Una bomba ecologica nel cuore di una città. Addirittura a un passo da uno strategico presidio sanitario, il secondo policlinico. Succede a Napoli, dove per mesi e mesi è andato avanti, di giorno e di notte, un via vai di camion carichi di rifiuti tossici e speciali, in particolare di amianto, tranquillamente diretti in una discarica – l’ex cava Suarez – autorizzata dalla Regione, nel 2013, per ospitare “terre e rocce di scavo”. Una cava-discarica di enormi proporzioni: capacità da 2 milioni di metri cubi, una grotta in tufo lunga oltre 200 metri e profonda 10 metri. “Sembrano alcune scene di Gomorra, con i camion della morte che vanno su e giù”, è uno dei commenti.
Lo stesso film è andato avanti, a poca distanza, e per anni, nell’area di Chiaiano, a poche decine di metri dallo stesso secondo policlinico, dall’ospedale Monaldi (nato per curare le malattie respiratorie) e dal Cotugno (istituito per fronteggiare le malattie infettive e diventato ‘famoso’ ai tempi del colera anni ’70). Incredibile ma vero, anche allora un indisturbato via vai di camion, tir e mezzi d’ogni sorta per trasportare rifiuti supertossici nell’ex “bosco” coltivato a fragole e ciliegie di Chiaiano, diventato col tempo una vera bomba ecologica. Il tutto per la regia dei clan, e nella più totale indifferenza delle istituzioni.
Adesso è la volta dell’amianto killer. Sorge subito spontaneo un interrogativo: ma cosa hai mai fatto – o meglio, non fatto – l’Arpac, ossia l’agenzia regionale per il controllo dell’ambiente? Una creatura storicamente mastelliana, diventata col tempo un carrozzone sempre più inutile, una sorta di astrazione metafisica, un ectoplasma che però inghiotte danari pubblici. Possibile che nessuno abbia mai controllato, che nessun tecnico abbia pensato bene di dare una sbirciatina in quella discarica-deposito che avrebbe dovuto raccogliere innocenti rocce e forse ancor fertili terreni?
Da una zona all’altra della città, eccoci a Bagnoli, ex aree Italsider ed Eternit, una vita tutta acciaio e amianto. Dopo un quarto di secolo dalle dismissioni, un esercito di posti di lavoro perduti, ecco la beffa delle centinaia di miliardi di lire prima, di milioni di euro poi buttati al vento per una bonifica mai nata, una BagnoliFutura (sic) fallita, il classico esempio di affarismo-clientelismo di stato all’ennesima potenza. E ancora oggi la danza macabra continua: una bonifica che non c’è, e che finirà per inghiottire altri vagoni di danari pubblici. Intanto, che fine fa la salute dei cittadini dell’area occidentale, in un lembo di terra un tempo mitico, proiettato verso le bellezze naturali di Pozzuoli e dei Campi Flegrei? Mistero.
Non sono un mistero, invece, i tragici dati sull’esercito di morti & malati d’amianto: una piaga senza fine, lutti continui senza che né leggi né tribunali riescono – o meglio vogliono – fermare. Nessuno tocca i colossi, nessuno restituirà vite distrutte, né risarcirà familiari e parenti. Come la storia del sangue infetto, con un processo ultraventennale che riprende a Napoli a fine maggio, i soliti imputati Guelfo Marcucci – re degli emoderivati, padre del super renziano senatore Andrea Marcucci – e Duilio Poggiolini – il re mida alla corte di Sua Sanità Franco De Lorenzo – che conoscono bene il destino già scritto: Prescrizione.
Tutto ciò, mentre da Roma continuano a rimbalzare voci che l’incendio all’aeroporto di Fiumicino che poteva trasformarsi in una catastrofe e comunque è costato una settimana e passa di voli in tilt e maxi ritardi per i soliti cittadini calpestati, potrebbe essere stato agevolato, guarda caso, proprio dall’amianto, la cui presenza nelle strutture aeroportuali avrebbe fatto lievitare a dismisura i danni. Voci tutte da confermare e dovrà attendersi l’esito delle perizie tecniche per formulare più precise ipotesi investigative.
Ma a questo punto passiamo in rapida carrellata le tragiche cifre da amianto e, soprattutto, lo stato di alcuni processi ancora in piedi per dare un minimo di giustizia ai tanti familiari delle vittime. Secondo gli ultimi dati stilati – e sicuramente per difetto – da Inail e Cnr, il nostro Paese vive con un carico da ben 32 milioni di tonnellate di amianto sul groppone, o meglio comodamente interrato dai killer di salute e ambiente in cave o discariche di comodo, spesso e volentieri – come visto – “legali”, da anni abbondantemente utilizzate per scopi illeciti. Al ministero dell’Ambiente risultano ufficialmente censiti 75 mila ettari di territorio contaminato da amianto, ma la realtà è quanto meno doppia se non di più: dal momento che solo una metà delle regioni ha effettuato la mappatura del suo territorio, e fra quelle che hanno “mappato” figura ad esempio una Campania dove l’amianto abusivo e illegale alloggia tranquillamente (fino a che – rarissimamente – viene scoperto) in siti o discariche “regolari” per ospitare rocce, terre o altro. Passiamo alle croci: stando alle cifre del Registro nazionale Inail, i casi di mesotelioma maligno diagnosticati nell’arco di un quindicennio – ossia tra il 1993 e il 2008 – sono oltre 15 mila. Non basta, perchè si arriva a ben 4 mila morti all’anno per asbesto, con una incredibile media da guerra vera e propria: 10 vittime al giorno.
