PROCESSO MONNEZZA A NAPOLI / CRIMINALI VERI E CRIMINALI INVENTATI

“E’ finita. Sono stati 16 anni d’inferno. Ho perso tutto. Affetti, casa, carriera. Ora chi mi ridà la vita perduta?”.

Sono le laceranti parole pronunciate da Giulio Facchi al termine del maxi processo d’Appello, a Napoli, sui traffici di rifiuti tossici in Campania, che ha visto coinvolto il gotha dei colletti bianchi collusi con i Casalesi. Ma nel tritacarne è finito anche un signore che non c’entrava niente, l’allora subcommissario per l’emergenza rifiuti in Campania, Facchi, uno stimato fisico, ambientalista, per anni assessore alla Provincia di Milano, poi sbarcato a Napoli su precisa richiesta del Governatore Antonio Bassolino.

Uno sfiancante e pericoloso lavoro svolto per un paio d’anni, poi l’inchiesta sull’impresa Resit, le autorizzazioni regionali alle imprese dei rifiuti, un processo di primo grado, nel quale il pm arriva a chiedere 30 anni di galera per Facchi, con le aggravanti di associazione mafiosa e di procurato disastro ambientale.

Le stesse pene che venivano richieste per due big nel settore dei rifiuti balzati alla ribalta delle cronache già a fine anni ’80, quindi ben noti per i loro legami malavitosi: l’avvocato-imprenditore Cipriano Chianese e il trasportatore Gaetano Cerci.

Cipriano Chianese

La sentenza di primo grado, comunque, porta alla condanna di Facchi a 5 anni, mentre 20 vengono affibbiati a Chianese (anche Cerci viene ovviamente condannato).

Adesso la sentenza di appello, con una condanna “limata” per Chianese (18 anni) e anche per gli altri. Facchi, invece, viene assolto per “non aver commesso il fatto”.

Sorge spontanea la domanda: ma come cavolo sono state condotte le indagini, su quale base è stata mai formulata la condanna di primo grado per Facchi, quando adesso tutto si scioglie come neve al sole dopo 16 lunghi anni? Se adesso “il fatto non sussiste”, come è potuto mai sussistere, appunto, per 16 anni?

Storie di ordinaria ingiustizia. Anzi di giustizia negata, calpestata. Chi risarcirà mai Facchi, un personaggio di prim’ordine finito nel fango anche mediatico e oggi annientato su tutti i fronti?

E come mai non è scattata prima la “giustizia” (sic) per Chianese, Cerci & C., visto che le loro prodezze nei traffici di monnezza erano stranote e balzate alla ribalta anche in precedenti inchieste giudiziarie poi misteriosamente arenatesi? Perchè hanno potuto continuare ad agire indisturbati per anni?

Fin dalla fine anni ottanta, inizio novanta, erano note le frequentazioni non solo camorristiche, per il tandem Chianese-Cerci, ma anche massoniche, ai livelli più alti. In un’inchiesta poi insabbiata, tra l’altro, venivano documentati i frequenti viaggi di un bel trio composto da Chianese, Cerci e Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e mezzanotte, la mente economica dei Casalesi, in direzione Arezzo, Villa Wanda, maison del Venerabile Licio Gelli.

La Voce, su questo versante, scrisse non poche inchieste. E per una di quelle venimmo citati in sede civile dall’avvocato Chianese, per aver leso la sua immagine: ci chiedeva 50 milioni di vecchie lire come risarcimento danni! Abbiamo vinto quella causa, e solo dopo sono arrivati i primi provvedimenti giudiziari a carico di Chianese, al quale sono poi stati confiscati case e ville in mezza Italia, a cominciare dal litorale tra Gaeta e Sperlonga, passando per Roma.

A qualche mese dal suo insediamento, la Voce intervistò Giulio Facchi, che ci parlò di un’atmosfera molto pesante, minacce appena ricevute, sentiva il fiato della camorra sul collo. Un professionista noto a Milano per il suo valore, avvertiva un profondo isolamento, che qualcosa poteva succedere, una sorta di sesto senso. E così è stato.

Come del resto è successo ad un altro professionista doc prestato alla politica, il professore bolognese Walter Ganapini, sbarcato in quella stessa Regione Campania per occupare proprio la poltrona di assessore all’ambiente. Ha resistito due anni, fino a che due con passamontagna a bordo di una moto lo hanno speronato, quasi ammazzandolo (ha riportato fratture alla schiena che lo hanno reso praticmaente invalido). Of course Ganapini abbandonò quel Far West griffato Campania.


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