Il time out istituzionale, che mette in pausa l’operatività, di suo farraginosa, lenta e fitta di veti incrociati del governo gialloverde, non è sintomo di normale patologia generata dall’emergenza che provoca abitualmente fibrillazioni fisiologiche della politica. L’Italia è in campagna elettorale dal marzo del 2018, alimentata da rivalità tutte interne al presunto accordo di governo, più che imperfetto per abissale estraneità ideologica dei contraenti. Di qui la manfrina di veti incrociati, i reciproci ricatti, sabotaggi. Nel contesto di anomalie cicliche della storia italiana postbellica si ascrive anche l’imprevedibile evento della clamorosa débâcle dei Dem a trazione renziana, che ha spalancato le porte di Montecitorio e Palazzo Madama a imberbi novizi della politica, inventati dal comico genovese con la consulenza di un anomalo guru qual è stato Casaleggio senior, e al Carroccio, reduce dalle disavventure della famiglia Bossi e preda del rapace Salvini.
Non è più tempo di sondaggi, nel rispetto della legge elettorale, ma c’è tra i politologi chi pronostica esiti sorprendenti, parzialmente annunciati dal ballottaggio nei comuni siciliani dove la Lega è stata sconfitta su tutto il fronte,e dalla “disavventura” di Legnano, cuore infartuato del salvinismo. Nei giorni successivi, il ministro globetrotter dell’Interno, a spasso nei cieli del Paese su aerei della polizia per raccattare voti, ha incontrato inaspettati episodi di contestazione da luogo a luogo dei comizi, in un crescendo che carica di suspence il voto del 26 maggio.
Si direbbe errato riandare con il pensiero al tempo di campagne elettorali intense, spesso violente, ma contenute generalmente in un paio di mesi, saturi di comizi, manifesti e tribune politiche Rai proposte nel rispetto, benché noioso, della parità tra contendenti. È altro lo scenario di questa eterna stagione dello scontro, mai interrotto dopo l’esito delle politiche 2018.
Il contorto, conflittuale rapporto dell’impossibile duopolio grillinleghista ha cancellato ogni traccia delle priorità propagandate negli emicicli di Montecitorio, Palazzo Madama e dintorni. Perfino la licenza politica del verbo s-governare appare inadeguata per il racconto di botte da orbi e colpi bassi scambiati sul ring di Palazzo Chigi dai Castore e Polluce assetati di potere personale e di partito.. L’inganno bilaterale si è consumato in danno degli italiani estranei alle tifoserie pentastellate, illuse dal perbenismo cinguettante del Di Maio pensiero (“onestà, onestà”) e alle suggestioni para mussoliniane in stile Carroccio (“Comando io”), culminate nell’’auto apologia dell’ “Io Salvini”, pubblicato dall’editore “sono fascista” espulso dal Salone di Torino per chiara apologia del Ventennio. È materia per dilettanti il gioco delle tre carte, ‘questa vince, questa perde’. Ben più spiazzante per l’italiano plagiato dai burattinai del governo gialloverde è la mistificazione spacciata per contratto di governo. Reddito di cittadinanza contro flat tax, Tav sì, tav no, accoglienza contro respingimenti, sovranismo contro populismo, ombrello mondiale russo ed empatia filo Usa, rabbiosi distinguo strumentali, scanditi da una lotta senza quartiere per la scalata al consenso dell’elettorato. Il motivo dominante della sanguinosa tenzone è l’alternarsi di spallate alle proposte altrui, in un crescendo a cui assiste annoiatissimo il popolo degli astensionisti (“destra e sinistra non esistono più, sono tutti uguali”).
UN DUELLO DA LACRIME E SANGUE
Il duello costa lacrime e sangue ai resti macilenti del renzismo e il Pd frana. Dall’inebriante del 40 per cento precipita nel baratro di un miserrimo 17/18 per cento e brancola bel buio, a occhi bendati, nell’attesa sconcertante di una rifondazione-utopia investita dall’impossibile impresa di completare il puzzle Pd con tessere incompatibili per forma e dimensione. La sinistra residuale assiste attonita, paralizzata allo scippo di antichi caposaldi rossi, da nord a sud, a defaillance a cui il Pci avrebbe reagito con analisi spietate di cause e responsabilità, per ripartire in fretta.
