Botti da novanta sulla strage di via D’Amelio. Ai microfoni di “Che tempo che fa”, Fiammetta Borsellino denuncia con forza straziante tutti i buchi nell’inchiesta, punta l’indice contro gli inquirenti che non hanno voluto vedere e soprattutto indica nel dossier “Mafia appalti” il nodo insabbiato e invece movente principale di quella strage, ancora oggi senza colpevoli.
Secondo botto. A Roma una verbalizzazione esplosiva, quella del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, il quale racconta come addirittura 21 anni fa, nel carcere dell’Aquila, aveva già svelato il taroccamento del falso pentito Vincenzo Scarantino e la pista fasulla seguita dai magistrati, a due big delle istituzioni: l’allora procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna e il suo vice, Piero Grasso, che ne prenderà il posto per poi tuffarsi in politica. Per la serie: sapevano e non hanno mosso un dito.
Partiamo da quest’ultima, incredibile vicenda, che la dice lunga sullo stato comatoso – e già da decenni – della giustizia di casa nostra.
Si trattò di un cosiddetto “colloquio investigativo”, quello tra gli “interroganti” Grasso e Vigna e il picciotto Spatuzza, soprattutto per sondare la possibilità di arruolarlo tra i collaboratori di giustizia. Colloqui non possono essere utilizzati a fini processuali, ma risultare molto utili per trovare nuovi elementi e aprire nuove piste investigative. Il colloquio clou si svolse nel carcere dell’Aquila il 26 giugno 1998, ma si desume dal contesto che non si trattava certo del primo.
A Spatuzza venne chiesto di Scarantino. Dalla lettura del verbale risulta in modo chiarissimo che Spatuzza scagionò totalmente sia Scarantino che gli altri indagati e poi ingiustamente condannati (scontando 16 anni).
Chiese esplicitamente Grasso: “Scarantino che c’entra?”.
E rispose Spatuzza: “Non esiste completamente”.
Ecco un commento espresso dall’ex procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari: “Certo, leggendo ora quel verbale qualche rammarico viene. Forse se si fosse battuta quella pista qualcosa sarebbe venuta fuori prima e quegli innocenti non sarebbero andati in galera”. Solo qualche rammarico…
Va ricordato per sommi capi come nacque il “caso Scarantino”. Tutta la colpa, oggi, viene scaricata sull’ex capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, incaricato delle prime indagini. Di tutta evidenza, comunque, pur sempre alle “dipendenze” della magistratura inquirente.
Il primo fascicolo venne assegnato a due toghe, Anna Maria Palma (all’epoca considerata una ‘toga rossa’, dopo molti anni passata come gapo di gabinetto nel Senato retto da Renato Schifani) e Carmine Petralia; pochi mesi dopo affiancati dall’oggi mitico Nino De Matteo, allora pm di primo pelo, del quale oggi dice Fiammetta: “perchè affidargli un caso del genere se non era esperto di mafia?”.
E nessuno tra gli inquirenti ha mai tenuto in considerazione le parole di Ilda Boccassini, che aveva messo in guardia a chiare lettere sulla totale non attendibilità né credibilità del pentito Scarantino.
Il processo per il depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio vede oggi alla sbarra solo tre poliziotti del team di La Barbera.
Perchè nessun altro, fino ad oggi, è stato chiamato a risponderne? Mistero.
QUEL DOSSIER BOLLENTE “MAFIA-APPALTI”
alla seconda storia bollente, certo non meno clamorosa.
A “Che tempo che fa” Fiammetta Borsellino rammenta: “Un tema che stava molto a cuore a mio padre era il rapporto tra la mafia e gli appalti. Infatti mi chiedo come mai il suo dossier fu archiviato il giorno dopo l’uccisione”.
Parole, oltre che amarissime, anche durissime, soprattutto nei confronti di quei magistrati che “archiviarono” quella pista bollente a pochi giorni dalla strage di via D’Amelio.