In Italia ci sono 24 impianti specializzati nel trattamento di amianto, sparsi in 11 regioni. Ma non bastano per smaltire l’enorme massa di amianto esistente sul territorio, che diventa quindi abusiva, fuorilegge, e caso mai può essere causa di nuovi avvelenamenti dei territori e quindi di nuove malattie. Un problema che non viene risolto, ma incredibilmente si moltiplica. Con esiti devastanti: malattie e morti in costante crescita, sperpero di danari pubblici per impianti che servono a poco, affari per le mafie che sversano amianto illegalmente.
Passiamo ai processi. Uno su tutti, l’Eternit bis che sta per tornare in aula con tutto il carico delle 250 e passa vittime che ancora pesano sulla coscienza dell’unico imputato, il nobile-magnate svizzero Stephan Schmidheiny, che – nonostante l’età, 67 anni – forse si rivolgerà al Telefono azzurro oppure al Tribunale per i diritti dell’Uomo visto che – sostiene – con questo secondo processo “sono stati palesemente violati i miei diritti umani”, non potendosi processare per due volte una persona per lo stesso reato (il celebre “ne bis in idem”). Peccato che ora, nel processo impostato dalla super toga ambientale Raffaele Guariniello del tribunale di Torino, il capo d’imputazione non sia più – come in occasione del primo processo – disastro, ma omicidio volontario aggravato, in quanto – secondo l’accusa – il nobile-magnate avrebbe perseguito unicamente i propri interessi economici, fregandosene altamente dei possibili danni prodotti alla salute dei suoi dipendenti: però, essendo a conoscenza di tutti i danni che l’amianto – e il suo eternit – poteva causare. Fino ad oggi sono state risarcite, spesso con spiccioli (le cifre variano dai 1.500 ai 60 mila euro), le oltre 1.700 vittime da amianto Eternit disseminate negli stabilimenti di Casal Monferrato, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli. Incredibile ma vero, all’Eternit bis non si sono costituiti parte civile Stato, Regioni, enti locali, tranne il comune di Casale (e qualche paesino vicino). Va appena ricordato – come vergogna nazionale e ennesimo flop della giustizia – la clamorosa sentenza della Cassazione di qualche mese fa, secondo la quale niente era successo, tutti assolti, cancellando la condanna a 18 anni per il nobil-magnate decisa in appello. Dietro l’angolo, comunque, c’è la solita, miracolosa Prescrizione salvatutti, in questo Belpaese di ladri, corrotti & killer in guanti bianchi.
Passiamo a quella che in zona, Broni, nel pavese, una cinquantina di chilometri da Casale, viene ormai etichettata come “l’Eternit lombarda”, ossia la Fibronit. Il processo, attualmente in corso riguarda i 400 morti per amianto, perchè “per anni – ricordano alcuni sindacalisti – gli operai sono stati impegnati nella realizzazione di lastre di fibrocemento, tegole e altri manufatti senza alcuna precauzione. Ma la cosa ancor più grave – viene sottolineato – è che mancavano le docce e gli operai finivano per portarsi a casa involontariamente le polveri che hanno causato anche la malattia di mogli e figli”. Una strage. Che continua e continuerà. “Gli effetti di questo disastro – conferma Andrea Costa, avvocato di parte civile – si avvertono anche sulla popolazione di Broni, che continua a convivere con una bomba ecologica che non è stata ancora disinnescata. Gli effetti, le morti continuano a emergere”. La sentenza – che vede alla sbarra sei vertici Fibronit – dovrebbe arrivare entro l’estate (sempre che i tempi della giustizia – rapidissima con i deboli, lumachesca con i forti – lo permettano).
Ma torniamo un attimo in Piemonte, per la precisione ad Ivrea, storica sede del gruppo Olivetti. E’ appena partito il processo che vede 33 imputati alla sbarra, tra cui padroni e top manager, come Carlo e Franco De Benedetti, Corrado Passera, Roberto Colaninno. Tre mesi fa era morta, per mesotelioma pleurico, una ex dipendente Olivetti. A Padova, invece, è sotto i riflettori giudiziari il gruppo Fincantieri, per via di un’inchiesta che coinvolge ex dirigenti ministeriali e un ex capo di Stato maggiore della marina militare, Filippo Ruggiero. Anche stavolta è amianto killer, utilizzato con disinvoltura, senza le dovute precauzioni, a bordo di navi militari. Una storia che ha portato alla morte di 27 persone.
Al Sud, il caso più eclatante è quello dell’Isochimica di Avellino (nella foto), che la Voce denunciò a fine anni ’80. Numerosi, all’epoca, inchieste e articoli di Enrico Fierro, formatosi alla Voce e poi passato all’Unità e quindi al Fatto (e autore con Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola di “Grazie Sisma – dieci anni di potere e terremoto” edito da La Voce della Campania). Veniva documentato sia il lavoro a pesantissimo rischio delle maestranze, costrette a scoibentare vagoni e carrozze (almeno 2000, nel periodo sotto inchiesta, per un totale da almeno 2 mila tonnellate di amianto “trattato”) in maniera del tutto insicura; sia il successivo interramento dei rifiuti tossici e speciali, in zone del tutto abusive. Circostanze che ora la procura di Avellino sta finendo di portare alla luce, con un processo in vista per una trentina di persone: funzionari compiacenti delle Ferrovie, amministratori locali, dirigenti Asl, vertici della Isochimica, a cominciare da Elio Graziano, per anni anche patròn dell’Avellino Calcio. In ottimi rapporti – Graziano – con l’allora capo delle Ferrovie, Ludovico Ligato. I suoi business, comunque, non si limitavano alle carrozze coperte d’amianto: ma anche alla fornitura di lenzuoline di carta alla stesse Ferrovie, un maxi appalto che fece la fortuna della Idaff, un’altra sigla nell’allora rigogliosa galassia Graziano. Al prossimo processo per l’amianto killer dell’Isochimica saranno presenti circa 350 parti civili.
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