Morto un re, viva il re. Renzi si fa da parte il Nazareno non propone che traslocare Zingaretti dalla presidenza della regione Lazio alla segreteria Pd. Il suo popolo, frammentato, resta in attesa che il neo eletto dica cose di sinistra, ma basito assiste al pastrocchio della vittoria di Gela al ballottaggio con l’incredibile connubio democratici-Forza Italia. Non è un’unica anomalia. Per indurre la Lega al divorzio dai 5Stelle e contrastare il paventato matrimonio di una destra larga, da Lega a Fratelli d’Italia, con inclusione della scassatissima Forza Italia e chissà dei fascisti di Casa Pound, la Meloni e il malandato Berlusconi attaccano Salvini su tutto, perché capisca la convenienza a ospitarli sul carro del centrodestra.
VECCHIE SCHEGGE IN CAMPO
Sul fronte opposto va in fumo la speranza che Zingaretti mandi in soffitta il serial “quanto sono brutti e cattivi i gialloverdi” e provi a saldare i cocci della sinistra offrendole un progetto all’insegna della concretezza, con ampi margini di fattibilità. Nel pianeta una volta rosso sono visibili a occhio nudo i sintomi di sofferenze endemiche. Frammenti di comunismo abitano la casa minimale di Liberi e Uguali.
Altre schegge del dissenso propongono anacronisiche riesumazioni come un nuovo Partito Comunista e affini velleità sostenute da volenterosi nostalgici in grado di coinvolgere al massimo parenti e amici per la pelle. È più consistente perfino la truppa ex Almirante-Fini di Fratelli d’Italia e il Sudtiroler Volkspartei della minoranza più tedesca che italiana. Zingaretti, mostra i pugni e il bersaglio è un “contro i gialloverdi” strillato quanto vano e s’illude con così poco di riprendersi quote consistenti di esuli per lo più soggiogati dall’inedito inventato dal comico genovese e in parte catturati dal piglio belligerante dell’uomo forte al comando, mito storico degli italiani qualunque. L’opinione pubblica osserva basita quote non marginali della classe operaia irretita dal salvinismo, segmenti consolidati, ma disillusi della sinistra che accettano come normale l’incedere a passo di carica del leghismo, fino a concedergli la maglia rosa del giro d’Italia con traguardo il 26 maggio.
Al caso Sicilia, del sindaco di Gela eletto con i voti congiunti di Pd e Forza Italia, Zingaretti ha risposto con una smorfia di scontento, niente di più, incoscientemente cosciente di inciampi che troverà nel percorso del “tutti dentro” purché anti sovranisti e antagonisti del mini duce Salvini. Chi altri salterà sul carro in allestimento a guida ufficiale del segretario neoeletto e ufficiosa dell’elegantemente moderato Calenda?
L’ABBRACCIO MORTALE
Un preavviso rimbomba forte e chiaro con la prova genetrale di matrimonio tra l’evanescente Pd napoletano e il buono per tutte le stagioni, il Paolo Cirino Pomicino capitano di lungo corso che ha navigato a tratti galleggiando con il vento in poppa e in altre stagioni della politica nei mari in tempesta. Se questo pasticciaccio fosse il prototipo della strategia dem per tornare a partito dominante, ne vedremo di belle e ancor più di brutte. Gli sos, appelli al sacro fuoco dell’unità, finiscono per smarrirsi nel magma disomogeneo delle diversità, arcipelago dei senza patria politica che hanno inquinato l’identità della sinistra. Si tengono in disparte i guru rottamati, osservano con gli occhi della rivincita il balbettio dei successori, il faticoso recupero di uno, due punti percentuali strappati al nemico per il ritorno all’ovile di qualche pecorella smarrita, di pentiti della sinistra moderata provvisoriamente emigrati a destra nel presunto decisionismo della Lega o nel qualcosa di sinistra promesso dal comico genovese e dai suoi interpreti.
IL CASO NAPOLI
Sullo sfondo si arrabatta il popolo degli scontenti, dei nostalgici, dei “Eh, quando c’era Berlinguer”, dei sognatori stanziali, eternamente in attesa di un capo carismatico che assecondi la confortevole pigrizia di armiamoci e partite”, che condivida, ma trasformi in positivo gli sterili i lamenti del tipo “Renzi? Dio ce ne liberi”, “Bersani, D’Alema, Del Rio, Minniti? Pre pensioniamolio”, quelli che se gli concedi “Concordo, Tizio non ci sta bene, caio neppure, sempronio meno che mai e…allora?”, ammettono che il leader massino all’orizzonte della sinistra non c’è e senza leader si va a ramengo. Le prove del nove non mancano. Napoli, un esempio per tutti, è governata dall’arancione De Magistris. A torto o a ragione, nel rispetto di uno stile di comportamento antagonista e a prescindere da meriti e demeriti, il ‘popolo’ mostra il pollice in basso, ma non va oltre e se gli si chiede, “D’accordo, allora chi al posto del sindaco, del segretario generale del partito, del presidente di questo e quello?” in risposta c’ è solo il silenzio del nulla.
