Facile prendersela con i politici
Sei capace di prendertela un po’ con la tua esimia persona?
La rivolta del ’68 ci ha dato il diritto filosofico di liberarci dal senso di colpa, ci ha fatto scoprire che il nostro disagio aveva cause sociali e culturali, ci ha insegnato l’uguaglianza, ci ha dato la forza di accusare il potere per le ingiustizie delle quali siamo vittime.
Ok! Idee sacrosante. Però adesso dobbiamo renderci conto che abbiamo stortato un po’ troppo il bastone dall’altra parte e che necessita resettare il nostro modello mentale.
Quello che mi stupisce spesso, parlando con persone depresse o insoddisfatte, è che dopo un po’ ti sanno dire per filo e per segno qual è il loro problema e generalmente viene fuori che sanno benissimo come uscirne.
Ma non lo fanno.
Nel mondo c’è il grande problema dei malvagi, guerrafondai, corrotti, sfruttatori, e molti hanno le vite distrutte da questo orrendo stato di cose, non hanno nulla, neppure le possibilità di cambiare; ma incontro centinaia di persone che nonostante le ingiustizie hanno un reddito decente, cultura, capacità, idee e conoscenze e che nonostante questo non riescono a uscire dal loro brodo.
Credo che sia importante fotografare questa situazione e accorgersi che il problema sta nella RESISTENZA AL CAMBIAMENTO.
Suppongo che ti piaccia ricevere un massaggio. Ma se in questo momento arrivasse una persona simpatica e ti dicesse: “Vuoi che ti faccio un massaggio ai piedi?” Tu risponderesti di sì?
Molte persone si troverebbero a disagio. È difficile per molti accettare di ricevere piacere.
Milioni di persone guardano la tv insieme ma a pochi viene in mente di prendere in mano il piede dell’altra persona per accarezzarlo.
Potresti farlo ma non lo fai.
Questa questione fa il paio con un’altra: stare male, incazzarsi, preoccuparsi, non è poi così male. Ammettiamolo, c’è un certo perverso piacere. Credo che questo fatto abbia origine nella nostra memoria genetica.
Noi siamo predisposti per affrontare situazioni di emergenza. Quando eravamo scimmiette sugli alberi dovevamo affrontare momenti terribili per sfuggire ai predatori. E questo provocava enormi scariche di adrenalina e tutta una serie di violenti sbalzi di pulsazioni, pressione, irrorazione sanguigna, istantanei cambiamenti muscolari e nervosi. Sfuggire a una tigre necessita uno tsunami interiore, mentale e fisico, che permette di tirar fuori tutte le potenzialità, tutta la forza.
Siamo costruiti per affrontare pericoli pazzeschi e se non usiamo questa funzione stiamo male. Il nostro corpo trova il proprio equilibrio nella molteplicità delle esperienze per le quali è programmato e se non viviamo una parte delle situazioni per le quali siamo programmati siamo squilibrati.
Potremmo spiegare in questo modo la passione umana per situazioni che riproducono in modo artificiale l’ansia, la paura, la contrazione, l’esplosione energetica, tipiche di uno scontro nella giungla selvaggia. Guardare film di terrore, fronteggiare un’armata di cavallette corazzate in un videogame, giocare d’azzardo, andare alla partita come se si andasse in guerra, sono pratiche che ci servono a riprodurre lo stato “guerriero”.
Una cosa che mi è sempre apparsa strana è che nelle mie ripetute crisi di emorroidi la cosa che mi fa stare meglio, più dello yoga, del camminare o di un massaggio, è entrare in Unreal Tournament e devastare le armate delle cavallette con un fantastico lanciamissili rosso.
E sospetto che anche altre pratiche esistenziali abbiano alla loro origine l’esigenza innata di vivere situazioni di scontro che inducono stress e malanimo (perché quando ti scontri con la tigre DEVI essere incazzato). Potremmo elencare in questa categoria anche il tenere il muso, rompere i coglioni agli altri, fare il bastian cuntrari, stare lì a rodersi. Stare lì a rodersi deriva in particolare dalla rottura di palle che sperimentavano i nostri antenati quando dovevano restare ore appostati sotto le frasche, immobili, ad aspettare che passasse un topolino per acciuffarlo e addentarlo.
Credo che l’unico lenitivo di questo disagio ancestrale siano le grandi imprese.
Visto che affrontare situazioni stressanti è necessario per il nostro equilibrio psichico, tanto vale utilizzare questo sovraccarico periodico di energie per realizzare qualche cosa di utile: le persone che hanno un grande sogno e che si impegnano (e rischiano) per realizzarlo sono mediamente meno dedite a pratiche inutilmente rissose e autocommiseranti e sono mediamente più disponibili a vivere esperienze piacevoli.
Ma quel che vedo è che le persone hanno raramente voglia di buttarsi in grandi imprese.
La paura di fallire è un’altra grande fonte di resistenza all’intraprendere progetti colossali e i rischi che ne discendono.
Sono anni che propongo a decine di persone di mettersi assieme per realizzare qualche cosa e sono anni che vedo persone fuggire.
