Stavolta non si tratta di giustizia tragicamente lenta come una lumaca. Siamo alla farsa di una superperizia che giunge a 39 anni dalla strage di Bologna e arriva addirittura a parlare di possibile “incidente”. Ai confini della realtà.
Non pensavamo proprio di dover raschiare il barile della vergogna, ma stavolta lo abbiamo fatto. Confermando che il Paese è ormai sprofondato nella più atroce negazione di ogni straccio di diritto, di giustizia calpestata, di memoria storica presa a calci. Il tutto appallottolato insieme alla nostra carta costituzionale, sempre più ridotta a livello Scottex.
Vediamo le paradossali “news”. Siamo alle tragicommedie dell’ennesimo processo per quella strage della torrida estate 1980. Ora magicamente dalle macerie stipate in un orrendo deposito della (sic) memoria, spunta un misterioso interruttore. Sarebbe quello che ha azionato il congegno esplosivo, chissà perché rimasto ad accumulare chili di polvere durante tutti questi anni.
In occasione, appunto, del quarto processo, stavolta a carico dell’ex Nar Gilberto Cavallini, processato per concorso in quella strage, ha luogo la scoperta degna del migliore 007.
Ma leggiamo alcuni passi della super perizia elaborata nientepopodimeno che da un “esplosivista geominerario”, tale Danilo Coppe, in collaborazione con il tenente colonnello Adolfo Gregori del Ris di Roma. La perizia è stata consegnata nelle mani del presidente della Corte d’Assise di Bologna, Michele Leoni, davanti al quale si sta celebrando il processo Cavallini.
La bomba, viene evidenziato, “era costituita essenzialmente da Tnt e T4 e non si può escludere la presenza di gelatinato a base di nitroglicerina”.
Ed eccoci al clou: “su basi esclusivamente probabilistiche si ritiene che, se c’era un dispositivo tra la sorgente di alimentazione e l’innesco, questo poteva essere un timer meccanico. Non si esclude in via ipotetica che l’interruttore di trasporto fosse difettoso o danneggiato tanto da determinare un’esplosione prematura o accidentale dell’ordigno”.
A quanto pare nella perizia rifà capolino quella “pista palestinese” percorsa per un certo lasso di tempo dalla magistratura e poi abbandonata per mancanza di riscontri. In quella pista trovava spazio la formazione terrorista tedesca Raf, Rote Armee Fraktion, e il nome di una militante, Margot Christa Frolich, che venne arrestata a Fiumicino nel 1982. Indagata prima e archiviata poi, la Frolich
I riferimenti a lei e ai due attentati attribuiti al terrorista Carlos, al vertice di una formazione para filo palestinese e comunque eterodiretta dai servizi segreti della ex Ddr, fanno oggi osservare Francesca Mambro, condannata in via definitiva insieme a Valerio Fioravanti per la strage di Bologna: “Noi eravamo e siamo estranei, la perizia conferma il ruolo di Carlos”.
Siamo in vista di un quinto processo, nell’Italia della giustizia ridotta ad una sempre più maleodorante discarica?
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