Per rimanere al caso Napoli, circola il rumor di un’inevitabile candidatura a sindaco di Bassolino, per accertato vuoto di alternative. Traslato a dimensione nazionale, non è necessaria un’indagine demoscopica per capite che Zingaretti è la soluzione di ripiego per coprire in qualche modo la prossimità del 26 maggio, quando il voto, anche senza esiti sorprendenti, dovrebbe sciogliere il tossico sodalizio grillin-leghista per sfogliare aprire il libro delle incognite, impegnative come la partita a scacchi di un principiante con il campione del mondo Magnus Carlsen.
PROMESSE, PROMESSE
Nella gara a chi le spara più grosse non si risparmia nessuno e se Di Maio promette un miliardo per le famiglie, Zingaretti, senza vergognarsene estrae dal cappello a cilindro un fantasioso “Piano Italia” che prevede di concedere uno stipendio in più a 20 milioni di italiani e poi istruzione a costo zero per le famiglie a basso reddito e, tanto che sosta annunciarlo, investimenti per 50 miliardi. Il Salvini del “me ne frego del deficit”, giura di tagliare gli oneri fiscali, Lega e 5 Stelle sono allo sprint per proporsi primi il traguardo del bonus baby. Achille Lauro (pacchi di pasta in cambio di voti, una scarpa prima, una dopo un voto al partito monarchico) appare oggi come un ingenuo dilettante del voto di scambio (vedi il sistema Legnano). Bugie su bugie nascondono il dato ineluttabile che per non correre verso il default il governo dovrà aumentare l’Iva con pesanti conseguenze sul bilancio delle famiglie italiane. Di Maio nega, Salvini pure, Conte dice forse, ma non lo esclude.
CARTE CONOSCIUTE
Chi concorre ai 73 seggi del Parlamento europeo che spettano all’Italia? Le liste in gara sono 15: Movimento 5 Stelle, Partito Animalista, Popolari per l’Italia, Il popolo della famiglia, Partito Comunista, Forza Nuova, Europa Verde, La Sinistra, Destre Unite, Fratelli d’Italia, Lega, Pd, + Europa – Italia, Forza Italia, Partito Pirata. Di quest’ultimo, perché gli altri come dicono a Napoli, sono carte conosciute, esploriamo il prologo del programma in 16 articolati punti, che fanno impallidire gli rituali e scontati schematismi di big come il Pd e il suo fantasioso Piano Italia, il sovranismo della Lega, la velleitaria teoria restauratrice dell’Europa in chiave Berlusconi, le incursioni apologetiche dei neofascisti.
ODDIO I PIRATI
Prologo dei Pirati: Libertà, conoscenza, prosperità. I fondamenti del progetto, ampiamente dettagliati, meritano di essere assimilati e strutturati in un compendio, che trasferito in operatività, somiglia molto alla terza rivoluzione mondiale: “L’odierna Unione Europea (UE) come istituzione sovranazionale è un progetto dei suoi Stati membri piuttosto che dei cittadini. I pirati ritengono che l’Europa debba essere organizzata nell’interesse comune di tutti i cittadini europei, come negli interessi degli Stati membri. I pirati nell’Unione Europea hanno adottato questo programma elettorale e si sforzano insieme di rendere la nostra visione dell’Unione una realtà. Il deficit democratico all’interno dell’Unione europea esiste dalla sua costituzione e non è stato sufficientemente affrontato nel corso del processo di integrazione.
