Vivisezione, la inutile crudeltà della sperimentazione animale. Ne parla in un fresco di stampa Giulio Tarro, entrato per due volte nella cinquina del Nobel per la Medicina, proclamato nel 2018 a New York migliore virologo al mondo, grande esperto di vaccini che consiglia sempre di usare con grande precauzione e consapevolezza, perché si tratta di “farmaci” e non di acqua calda.
Uno scienziato mai allineato con il potere delle baronie scientifiche e di Big Pharma, per una ricerca, una scienza e una medicina al servizio dei cittadini, delle creature e non degli affari a molto zeri dei mondi industriali e accademici, regolarmente gemellati in percorsi che se ne fregano altamente di salute & diritti.
E così fa, Tarro, anche in questa opera, “Una medicina per la gente – Dal male oscuro alla imposizione delle vaccinazioni”, una sorta di ideale seguito al “Dieci cose da sapere sui vaccini” di un anno fa.
Ora Tarro, in una splendida narrazione, riesce a coniugare il lato umano – la sua esperienza di ricercatore per una vita – con quello scientifico, per divulgare in modo chiaro e spiegare ai lettori questioni complesse solo per chi vuol renderle tali: ossia quei Soloni arroccati nelle loro torri d’avorio, i quali sono certi che il Verbo spetti solo a loro. Come fa Roberto Burioni, il massone (il suo nome è tra gli iscritti del Grande Oriente d’Italia) in palese conflitto d’interessi (brevetta vaccini per grosse case farmaceutiche) secondo cui sono tutti “Somari” e solo a lui e ai suoi discepoli (sic) spetta la Parola.
Con la semplicità e la chiarezza dei grandi, Tarro spiega a quel popolo giudicato indegno da un Burioni qualsiasi, tutto quello che sa sui vaccini (e lo abbiamo visto in un’inchiesta precedente) e, ad esempio, anche sulla sperimentazione animale, alias vivisezione.
Un tema al quale la Voce ha dedicato sempre una grande attenzione, contestando, per fare un solo esempio, le incredibili tesi di una farmacologa (e/o farmacista) nonché senatrice a vita, Elena Cattaneo, secondo cui “senza la sperimentazione animale la medicina muore, non esiste più”.
Non rendendosi conto (o facendo finta di non sapere) che – come sostiene da anni il cofondatore del Movimento Antispecista Bruno Fedi – a parte ogni aspetto morale la vivisezione è totalmente inutile (perchè i suoi risultati non sono trasferibili a livello umano), antiscientifica, contro ogni progresso per la medicina.
Tesa solo a foraggiare da un lato Big Pharma e dall’altro quei laboratori che si nutrono solo a botte di milioni pubblici stanziati per la sperimentazione animale, alias vivisezione.
LEZIONE DI VITA E DI RICERCA
Ma le parole di Tarro, che ora leggiamo, valgono più di ogni spiegazione, di ogni manuale. Perché centrano al cuore il problema, sia sotto il profilo umano che scientifico. Una vera lezione, di vita e di scienza.
Esordisce il virologo con il racconto di Venerina.
“Quando incontrai Venerina era il 1972; lo ricordo come se fosse oggi. Era una gelida domenica di gennaio e tornavo dall’Olanda dove avevo partecipato a non so più quale simposio scientifico. Stanco morto, ero appena entrato a casa che lei mi accolse con un ‘Miao’ pieno di irritazione, come se avessi fatto tardi a prepararle la cena. Come tutti i pignoli, ho la fisima di controllare la chiusura di tutte le finestre prima di uscire e, sbalordito, stavo per domandarmi da dove diavolo fosse entrata quella gatta che quella esplose con un altro ‘Miao’. Irritato mi guardai intorno per decidere il da farsi. Una gatta: figuriamoci! Con tutti gli impegni e i congressi che mi occupavano fuori casa, di certo non avrei trovato neanche un minuto per… Comunque, mi ricordai, in frigorifero c’era ancora una scatoletta di tonno. Ma si. Una bella mangiata di tonno e poi ‘quella’ è la porta… Ovviamente non è andata così”.
Prosegue il racconto: “Ancora oggi, mi commuovo se penso ai quei tredici anni passati con Venerina. (…) Allora non facevo parte del movimento antivivisezionista e, come praticamente tutti i miei colleghi, ritenevo del tutto ovvio sacrificare animali alla ricerca medica: montagne di cavie, topi, conigli, cani e gatti. E se qualche ricercatore fosse stato attraversato da dubbi o, addirittura, scrupoli poteva sempre rifugiarsi nella Verità decretata dalla Scienza Ufficiale che bollava allora come eresia qualsiasi tentativo di eliminare o ridurre il sacrificio degli animali nella ricerca scientifica”. Tornando a Venerina, “c’era in noi due una indissolubile unità, una comunione, creata dall’essere entrambi un prodotto dell’universo: le stelle, le ceneri di queste, gli elementi, le molecole. La Vita”.
