ENI / LA BUFERA NIGERIANA

Pioggia di mandati d’arresto, in Nigeria, per il maxi scandalo delle tangenti petrolifere: nel mirino due ex ministri e alcuni dirigenti di big internazionali come Eni e Shell.

Il vertice Eni coinvolto è Roberto Casula, già salito alla ribalta delle cronache giudiziarie a Milano, dove la procura da anni ha avviato un’analoga maxi inchiesta per “corruzione internazionale”. Stavolta sotto i riflettori, oltre a Casula, l’attuale numero uno del Cane a sei zampe Claudio Descalzi (all’epoca dei fatti nigeriani, nel 2011, direttore della strategica divisione Eni Exploration and Production), l’ex amministratore delegato Paolo Scaroni (oggi plenipotenziario del fondo statunitense Elliott in Europa e presidente del Milan), nonché l’omologo di Descalzi in Shell, Malcon Brinded, ex direttore esecutivo di Exploration and Production per la multinazionale.

Roberto Casula

I mandati di arresto sono stati comunicati dalla Commissione nigeriana sui crimini economici e finanziari. I politici “wanted” sono l’ex ministro per il Petrolio Don Etete e l’ex ministro per la Giustizia Mohammed Atoke, i quali “devono essere arrestati ovunque si trovino”. Il provvedimento, viene precisato, è stato preso in conseguenza di una decisione del tribunale di Abuja.

Si è trattato di un’operazione mazzettara da 1,3 miliardi di dollari, che ha sollevato non pochi filoni giudiziari d’inchiesta in diverse parti del mondo, con una marea di contenziosi. Al centro dell’affare, il campo petrolifero OPL-245 che era di proprietà della Malabu Oil and Gas.

Non è certo l’unica rogna in casa Eni, che deve vedersela con pesanti inchieste giudiziarie e processi anche sul fronte algerino e, soprattutto, brasiliano. A Milano, infatti, la procura indaga sempre per corruzione internazionale, mentre in Brasile la Mani pulite verdeoro, “Lava Jato”, ha decapitato mezza classe politica, di governo e di opposizione, a cominciare dai tre ultimi presidente Lula da Siva, Roussef e Temer.

Nella tangente del secolo carioca – accertati 5 miliardi, con la possibilità di arrivare alla stratosferica quota 20 miliardi – sono impelagate anche la collegata (dell’Eni) Saipem e la Techint del gruppo che fa capo a Gianfelice e Paolo Rocca.

Del tutto oscurata la notizia dei mandati d’arresto nigeriani dai grossi media di casa nostra, come se il fatto non esistesse. A darla per prima, a livello internazionale, l’agenzia Reuters.


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