicate alla singola famiglia, e alla rinnovata possibilità di gestione dei beni attraverso due co-trustee, uno dei quali può essere bancario e straniero, e uno o più delegati, in veste di multiple advisor trust».
La gestione e protezione del patrimonio familiare rappresenta la principale area di attività dello studio guidato da Paolo Gaeta, che è presidente della Commissione trust e Tutela del Patrimonio Familiare all’Ordine dei Commercialisti Napoli fin dalla sua istituzione, membro dello Society of Estate and Trust Practitioner e componente della International Academy od Estate and Trust Law.
Per Paolo Gaeta dunque una spinta al rinnovamento, in occasione proprio del trentennale, è indispensabile: «trascorsi trent’anni dall’introduzione della legge – auspica – c’è da confidare che un nuovo approccio qualitativo all’utilizzo del trust evolva positivamente». Perché «il nostro sistema sociale, familiare e finanziario ne ha un gran bisogno, al fine di tutelare le persone e quelle società che rappresentano il cuore pulsante della produttività nel nostro Paese».
Un approccio qualitativo che, sul modello degli Usa, del Regno Unito e di tanti Paesi dell’Occidente, conduca ad una motivazione nella scelta del trust prevalentemente a vantaggio dei beneficiari, ribaltando l’impostazione finora prevalente, tutta italiana, improntata all’approccio protettivo degli imprenditori, e andando verso quel “gift over time to beneficiaries” che rispetta ed esalta lo spirito del trust.
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