Continua Tarro: “Un giorno in laboratorio mi ritrovai per due ore, sotto gli occhi sbalorditi dei miei colleghi, a cercare di rianimare un furetto. Quella cavia di laboratorio stava morendo per un attacco cardiaco provocato dalla insolita reazione a non so più quale sostanza che gli avevano iniettato. Una ‘interessante’ reazione che forse, secondo i dettami dell’allora imperante Medicina, avremmo dovuto limitarci a trascrivere su qualche protocollo di laboratorio o, ancora meglio, su un articolo da pubblicare su qualche rivista scientifica per garantirci così un altro passettino verso una luminosa carriera accademica”.
“Così non fu. E dopo due ore di tentativi, glissai i miei colleghi che, guardandomi con commiserazione, non osavano domandarmi perché avevo mai speso due ore della mia attività di ricercatore per salvare un furetto destinato, al pari dei suoi simili nello stabulario, a morire in ogni caso. Mi inventai un malessere, e me ne stetti a casa ad accarezzare Venerina”.
IL NO DI ALBERT SABIN ALLA VIVISEZIONE
Il virologo rammenta quindi il clamoroso caso, all’epoca, del Talidomide, che provocò nei feti gravissime malformazioni, oltre 10 mila casi: si trattava di un prodotto che era stato sperimentato ovviamente sulle cavie.
“Iniziarono così ad apparire nel mondo accademico i primi, timidi dubbi sulla validità della sperimentazione animale. E fu proprio in quei giorni che lessi la dichiarazione di uno scienziato che, qualche anno più tardi, avrebbe cambiato la mia vita, Albert Sabin, l’inventore del vaccino contro la poliomielite. ‘L’invenzione del vaccino contro la poliomielite è stata a lungo ritardata per via della concezione errata della natura della malattia nell’uomo, che era basata su modelli sperimentali fuorvianti della malattia stessa nelle scimmie. I primi vaccini contro la rabbia e la polio funzionarono bene sugli animali ma storpiarono o uccisero i pazienti a cui furono somministrati’. E poi aggiungeva: ‘Perchè sono contro la vivisezione? Il motivo principale è che si tratta di cattiva scienza che produce parecchi dati fuorvianti e disorientanti, pericolosi per la salute umana. E’ anche uno spreco del danaro dei contribuenti prendere animali sani e causare loro – artificialmente o con la violenza – malattie che normalmente non svilupperebbero o che svilupperebbero in forma diversa, quando disponiamo già di persone malate che possono essere studiate in fase di cura”.
Concetti chiari, lampanti, comprensibili da chiunque. Eppure i “Soloni” di casa nostra, i ricercatori tanto al brevetto non ci stanno. E continuano ad alcolizzare scimmiette che non hanno mai bevuto un bicchiere di vino mentre abbondano purtroppo gli alcolisti, oppure drogare topolini che non hanno mai fumato uno spinello, quando al mondo esistono tante vite spezzate da coca ed eroina. Tanto per vedere sulle cavie indifese l’effetto che fa e incassare danari con la pala per la “malaricerca”.
La narrazione prosegue fluida. “Ce n’era abbastanza per dare un nuovo corso al mio lavoro di ricercatore. Anche perché cominciavo a rendermi conto che buona parte delle cosiddette pubblicazioni scientifiche, basate sul sacrificio degli animali, erano assolutamente inutili riproponendo, per lo più, esperimenti fatti e rifatti già centinaia di volte. Esperimenti finalizzati esclusivamente per una qualche pubblicazione, per rimpinguare un qualche curriculum. Comunque, per me, queste che sono oggi diventate strutturate convinzioni, erano allora un mero stato d’animo, un impalpabile malessere nel vedere innumerevoli cavie soffrire e morire. Cercavo di condividere le mie perplessità con qualche collega, ma finivo per fare il vuoto intorno a me; parlare di diritti degli animali in un laboratorio di ricerca sembrava, allora, più che un’eresia, un’assurdità. Posso assicurare che allora, negli anni ’80, per un ricercatore impegnarsi con temerarietà in questo campo significava bisticciare con i colleghi, perdere finanziamenti, dire addio a progetti di ricerca. Per fortuna sono testardo. E poi mi piace discutere, convincere la gente. Cominciai a scrivere articoli per associazioni animaliste e a tenere conferenze. Tutte correlate all’immancabile domanda: ‘ Ma professore, è meglio che muoia una scimmia o un bambino?’”.
ESERCITI DI CAVIE, PERFETTO STILE NAZI
Lo scienziato fornisce degli importanti ragguagli sulla storia della ‘vivisezione animale’, che “come fondamento della ricerca medica umana si è diffusa, sostanzialmente, per ‘merito’ di un medico francese, Claude Bernard (1813.1878). Sulla sostanziale fallacia dei suoi crudeli esperimenti non credo valla la pena qui di soffermarsi; basti ricordare che due dei suoi assistenti, George Hoggan e Arthur de Noe Walker, lasciarono inorriditi il suo laboratorio e fondarono la prima associazione contro la vivisezione”.