Attenzione alle date. Il 13 luglio 1992 la procura di Palermo chiede l’archiviazione dell’inchiesta sul dossier Mafia-appalti. La richiesta arriva dai pm Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, altra icona antimafia oggi. La firma del procuratore capo Pietro Giammanco viene apposta quando Borsellino è stato ucciso da appena tre giorni. Mentre l’archiviazione finale è sottoscritta dal gip di Palermo, Sergio La Commare, il 14 agosto. Vale a dire: quando tutti sono sotto l’ombrellone di ferragosto, alla procura si pensa bene d’insabbiare – è il caso di dirlo vista la temperatura delle spiagge palermitane – il super giallo che era alla base dell’ultima maxi inchiesta di Falcone e Borsellino.
Anche l’iter di quell’inchiesta è tutto avvolto nel mistero. Il materiale base era costituto dalle indagini effettuate dal Ros di Palermo, la bellezza di 890 pagine finite a febbraio 1991 sulla scrivania di Falcone e Borsellino che drizzarono subito le antenne e cominciarono ad approfondire quelle indagini.
Nel dossier venivano indicati appalti, imprese colluse o in fase collusiva, importi, piste da seguire. Di tutto e di più, compresi gli interecci tra mafia e aziende non solo siciliane ma anche del nord. E big come ad esempio la Calcestruzzi del gruppo Ferruzzi. Fu proprio allora che Falcone sbottò: “La mafia è entrata in Borsa!”, riferendesi allo stesso gruppo Ferruzzi, con la sua propaggine siciliana, la Calcestruzzi, sulla quale le cosche avevano allungato i tentacoli.
Impegnati nelle indagini ben otto magistrati, alle prese con il parto del topolino, l’inspiegabile archiviazione. Ma l’inchiesta, ormai, era “bruciata”: per il semplice motivo che da Palazzo di Giustizia erano “uscite” notizie sui personaggi e le imprese coinvolte.
Nella stessa ordinanza di archiviazione, paradossalmente, viene ammesso: “Non può affatto escludersi, in via d’ipotesi, che nella illecita divulgazione delle notizie e dei documenti riservati oggetto del presente procedimento, possano essere stati coinvolti, o per denaro o in ragione degli asseriti rapporti di amicizia con svariate personalità politiche, i magistrati odierni indagati”.
E invece di continuare ad indagare archiviate tutto? Altra vicenda ai confini della realtà.
IL J’ACCUSE DI IMPOSIMATO E LA PISTA TAV
Come assolutamente paradossale è la finta ignoranza di inquirenti e non solo su tutta la “Mafia-appalti” story. Per il semplice motivo che era stranota. A denunciarla con gran forza, infatti, era stato già nel 1995 Ferdinando Imposimato, che nella relazione di minoranza firmata per la Commissione Antimafia all’epoca presieduta da Tiziana Parenti, individuò proprio nel dossier Mafia-Appalti il vero movente per la strage di via D’Amelio.
Ma con un altro elemento bomba da nessuno mai neanche lontanamente sospettato: i grandi affari in vista del Treno ad Alta Velocità, quel TAV che sta mandando in tilt il governo gialloverde.
Nelle loro primissime indagini, infatti, Falcone e Borsellino puntarono i riflettori proprio su quella quarantina di imprese impegnate sul fronte dei lavori pubblici. E molte di quelle erano già pronte a tuffarsi nel grande business del decennio (anni ’90) e non solo, come si vede oggi, quello griffato TAV.
Tra le società finite nel mirino non c’era solo la Calcestruzzi. Ma ad esempio la trentina Rizzani De Eccher e la napoletana Fondedile-Icla, la sigla del cuore di ‘O ministro Paolo Cirino Pomicino.