Un obiettivo importante di tutti i pirati è quello di costruire una solida base democratica per l’Unione. Per raggiungere tale obiettivo è fondamentale garantire che i processi politici siano più favorevoli ai cittadini. Insieme dobbiamo incoraggiare lo sviluppo di uno spazio europeo comune per la cultura, la politica e la società per proteggere le ricche e diverse culture esistenti all’interno dell’Unione. L’Unione europea deve essere all’altezza dei propri principi di sussidiarietà. Le decisioni non dovrebbero essere prese a livello comunitario se possono essere risolte meglio a livello nazionale, regionale o locale. Un accesso equo e facile alla comunicazione e una cittadinanza informata sono requisiti fondamentali nel processo decisionale democratico legittimo. Le decisioni politiche a livello europeo devono essere precedute da un dibattito su scala europea e consentire un’adeguata partecipazione di tutti. I pirati credono fermamente che tutti debbano avere il diritto a un trattamento equo e paritario. E’ essenziale che la società rispetti i diritti delle minoranze. Ci opporremo a qualsiasi tipo di discriminazione e a movimenti che agiscono contro i diritti umani. Internet come mezzo di comunicazione offre enormi opportunità di sviluppo politico, superando la comunicazione dall’alto verso il basso e a senso unico. I pirati difenderanno quindi la libertà di Internet con grande determinazione a livello europeo e mondiale”. Di che parliamo? Il Partito Pirata include una serie di movimenti politici diffusi in numerosi Paesi che hanno in comune il rafforzamento dei diritti civili, maggiori istituti di democrazia liquida, la riforma del diritto d’autore e dei brevetti, la libertà di circolazione della conoscenza, la protezione dei dati personali, trasparenza e libertà ‘espressione, educazione libera. Il Partito Pirata Europeo è l’organizzazione europea che unisce i partiti pirata nei Paesi dell’Unione europea. Fondato nel 2013 ha come scopo la collaborazione dei vari partiti pirata nell’ambito delle attività nell’Unione Europea e nelle elezioni europee. Il Partito Pirata italiano, fondato nel 2006 collabora di volta in volta con diversi partiti della sinistra italiana. Nel 2019 è in corsa per le elezioni europee di Maggio con proprie liste e candidati in tutte e 5 le circoscrizioni.
MA TUTTO QUESTO TERESA NON LO SA
Come premessa, niente da dire e i contenuti sono di pari qualità, ma Teresa non lo saprà mai. Lei è una brava donna, timorata di Dio, cresciuta a casa e chiesa, pacificamente assuefatta al ruolo di ‘ma che brava massaia’, riconosciuto dal marito padrone, per Dna affine dai tre figli maschi e perfino da don Oreste, in corso di confessione conclusa con un rassicurante “Teresa, ringrazi iddio, è in buona salute e ha una bella famiglia…ego te assolvo…”. La Teresa elettrice ha poche certezze mentre rigira tra le mani la scheda del voto di Maggio, ma non ha dubbi sul dovere di recarsi alle urne, rispettato da sempre. Al tempo del primo voto l’hanno spaventata: “Non votare sporca la fedina penale, è una grave inadempienza civile”. I due figli sono in età di voto, l’uno e l’altro politicamente iperattivi, ma su fronti contrapposti. Carlo, agnostico fino ai 15 anni, tendenzialmente svogliato, ma attento a intercettare quanto riesce a esaltare l’innata vocazione a esplorare il sociale della metropoli in cui si muove con difficoltà, vive con effetti imprevisti il feeling con il nuovo insegnate di filosofia, che non fa mistero di essere un comunista integralista.
“Guarda mamma, quando sarai in cabina apri la scheda e metti una croce su questo simbolo, vedi, dove c’è una bandiera rossa e c’è scritto La Sinistra”.
Ernesto frequenta l’Università privata a conduzione religiosa. Don Bruno insegna matematica ed è stato scelto dal rettore per indagare sull’orientamento politico degli studenti e indirizzarli per il voto alla lista del Pd, che voci del Vaticano indicano come suggerita da papa Francesco.
Dalla cassetta delle lettere sporgono dei foglietti arrotolati. Teresa li infila nella busta della spesa, che svuota in cucina. Seguita da tre punti esclamativi, su un lato del volantino, campeggia la scritta “L’Italia agli italiani. “Se no a chi” pensa la donna e si immagina nella cabina del seggio 43, al riparo della pesante tenda blu, nell’atto di condividere con un segno di croce il simbolo di chi protegge l’italianità. “Ma sì, Salvini”.
