Va e vieni del marocchino
Con enfasi tipicamente ministeriale, adatta a presunti successi istituzionali, Renzi, Alfano e funzionari delle forze dell’ordine, hanno adoperato l’amplificazione dei media per dichiarazioni di autostima per efficienza nel caso dell’arresto che ha portato in carcere il marocchino ritenuto mandante e forse esecutore dell’attentato al museo africano del Bardo e della morte di innocenti turisti. L’incredibile ricostruzione dell’accaduto sembra svilire il compiacimento del governo che, per bocca del presidente del consiglio, ha reso omaggio agli autori dell’arresto, definiti “nostri eroi”. Le cose sono andate nella direzione opposta e lo rivela proprio il racconto di Alfano. Il marocchino in questione, sbarcato sulla coste italiane con altri 90 migranti fu infatti espulso dal nostro Paese perché evidentemente ritenuto pericoloso. Ma è rientrato e, considerato il precedente, come mai non è stato fermato di nuovo? In altre parole, l’autore della strage del Bardo sarebbe entrato e uscito dall’Italia a suo piacimento. L’eroismo dei nostri “zero-zero-sette” dov’è?
Napoli, aeroporto di Capodichino, 19 maggio 2015
Il volo British Airways da Londra Gatwick a Napoli Capodichino delle 15 è pronto in pista decollare con precisione cronometrica proprio alle 15 in punto. A bordo più italiani in rientro che inglesi alla scoperta delle meraviglie di Partenope raccontate da guide turistiche, videopromozionali e noti film. Trascorrono i minuti, prima dieci, poi quindici, venti, venticinque e l’airbus romba sempre in stand by. Il comandante, solo in inglese, dunque per un quarto dei passeggeri, giustifica il perché del ritardo che, si fosse verificato a Napoli, avrebbe suscitato indignazione e proteste. Qui niente, perché siamo nella perfettissima Great Britain…L’atterraggio a Napoli subisce le conseguenze del ritardo ma gli intoppi non finiscono qui. Con l’aereo fermo in pista la porta exit rimane chiusa per un tempo intollerabile che una biondissima hostess attribuisce al mancato arrivo del bus di collegamento con la sala arrivi. Fine dei disagi? Non ancora. L’accesso al controllo passaporti è la sorpresa finale. Nell’atrio che precede i posti di polizia si forma un aggregato di passeggeri, molto più di cento, impedito a disporsi in fila perché il corridoio di avvicinamento al funzionario di polizia è uno solo e intasato senza un ordine qualunque, praticamente un imbuto. La processione per entrarci è caotica, ma soprattutto lentissima. Dietro il vetro della cabina, il poliziotto fa quel che può ma ha due mani e due occhi e soprattutto è solo. “Scusi, come mai la postazione accanto alla sua è vuota e lei è solo?” “Siete napoletano, non sapete come vanno queste cose?” “No, me lo dica lei” “Mancanza di personale”. E’ così, si oscura il mito di un aeroporto che, ristrutturato con intelligenza architettonica, tecnologie di avanguardia, efficienza e buon gusto, si perde per un’inezia e con l’inevitabile, sonora contestazione dei viaggiatori napoletani (“Napoli? Bellissima, ma è un paesone”) e l’altra ovviamente silenziosa degli inglesi, in puro stile britannico. Lettera al Questore di Napoli, da cui dipende il servizio di controllo passaporti: “Ma lei, è amico del giaguaro?”
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