Non solo. Perchè Ferdinando Imposimato, insieme a Sandro Provvisionato, nel 1999 scrissero un j’accuse in piena regola, “Corruzione ad Alta Velocità”, in cui veniva dettagliato per filo e per segno quell’affaire, partito da 27 mila miliardi di lire e già all’epoca lievitato a 150 mila. Imposimato e Provvisionato, in particolare, accendevano i riflettori proprio sul dossier Mafia-appalti da un lato, e sugli insabbiamenti delle prime inchieste sull’Alta velocità dall’altro (a livello milanese il pm Antonio Di Pietro alle prese con “l’Uomo a un passo da Dio”, Chicci Pacini Battaglia).
Ma leggiamo qualche passaggio-base del volume, da tutti ignorato “politicamente” perchè l’alta velocità era la più colossale occasione per imprese, mafia e politica di intrecciare connection & affari arci miliardari.
Da pagina 62: “La Fondedile nel 1992 era stata incorporata dall‘Icla. Ma proprio la Fondedile lo stesso anno era stata oggetto di un’indagine condotta sia dalla squadra mobile di Caltanissetta, sia dal Ros dei carabinieri di Palermo, a proposito di alcuni appalti irregolari acquisiti da mafiosi, imprenditori e politici. Il contenuto di quelle due indagini era finito sul tavolo dell’allora procuratore aggiunto di Palermo Giovanni Falcone. In quei rapporti spiccavano nomi di mafiosi del calibro di Angelo Siino, indicato come il ‘proconsole di Totò Riina‘, l’uomo di Cosa nostra nel settore degli appalti, nonché quelli di aziende di importanza nazionale, come la Rizzani De Eccher, la Saiseb e, appunto, la Fondedile. Capo zona per la Rizzani De Eccher era quel geometra Giuseppe Li Pera che diventerà un collaboratore di giustizia in grado di mettere in serie difficoltà la procura di Palermo. Capo zona in Sicilia per la Fondedile era invece Gaspare Di Caro Scorsone, già denunciato per associazione a delinquere di stampo mafioso per gli appalti della superstrada Mussomeli-Caltanissetta”.
Continua la già allora esplosiva ricostruzione (siamo nel 1999!): “Le confessioni di Li Pera sono esplosive, anche se tutte da verificare: il geometra ricostruisce il funzionamento del sistema degli appalti in Sicilia, rivolge accuse ai magistrati, chiamati in causa con nomi e cognomi. Essi sono: il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco (oggi Fiammetta Borsellino si chiede: “perchè non fu mai interrogato?”, ndr), oltre a quattro suoi sostituti: Guido Lo Forte, considerato vicinissimo al procuratore; Roberto Scarpinato, considerato un magistrato al di sopra di ogni sospetto e molto amico di Giovanni Falcone; Giuseppe Pignatone (oggi procuratore capo a Roma, ndr) e Ignazio De Francisci, entrambi da anni alla procura di Palermo”.
E poi – in modo che più chiaro non si può – Imposimato e Provvisionato denunciano il “sistema degli appalti nel quale sarebbe maturata almeno una delle stragi che insanguinarono il 1992: quella in cui morì, 57 giorni dopo Giovanni Falcone, Paolo Borsellino – assassinato insieme a cinque uomini della scorta – quasi ossessionato, nei giorni immediatamente precedenti la sua tragica fine, proprio da quel dossier, il dossier ‘Mafia-appalti‘”.
Così scrissero 20 anni fa esatti Imposimato e Provvisionato. Perchè nessuna toga mai ha pensato di seguire quella pista chiara e non visibile solo per chi non voleva e non vuole vedere?
P.S. La Voce ha costantemente seguito la pista “Mafia-appalti” come documentano le nostre raccolte. Fin dal 1993, quando ‘lievitava’ l’affare Tav. E abbiamo incalzato soprattutto dopo la illuminante relazione di Ferdinando Imposimato alla commissione antimafia, mentre gli altri membri dormivano e troppi tacevano. Ancor più dopo l’uscita di “Corruzione ad Alta Velocità” che già nel 1999 forniva riscontri arcidocumentati. Nel totale silenzio dei media di regime: quei media omertosi e complici – ricordava sempre Imposimato – finanziati proprio dai signori della Tav.
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