MAGISTRATURA IN CAMPO
26 Maggio 2019, Quante Terese e quanti elettori a lei simili, eserciteranno il poco consapevole diritto-dovere di voto emotivamente eterodiretti da abili e per nulla occulti persuasori? È complicato il crittogramma e deve risolverlo l’Italia del surreale consenso al grillinleghismo. Il count down di qui al 26 è scandito da quella che i politici sotto tiro della magistratura e dei media definiscono giustizia a orologeria, ovvero missili lanciati in sospetta contemporaneità con le fasi convulse della campagna elettorale. Che siano espressione di complotti è da dimostrare, ma non è così distante dal vero l’ipotesi di abbreviate conclusioni processuali per dare sostanza al taglio moralizzatore delle sentenze. Tra le ultime vicende giudiziarie è rilevante l’iniziativa della Corte dei Conti del Lazio che ipotizza l’abuso di potere di Salvini. In veste di capo della Lega, ruolo estraneo agli impegni istituzionali di vice premier, avrebbe utilizzato aerei ed elicotteri della Polizia e dei vigili del fuoco per velocizzare il suo attivismo di comiziante full time. Sotto esame una ventina di voli.
Al Pd non sembra vero il favore ricevuto dal principale avversario nella competizione ravvicinata delle elezioni europee e condisce il je accuse con un esplicito riferimento all’assenteismo parlamentare di Salvini, con l’aggravante di aver disertato la sede istituzionale-operativa del Viminale. L’indagine della Corte dei Conti è stata sollecitata dall’inchiesta del quotidiano la Repubblica, a sua volta allertato da un dettagliato resoconto di Milena Gabanelli all’interno di un’edizione del Tg di Mentana. Enrico Rossi, governatore Pd della Toscana: “Il ministro degli Interni non sta mai al lavoro e gira il Paese per i suoi comizi con aerei pagati dagli italiani. Salvini, in chiave autoreferenziale, afferma che le prossime elezioni saranno un referendum su di lui. Prendiamolo sul serio e mandiamolo a casa”. Di giustizia a orologeria sarebbero vittime il double face presidente siciliano della Confindustria, ex paladino dell’antimafia, condannato per collusione con le cosche e il collega lombardo accusato di aver illecitamente finanziato con 31mila euro la campagna elettorale dell’eurodeputata Laura Comi di Forza Italia per una consulenza mai esercitata e spacciata per tale, ma frutto del copia-incolla di una tesi di laurea presentata alla Luiss da un certo Apuzza, avellinese, che scoperto il plagio, sembra intenzionato a intraprendere un’azione legale contro il furto.
Sotto esame anche un’altra consulenza di 38mila euro assegnata a una società riconducibile alla Comi, pupilla di Berlusconi e agguerrita protagonista di dibattiti televisivi in quota Forza Italia, ma anche refrattaria alle regole della Ue, che vietano di assumere parenti. La Comi arruolò la madre come assistente. Per non tralasciare nulla del subbuglio pre elettorale è indagato per abuso d’ufficio Fontana, governatore della Lombardia. Inchiesta sulle tangenti: Sala, sindaco Pd di Milano, è stato condannato in primo grado per aver retrodatato documenti relativi all’Expo, altrimenti inefficaci. Sotto a chi tocca.
Mentre questa nota si avvia a conclusione questa nota, deflagra la notizia che scuote dalle fondamenta la roccaforte del Carroccio. Arresti domiciliari per il sindaco di Legnano Gianbattista Fratus, esponente non secondario della Lega. L’accusa: tangenti e corruzione elettorale. Il funambolo Salvini commenta: “Fiducia nei miei uomini e nei magistrati” Con Fratus ai domiciliari anche l’assessora alle opere pubbliche e in carcere il vicesindaco. L’indagine della Guardia di finanza ha un nome, “Piazza pulita”. Legnano, per chi non ne avesse consapevolezza è cuore testa della Lega. Nella scansione rinnovata di Repubblica, le pagine di Napoli sono centrali e una con titolo a tutta pagina racconta il contagio virale delle contestazioni al girovagare di Salvini in cerca di voti per il 26 maggio. La tappa napoletana gli ha riservato un’accoglienza passionale, vulcanica, dipinta sugli striscioni a caratteri maiuscoli perché li leggesse facilmente: “Napoli non ti vuole, Salvini statt a casa”, “Napoli non si lega. Salvini via da Napoli”, “Salvini i terroni non dimenticano”, “Mai con Salvini” “Restituisci i 49 milioni di euro. Vattene”, “Cerchi i voti del sud per portarli al nord”, “Napoli ti odia, non abbiamo bisogno di sciacalli”.
L’incognita: la contestazione che monta è il significativo incipit di ripudio del leghismo o un estemporaneo attestato di ostilità pre elettorale? Lo sapremo solo nei giorni a venire, oltrepassata la lettura del voto.
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