“Sono stato anche io vittima di questo ostracismo, della boria di tanti miei colleghi, qualche anno fa quando, a fianco di uno sparuto gruppo di ‘animalisti’, mi impegnai contro una sciagurata iniziativa della Comunità Europea: il Progetto REARCH. La finalità di REARCH (Registration, Evaluation and Authorisation) era certamente condivisibile: testare la eventuale tossicità di sostanze chimiche immesse sul mercato prima del 1981”. Il tutto “utilizzando animali di laboratorio”.
Prosegue Tarro a proposito della contestata normativa comunitaria e soprattutto sul gigantesco numero di cavie da utilizzare: “sarebbero serviti da 13 a 50 milioni di animali: una montagna di topolini, conigli, cani e gatti che avrebbero dovuto inalare sostanze tossiche, o vedersele iniettare nelle vene, o pompate nello stomaco, o spalmate sulla pelle nuda, o spruzzate negli occhi. E il tutto con la benedizione della Scienza”.
Ancora. “Il nostro Paese, che pure non brilla nel panorama internazionale per la ricerca medica, è, tra i paesi occidentali, il fanalino di coda nei diritti degli animali ‘da laboratorio’. E ciò nonostante una serie di ‘innovative’ normative che dovrebbero rigidamente regolamentare la vivisezione e garantire addirittura l’obiezione di coscienza a medici, ricercatori, personale sanitario, studenti universitari…. Il problema, tanto per cambiare, è che non esiste in Italia un efficace controllo che eviti agli animali inutili sofferenze e le autorizzazioni alla vivisezione, di fatto, vengono concesse automaticamente. Non resta, quindi, oltre che attrezzarsi per far rispettare la legge (e le, speriamo, imminenti nuove normative ora in discussione in Parlamento che prevedono il divieto di uso di animali nella didattica, nei test per la produzione di cosmetici e di anticorpi monoclonali tramite l’induzione dell’ascite…), sensibilizzare il mondo scientifico al problema”.
Sul fronte dei “metodi alternativi”, l’unica vera via d’uscita dalla vivisezione, la vera strada da battere per il progresso nella ricerca e nelle cure mediche (con staminali, bioingegneria e via di questo passo), commenta Tarro: “Le metodologie alternative alla sperimentazione animale stanno diventando popolari, con buona pace di un ‘autorevole’ esponente del mondo farmacologico italiano, che continua a considerarle un ‘anatema’ e un ‘moderno oscurantismo’. Il primo organico studio sui metodi alternativi risale al 1959 grazie a due ricercatori, Russel e Burch, e al loro metodo, comunemente definito delle 3R: Refinement (Raffinamento), Reduction (Riduzione), Replacement (Rimpiazzamento)”.
CONTRO IGNORANZA, INDIFFERENZA & BARONIE
Ma eccoci all’interrogativo base. Si chiede e chiede Tarro: “Perché mai, nonostante la sua fallacia, la vivisezione continua ad avere un posto di riguardo nei laboratori? Un piccolo esempio. Non molto tempo fa, ad un convegno sulle infezioni in ambito marino, mi capitò di ascoltare un biologo di una ASL che relazionava sui testi di salubrità sui molluschi; effettuati dalla Asl iniettando biotossine algali nell’addome di topolini (detti ‘Mba Mouse bioassay’). Se su tre topolini sottoposti a test almeno uno moriva, i molluschi venivano considerati non commestibili; altrimenti erano ok. In ogni caso, terminato l’esperimento, tutti e tre i topolini venivano uccisi. L’affidabilità di questo esperimento è a dir poco discutibile; già nel 1980 la Germania lo ha abolito e, da anni, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare suggerisce una più affidabile tecnica di indagine. Chiacchierando con il biologo della Asl durante la pausa caffè mi venne quindi spontaneo domandargli perché mai la sua Asl insistesse con i test con le cavie. MI rispose con un mezzo sorrisetto: ‘ Si è sempre fatto così’”.
Così conclude Tarro il capitolo dedicato alla vivisezione: “Di solito sono un tipo tranquillo, addirittura bonario; ma posso garantirvi che quella volta se non avessi fatto immani sforzi per trattenermi, avrei riempito di improperi il tizio della Asl che, tra l’altro, dovette accorgersi del mio stato d’animo affrettandosi, dopo qualche frase di circostanza, con ancora in mano la tazzina di caffè, a dileguarsi tra la folla del convegno. Perché la mia reazione? Forse perché, vivisezione a parte, avevo visto nel tizio, più che pigrizia mentale, quel misto di ignoranza e indifferenza per le sorti degli altri che resta l’emblema di una certa baronia scientifica e accademica; una baronia sempre bramosa di dominio e privilegi, che ho sempre cercato di sconfiggere”.
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