LA GATTA AL LARGO DI HORMUZ

Tanto va la gatta al lardo… È un proverbio italiano che va applicato il più presto possibile a ciò che sta accadendo nei paraggi dello Stretto di Hormuz. Dove, la notte del 20 giugno, a Washington si stava decidendo l’inizio del più grande conflitto del XXI secolo. Gatta sta per Trump; lardo sta per petrolio; zampino sta per tutti noi, che il petrolio dobbiamo comprarlo.

Sappiamo poco di quello che è accaduto nei palazzi del potere della capitale americana. Quello che è emerso ce lo hanno raccontato il New York Times e il Washington Post. Ed è sufficiente per capire il rischio che stiamo correndo, cioè che la guerra — una guerra enorme per le sue conseguenze mondiali — è ormai tremendamente vicina.

Come sempre essa nasce da una serie di inganni, di provocazioni più meno bene orchestrate. Si è cominciato a fingere che l’Iran stesse attaccando le petroliere in transito. In realtà si è ben capito che l’Iran non aveva nulla a che fare con le provocazioni. I primi a saperlo sono i satelliti e i ricognitori americani che controllano l’area centimetro per centimetro, 24 ore su 24. Invece si sono visti incendi, poi subito spenti. Un battello sconosciuto, ben fotografato, non si sa quando, vicino a una petroliera, a prelevare una presunta mina. Ma nessuna petroliera è andata in fiamme davvero, e questo è strano. Nessuna petroliera è affondata, ed è altrettanto strano. Nemmeno una goccia di petrolio è caduta in mare. Ed è stranissimo. Prove che siano stati gli iraniani: nessuna. Meglio cercare altrove.

Ma un drone americano è stato invece abbattuto nello spazio aereo iraniano. Gli Usa smentiscono, ma l’Iran mostra i pezzi caduti nel suo territorio. E il generale Hajizadeh, comandante in capo delle forze aerospaziali, dichiara che il drone senza pilota era accompagnato da un aereo spia americano che raccoglieva tutte le informazioni del drone. Aggiunge che l’aereo spia americano, un P-8 era nel mirino della contraerea missilistica iraniana; che aveva a bordo 35 ufficiali; e che non fu abbattuto per senso di responsabilità della direzione politica di Teheran. Se l’informazione è vera, vuol dire che la difesa iraniana è bene informata e pronta a ogni eventualità.

A Washington sono andati su tutte le furie, invece di ringraziare. E Trump si è lasciato convincere a dare l’ordine di “bombardare obiettivi sensibili”. Poi ha cambiato idea. Qualcuno sembra sia riuscito a convincerlo all’ultimo momento e l’attacco non c’è stato. Ma adesso dovremmo tutti chiederci, prima che situazioni analoghe si ripetano, che cosa succederebbe. A futura memoria sarà utile tenere presente che diverse fonti autorevolissime iraniane hanno già esplicitamente dichiarato che, in caso venisse impedito all’Iran di esportare (per lo più in Asia) i circa 2 milioni di barili di petrolio al giorno che gli sono necessari per coprire le proprie spese, allora la situazione diventerebbe molto simile a uno stato di guerra.

Al quale l’Iran sarebbe costretto a rispondere bloccando il passaggio di tutto il petrolio che transita attraverso lo stretto di Hormuz (petrolio saudita, dell’Oman, degli Emirati Arabi Uniti, del Qatar). Che, tutto insieme, rappresenta il 30% circa dei consumi di tutto l’occidente. Il fatto è — e a Washington dovrebbero saperlo — che Teheran può farlo. E che gli Stati Uniti non hanno la forza di impedirglielo, neanche scatenando un conflitto totale contro l’Iran. Il che produrrebbe un catastrofico aumento del prezzo del barile di petrolio. Fino a 200, 500, 1000 dollari a barile. Il che produrrebbe un tracollo dell’economia mondiale e perfino del sistema finanziario globale.

Forse è stato questo il calcolo che ha frenato all’ultimo momento il presidente americano. Ma sarebbe stupefacente se Donald Trump non avesse fatto questi prima questi calcoli.

Forse sarebbe il caso che i paesi europei esercitassero le loro pressioni congiunte per suggerire alla leadership americana di misurare la situazione con maggiore saggezza. Forse lo stanno facendo, senza alzare i toni. Ma non pare che comprendano, essi stessi, i rischi che corrono. Esempio clamoroso di questa miopia europea è stato paradossalmente il vice premier dei governo italiano, Matteo Salvini, il meno “europeo” di tutti.

Nel corso della sua recente visita a Washington, dove non ha potuto incontrare il presidente, ma dove ha incontrato il falco Mike Pompeo, segretario di Stato, Salvini ha anzi incoraggiato gli Stati Uniti a essere severissimi proprio contro Teheran e ha promesso che l’Italia sarà il più devoto degli alleati degli USA. In cambio di cosa non è stato dato di sapere. Sarebbe utile che ce lo dicesse, così capiremmo se sta difendendo il proprio futuro politico o quello degli italiani.


Scopri di più da La voce Delle Voci

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Lascia un commento