Nel 1981 passai un paio di mesi a discutere con un gruppo di amici che erano anche vicini di casa, sulla possibilità di mettersi a fare qualche cosa di veramente pazzesco. Dopo tante parole decidemmo di fondare un centro culturale, quello che successivamente battezzammo Alcatraz. Una sera, alla fine prendemmo la decisione e ci accordammo per iniziare i lavori di ristrutturazione il mattino successivo, alle 9,30. Avevamo 9 mesi di tempo per restaurare 3 case. Il mattino dopo non arrivò nessuno.
Perché? Perché mi dici che vuoi farlo e poi sparisci?
Tutto questo discorso per dire che credo che le grandi imprese siano essenziali per il nostro benessere, proprio perché sono spaventose, rischiose, stressanti e faticosissime.
Ne hai bisogno.
E credo che le grandi imprese siano strane macchine che se le fai entrare nel tuo cervello te lo tonificano e te lo amplificano: la necessità aguzza l’ingegno.
Credo anche che siamo nel momento storico nel quale è enorme, e mai visto nel passato, il numero delle persone che si danno alle grandi imprese, all’avventura dell’arte, della creatività, della costruzione di manufatti ed eventi. Persone che vivono come un’avventura le relazioni con gli altri, la solidarietà, la cooperazione.
Non c’è niente che sia più rischioso del cooperare con gli altri.
E dobbiamo anche dire che visto che è pieno di persone che preferiscono rimuginare e lamentarsi e dare la colpa di tutto agli altri, ne deriva che il rischio delle imprese è ancora più massiccio.
Questo è il grande non detto della new age che per 30 anni ci ha per lo più venduto il miglioramento di sé attraverso pratiche individuali di ascolto e contemplazione. Cose bellissime, fondamentali. Ma non bastano. Perché se l’ascolto e la contemplazione non ti servono per caricare la tua molla interiore finisce che resti lì nella tua cameretta a fare OM e guardarti l’ombelico che si ammuffisce.
Siamo i discendenti di esseri che hanno colonizzato gli oceani, che si sono costruiti zampe pur di prendere possesso delle foreste, siamo di quella genìa che ha avuto il coraggio di sperimentare tutte le possibilità di essere, i nostri cugini rettili sono addirittura arrivati a volare. E anche i fratelli pipistrelli ci sono riusciti.
Ci siamo evoluti per eoni lottando per il diritto alla vita, abbiamo affrontato felini, serpenti, scorpioni e virus stronzissimi.
Siamo nati per volare con la mente, abbiamo in testa lo strumento di potere più immenso che si sia mai visto su questo pianeta, abbiamo a disposizione mezzi di comunicazione galattici.
E tu hai tutte queste possibilità, tutto questo coraggio ancestrale e non fai un cazzo?
Mi dispiace proprio tanto per te.
Ma questo articolo non ha lo scopo di menarla ai pessimisti spaventati per convincerli ad agire. Non credo di avere questo potere.
Questo articolo è rivolto a quelli come me, che hanno una fifa boia di fallire ma che non possono fare a meno di lottare.
A partire dagli articoli che ho pubblicato sul fatto che vincere è meglio sto ragionando sul fatto che il mondo potrebbe accelerare il suo naturale cambiamento verso il meglio; questo potrebbe succedere se le persone che hanno scelto l’arte del costruire grandi imprese come mantra esistenziale e sistema di cura delle emorroidi terrestri, capissero che vincere è proprio meglio; e che per farlo dobbiamo liberarci da alcune vecchie idee che in questo momento appestano la mente dei progressisti attivi.
Prima di tutto dobbiamo liberarci dal preconcetto di poter convincere i passivi a darsi una mossa.
Questo errore di giudizio nasce dalla grande idea di uguaglianza del ‘68. Sì, siamo tutti uguali per quanto riguarda i diritti. Ma non lo siamo, ahimè, per quanto riguarda il livello di resistenza interiore al miglioramento.
Milioni di persone hanno alle spalle storie di mancanze affettive, culturali, esperienziali che rappresentano scogli insormontabili.
È ora di comprenderlo.
Se veramente vogliamo fare qualche cosa di utile per tutti i viventi dobbiamo renderci conto che il primo passo è riuscire a incontrare quelle persone che già hanno scelto l’avventura. È quello che ho fatto negli ultimi anni: cercare di conoscere persone che stanno realizzando qualche cosa, offrire loro il mio appoggio incondizionato e poi vedere se c’è modo di collaborare con reciproco vantaggio.
E guarda che è un’impresa da far tremare i polsi perché incontri persone straordinarie, che ti riempiono la testa di idee e domande ma incontri anche delle teste di cazzo spaziali, che hanno deciso di dedicare le loro scarse energie vitali a stronzate abissali.
Non hai idea di quante persone sono arrivate ad Alcatraz a dirmi che hanno trovato il modo di salvare il mondo e che IO devo mettermi a fare tutto quello che loro mi dicono così da realizzare la loro idea (mentre loro se stanno a Forlì a lavorare in banca).
La mia proposta è: collaboriamo e diamoci anche dei sistemi per distinguere alla svelta chi c’è da chi non c’è.
Credo che ne trarremo vantaggi epocali.
Articolo tratto da People For Planet
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